Quanto è cambiata l’alimentazione dall’Antica Roma ai giorni nostri? Molto spesso pensiamo che il mondo a noi contemporaneo non abbia poi molto a che vedere col mondo antico. Non potrebbe esserci niente di più sbagliato! Sicuramente sono innegabili le innovazioni, il progresso e le differenze ma non dobbiamo farci confondere: da sempre, per l’uomo, il cibo riveste un’importanza centrale.
Fonti e Archeologia del cibo
Ma da dove si possono trarre informazioni autorevoli sulla cucina dell’Antica Roma senza incappare in fake news? Le fonti a cui possiamo fare riferimento per ricostruire la storia della cultura alimentare dell’Antica Roma sono molteplici: archeologia e letteratura offrono difatti molti spunti, diretti e indiretti, che non possono essere trascurati qualora si voglia viaggiare nella Storia della Gastronomia Antica.
Per quanto riguarda la letteratura, non avendo a disposizione veri e propri ricettari, ad eccezione del De Re Coquinaria di Apicio, che ricordiamo essere un gastronomo e non un cuoco, possiamo attingere ad altre fonti latine, come ad esempio i trattati agronomici di Columella, Catone e Plinio. Questi ci restituiscono informazioni preziose sulle materie prime e su come venivano consumate.
Da un punto di vista archeologico spiccano ovviamente i reperti organici, primi fra tutti i commestibili rinvenuti a Pompei ed Ercolano, ma anche le loro rappresentazioni artistiche: si pensi ad esempio alle nature morte protagoniste delle pitture parietali o dei mosaici rinvenuti nelle Domus del Parco Archeologico di Pompei.
Interessanti sono anche i risultati delle analisi effettuate da discipline affini, quali la paleopatologia e l’archeobotanica, o i contenuti di documenti legislativi come gli editti sui prezzi, che ci parlano indirettamente di quali erano gli alimenti in uso e che valore avevano sul mercato.
Grazie alle fonti è possibile ricavare anche aneddoti gastronomici di uomini illustri: un esempio sono le Vite dei Cesari di Svetonio, opera che narra appunto il dettaglio delle vite vissute dagli imperatori romani. Possiamo trovare riferimenti importanti per ricostruire le abitudini alimentari anche in opere e componimenti poetici come le Satire di Giovenale o il Satyricon di Petronio, ove è largamente descritta la famosa Cena di Trimalchione.

Gastronomia storica e ArcheoCucina
Come punto di partenza per parlare di Storia della Gastronomia potremmo prendere il momento in cui l’uomo ha iniziato a consumare le vivande previa cottura. L’uomo romano bolliva, arrostiva e friggeva: certo, utilizzava strumenti diversi dai nostri elettrodomestici, ma il risultato era molto simile. Molti sono i progetti che gravitano attorno alla riproposizione dell’ArcheoCucina e anche noi di StorieParallele ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo acceso i fornelli e ci siamo messi in gioco: nasce così InTaberna, una rubrica che ha l’intento di riproporre una selezione di ricette del passato.
Quando si parla di alimentazione antica occorre tener di conto anche di un altro aspetto fondamentale, ovvero la conservazione delle vivande. Ovviamente gli Antichi Romani non conoscevano i conservanti alimentari, i congelatori e tutti gli altri strumenti moderni che noi abbiamo a disposizione al giorno d’oggi. Questo non vuol dire che non potessero conservare gli alimenti: tranne pochi deperibili, c’erano molti metodi utilizzati, ad esempio per la conservazione della carne potevano essere praticate tecniche tutt’ora utilizzate, quali l’essiccatura, l’affumicatura e la salatura. Altri tipi di alimenti potevano essere messi in salamoia o sotto miele. Insomma, non si buttava via proprio niente!
Un’altra caratteristica che rende simile la cucina del tempo a quella attuale è sicuramente l’utilizzo di salse. Basti pensare alla combo ketchup-maionese per i cibi tipici dei fast food o, se vogliamo un esempio più ricercato, alla mostarda per accompagnare i bolliti. Anche gli antichi romani avevano le loro salse e i loro condimenti, primo fra tutti il garum.

Che c’è per cena?
Ma cosa mangiavano gli Antichi Romani? Innanzitutto, dobbiamo dire che la suddivisione dei pasti non era particolarmente differente da quella attuale, infatti anche a Roma i pasti principali erano solitamente tre e corrispondevano grosso modo ai nostri colazione, pranzo e cena. Ovviamente a seconda dell’estrazione sociale, le tavole potevano presentare alimenti più o meno pregiati: sicuramente verdure e leguminose erano abbondanti anche sulle tavole del popolo.
C’è da dire che in epoca imperiale alle classi meno abbienti, in occasione delle viscerationes, venivano distribuiti gratuitamente pezzi di carne per celebrare alcune occasioni speciali.
Il consumo di carni e pesci era però meno diffuso, riservato alle classi agiate: fra i due, il pesce era considerato più delizioso. Alcune famiglie romane trassero il loro cognome proprio da alcune specie di pesci: Sergio Orata e Licinio Murena sono solo alcuni esempi. In particolare, il primo è ricordato per essere l’inventore di vivai ittici che si approvvigionavano di acqua direttamente dal mare di Baia.
Molto diffuso era invece il consumo di pane, prevalentemente preparato con farina di farro e spesso condito nell’impasto con ingredienti come il formaggio o il mosto, dando origine a pani particolari come il Libum o i Mustacei.

Il mestiere di cuoco
Poche sono le informazioni pervenuteci circa il mestiere del cuoco: gran parte delle fonti latine è la testimonianza diretta delle classi sociali elevate, alfabetizzate e con una spiccata formazione culturale letteraria. Rare sono dunque le attestazioni popolari e dei vari professionisti del settore.
Ciò che conosciamo sul ruolo del cuoco lo dobbiamo quindi alle opere letterarie celebri, in cui tali lavoratori non vengono propriamente esaltati: nelle grandi cene dei patrizi, infatti, i cuochi erano schiavi specializzati oppure professionisti noleggiati durante il mercato e pagati a giornate. Proprio questa tipologia di cuoco nelle commedie latine è spesso fonte di costanti preoccupazioni per i malcapitati aristocratici, poiché, a quanto sembra, tendevano ad appropriarsi con disinvoltura di oggetti di valore.
Ma il mestiere non era certo particolarmente agevole: le cucine erano spesso luoghi malsani, affumicati e posti spesso anche sotto il livello del suolo, come testimoniato dai ritrovamenti a Pompei. I cuochi potevano essere duramente puniti in caso di errori, come riporta Marziale, secondo il quale Nevia avrebbe bastonato un cuoco colpevole di non aver adeguatamente cotto la carne. Una vita non semplice, dunque, ben diversa dal successo, anche mediatico, che tale mestiere ha raggiunto nella società odierna.

Attività economiche collegate al cibo
Intorno al cibo gravitavano anche molte attività economiche, a partire dalla ristorazione. Già nell’Antichità esistevano infatti dei locali che vendevano cibi già cucinati e pronti per il consumo, i thermopolia: le pietanze venivano conservate all’interno di dolia, profondi vasi di terracotta inseriti all’interno del bancone. Pompei è forse una delle aree archeologiche che restituisce più testimonianze circa la dimensione dell’ospitalità romana: oltre alle recenti scoperte archeologiche, molti sono i locali individuati lungo la celebre via dell’Abbondanza, primo fra tutti il Termopolio di Asellina.
Ma prima di arrivare al prodotto finito occorre fare un passo indietro e soffermarsi anche su attività legate alla lavorazione degli ingredienti: due esempi calzanti sono sicuramente l’officina del garum di Aulus Umbricius Scaurus e il panificio di Podius Priscus. Grazie alle testimonianze archeologiche di natura organica e non, i ricercatori hanno potuto ricostruire le varie fasi di lavorazione delle materie prime e le proprietà dei prodotti finiti.
A questo punto può sorgere spontanea una domanda… gli Antichi Romani andavano a fare la spesa? Certamente! Il Mercato di Traiano, il Mercato di Ostia e il Macellum di Pompei possono essere assimilati ai nostri supermercati, o meglio agli attuali centri commerciali: spesso articolati su più piani di uno stesso edificio, i vari ambienti commerciali erano indipendenti fra loro. I commercianti potevano avere un vero e proprio negozio, inserito in un contesto di mercato come quello che abbiamo appena descritto, oppure bancherelle ambulanti, che si spostavano per la città. Fra i commercianti al dettaglio ricordiamo il pomarius, ossia il nostro fruttivendolo, e il clibanarius, assimilabile all’odierno fornaio.
