Cosa mangiavano a Pompei? Oltre alle fonti letterarie, di maggiore interesse sono le informazioni che possiamo ricavare grazie all’archeologia del cibo. I rinvenimenti archeologici dei siti seppelliti dall’improvvisa eruzione del Vesuvio ci restituiscono con completezza i dettagli delle attività quotidiane e dei rituali legati all’alimentazione.
Nel 2018 il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha dedicato a questo argomento una mostra temporanea dal titolo Res Rustica. Archeologia, botanica e cibo nel 79 d.C., in sinergia con il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Archeologia del cibo: affreschi e pitture
Nella totalità dei famosi affreschi pompeiani, troviamo alcune pitture parietali considerate forse di minore pregio che però ci mostrano scene di vita quotidiana o nature morte che ci restituiscono una panoramica su quelli che erano gli alimenti disponibili sulle loro tavole. Queste raffigurazioni erano chiamate xenia, dal greco doni, perché rappresentavano i regali che l’anfitrione usava offrire ai propri ospiti, come da tradizione. Le nature morte presenti nella pittura pompeiana rappresentano appunto alcuni di questi doni.
Le testimonianze di Pompei
A Pompei moltissime sono le testimonianze artistiche che ci parlano di cibo: noi di StorieParallele non abbiamo la pretesa di catalogarle tutte ma vogliamo proporvi una selezione di quelle che secondo noi sono le testimonianze più iconiche e più significative delle abitudini alimentari dei pompeiani.
La Casa del Fauno ci offre due splendidi mosaici. Il primo è a tema prettamente ittico: la scena si snoda sullo sfondo di una veduta marina, cinta ai lati da scogli. Un polpo ed un’aragosta lottano con attorno una varietà di pesci, crostacei e molluschi marini. Sullo scoglio di sinistra è poggiato un uccellino, probabilmente un martin pescatore, pronto per cacciare la sua preda. Il secondo mosaico ci propone una tematica diversa che si sviluppa su tre livelli distinti. In alto, un gatto ha catturato un pollo. Nella fascia centrale troviamo appollaiate due anatre: dal diverso colore delle piume e e dei becchi si capisce che appartengono a due razze diverse. Alla base del mosaico troviamo quattro fringuelli e alcuni frutti di mare misti: tra questi possiamo riconoscere un pettine, un murice e alcune vongole. Completano la scena alcuni pesciolini, tra cui uno scorfano e dei serranidi.
Lo stesso tema lo ritroviamo nelle pareti est ed ovest del cubicolo della Casa dell’Efebo , dove spiccano due pitture che ritraggono alcuni pesci in vivaio, che nuotano su uno sfondo verde acqua.
Lo stesso cubicolo ci offre però altre testimonianze che hanno a che fare con l’archeologia del cibo, in particolare con la frutta: in questa pittura troviamo un pappagallino accanto a due ciliege mature.

Nella Casa dei Vettii troviamo invece tracce di formaggio: protagoniste due fiscelle in giunco colme di ricotta. Una di esse, rovesciatasi, permette di intravedere la morbidezza e il colore candido del prodotto caseario. Questo quadretto non è l’unico esemplare raffigurante questo formaggio fresco: un’altra testimonianza è stata rinvenuta sempre a Pompei, nel Tempio d’Iside. Da notare, la forte somiglianza delle due rappresentazioni, che abbiamo voluto proporvi a confronto.
Nella domus è stato individuato anche il locale adibito a cucina: in questa foto possiamo vedere il piano cottura allestito per la preparazione delle vivande.

Un’altra abitazione, conosciuta come la Casa del Criptoportico, ci restituisce una composizione di un Gallo con frutta: a destra è poggiato un canestro pieno di frutti, coperto, a metà per mezzo un tovagliolo ricamato e frangiato, mentre a sinistra si trova un galletto dalle piume variegate, raffigurato con la testa posta all’indietro. Non è l’unica scena che ritrae questo animale: polli e galletti sono presenti anche in altre Domus, di fianco ad altri alimenti.
Nel Complesso dei Riti Magici, nelle pareti nord e sud del triclinio, troviamo ancora testimonianze di frutta: in questo caso si tratta di due grappoli d’uva bianca e nera e di alcuni melograni, appena raccolti dall’albero con ancora le loro foglie attaccate.
La Casa di Giulia Felice è un’altra domus che ci testimonia riccamente le tradizioni alimentari pompeiane. Nella parete sud del tablino troviamo Uova, pollame, frutta e vasellame: al centro della scena troviamo un piatto colmo di uova. Oltre a vasellame e altri utensili da cucina, possiamo intravedere quattro quaglie appese ad un chiodo per il becco. Sulla stessa parete troviamo i Vasi con frutta: oltre ad un grande vaso di vetro contenente mele e uva debordante, troviamo anche un melograno aperto e due vasi di terracotta, uno sigillato e l’altro aperto, in modo da mostrare la frutta secca contenuta.
Di recente scoperta, anche il Thermopolium della Regio V ci restituisce testimonianze importanti da un punto di vista pittorico: sull’ultimo braccio di bancone portato adesso alla luce sono emerse rappresentazioni di animali, fra cui delle anatre germane, probabilmente macellati e venduti nel locale. Frammenti ossei, degli stessi animali, sono stati inoltre rinvenuti all’interno dei dolia, recipienti ricavati nello spessore del bancone, oltre ai cibi destinati alla vendita. Nell’ambito dello scavo sono emersi anche diversi materiali atti alla dispensa e al trasporto del cibo: nove anfore, una patera di bronzo, due fiasche e un’olla di ceramica.
Oltre Pompei: Oplontis, Stabia ed Ercolano
Pompei, come sappiamo, non fu l’unico centro ad essere travolto dalla furia del Vesuvio. Oplontis, Stabia ed Ercolano subirono la stessa fine e come Pompei vennero immortalati in una istantanea fatale. Non di minore importanza sono quindi i reperti e le testimonianze che questi siti ci restituiscono.
Oplontis
Oplontis è probabilmente, fra i siti colpiti dall’eruzione del 79 d.C., quello che offre le più significative testimonianze monumentali del suburbio pompeiano. Per quanto riguarda la nostra ricerca faremo riferimento alla Villa di Poppea, una grande villa residenziale, ancora non del tutto riportata alla luce. Durante le campagne di scavo non sono stati rinvenuti arredi come nelle altre Domus, poichè al momento dell’eruzione erano in corso dei lavori di ristrutturazione. Mobili e suppellettili erano ammucchiati in ambienti di servizio, ma sono stati rinvenuti vasi e frammenti di stoviglie. La cucina, individuata ed indagata, presentava un banco in muratura ove era posto il piano cottura: piccoli vani con forma semicircolare contenevano forse legna da ardere. C’era poi una vasca, che probabilmente poteva essere utilizzata per lo scarico di liquidi. Oltre a questi pochi resti materiali, la Villa ha conservato apparati decorativi eccezionali, primi fra tutti quelli che ornavano finemente il triclinio.
Nella stanza 66 del quartiere della natatio, troviamo un soggetto già riscontrato nelle pitture di Pompei: si tratta del Gallo e cesto con frutti. Questo galletto dalle piume colorate, intento a beccare dei frutti molto simili a delle pere, caduti da un cesto di vimini li accanto.

Nella stanza 81 dello stesso quartiere troviamo due raffigurazioni molto simili fra loro: su uno sfondo rosso si stagliano due uccellini, intenti a beccare della frutta, molto probabilmente fichi e pere.
Nel Salone I è possibile ammirare la Coppa di vetro con frutta, una grande coppa di vetro trasparente con due manici orizzontali, posta su di una basetta rosso. La coppa contiene una grande varietà di frutta: prugne, mele cotogne e pomi marroni. Invece, il famoso Canestro con fichi, posto precisamente nella parete nord del triclinio 14, si presenta come un largo e basso canestro di vimini con orlo a doppia treccia e fascia mediana a rete. Poggiato su una mensola rossa, che si staglia su di uno sfondo azzurro. Il canestro è ricolmo di fichi verdi e neri maturi: in alcuni punti la buccia presenta delle rotture, dalle quali è possibile intravedere la polpa rossa. Il fico era un frutto sacro a Roma: la leggenda vuole che la lupa allattasse Romolo e Remo proprio all’ombra di un albero di fico.
Il Cesto velato con frutta e fiaccola è facilmente riconoscibile: si tratta di un alto cesto di vimini cilindrico, che si allunga a tronco di cono verso l’orlo. Il cesto è intrecciato e presenta delle fasce ornate da un meandro rosso su fondo bianco. La natura morta è coperta da un velo trasparente: si possono riconoscere alcune mele rosse e forse delle prugne. Dietro al cesto troviamo un altro elemento: una fiaccola di tipo alessandrino inclinata, decorata di spighe. Ma non dobbiamo pensare che le nature morte parlino solo di frutta: infatti la raffigurazione più famosa è forse la Cassata di Oplontis: il dolce, coperto di glassa rossa e bianca e farcito di ciliegie candite, è presentato su di un’alzata di argento, con zampe di leone e prese laterali. Ricotta, frutta secca e canditi: un tripudio di sapori ben rappresentato in questa decorazione.
Ercolano
Anche ad Ercolano troviamo ovviamente tracce significative per quanto riguarda l’archeologia del cibo: la maggior parte dei reperti organici carbonizzati, che ora fa parte della Collezione dei Commestibili, è stata proprio rinvenuta a Ercolano. Venuta alla ribalta recentemente è la bottiglia d’olio, emersa dai depositi del MANN in occasione della visita al Museo da parte del noto divulgatore Alberto Angela: quella che pare sia la bottiglia d’olio più antica del mondo è stata con tutta probabilità rinvenuta nel corso degli scavi archeologici a Ercolano, iniziati dal Principe d’Elboeuf nel 1738, poi proseguiti da Carlo di Borbone. La bottiglia, posta accanto ad una delle tante forme di pane carbonizzato rinvenute, impressiona per la corrispondenza con una riproduzione pittorica rinvenuta a Pompei.
Tornando però all’analisi delle pitture, nella Casa dei Cervi sicuramente spicca per la bellezza il Ramo con pesche e vaso di vetro: da un ripiano scende un ramo di pesco, carico di foglie e quattro frutti. Sempre sul ripiano una pesca è tagliata in modo da intravedere il nocciolo del frutto. Nel ripiano inferiore, a completare la composizione, troviamo un vaso di vetro a ventre globulare, riempito d’acqua. Con la stessa impostazione si snoda la scena vicina Frutta, monete e vaso: sulla mensola in alto un contenitore con prugne, fichi secchi e datteri. Si riconoscono anche due monete: una d’argento e un aureo di Claudio. Non è strano trovare frutta e monete vicini: datteri e monete erano doni tipici del Capodanno. Accanto al contenitore ci sono altri due datteri, posti direttamente sul ripiano. Sulla mensola inferiore troviamo un kantharos con del vino rosso, un dattero ed un fico secco.
Troviamo anche della cacciagione: di particolare importanza in questo senso è il ciclo decorativo delle pitture commissionate da Q. Granius Vero. Il primo pannello mostra due animali lavorati e pronti per essere cucinati: un cappone spiumato appeso a un chiodo e una lepre appesa per la zampa, già svuotata delle interiora. In uno dei pannelli centrali troviamo una pernice appesa per il becco ad un anello, con accanto una mela rossa e un melograno. Nel secondo pannello troviamo due mensole: sopra son poggiati tre esemplari di tordi, mentre nel ripiano basso dei funghi agarici. Anche l’ultimo pannello si presenta su due livelli: su piano superiore delle pernici, sotto un groviglio di murene.
Proseguendo ad illustrare le pitture a tema cacciagione, il coniglio è protagonista di due scene similari fra loro: entrambe le rappresentazioni lo vedono intento a mangiare della frutta, in particolare dei fichi e dell’uva.
Il tema che vede accostati animali e frutta è ricorrente nelle nature morte di Ercolano: ne è un esempio questa pernice, intenta a beccare un grappolo d’uva bianca.

Nel Criptoportico la Frutta e vaso d’argento ci propone l’immagine di un vassoio di vimini con una bordatura a treccia, colmo di diverse varietà di frutta: datteri, noci, mele, melagrane e fichi. Il vassoio è talmente colmo che un dattero è rotolato sul tavolo. Dietro al vassoio, si staglia un kantharos d’argento pieno di vino rosso. Sempre nei locali del Criptoportico troviamo anche il Paniere con pesche e pere, un semplice paniere di vimini con manico tortile rovesciato su di un tavolo di legno, colmo di pesche e pere.
Stabia
A Stabia troviamo delle importanti testimonianze per quanto riguarda la frutta secca: nella Villa San Marco un intonaco dipinto ci mostra tre nocciole appena colte dall’albero, con ancora le loro foglie.

Villa Adriana è la villa d’otium più antica del complesso archeologico di Stabiae. La sfarzosissima villa occupa l’estremità ovest della collina di Varano, in un punto strategico che collegava l’abitato, per mezzo di rampe, al mare e all’entroterra. Venne individuata durante le campagne di scavo organizzate fra il 1757 e il 1762 e, purtroppo, fu oggetto di razzie e danneggiamenti, sino a quando non venne reinterrata. Qui ritroviamo nuovamente una natura morta con asparagi e ricotta, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Testimonianze di vasellame, rilevanti per il nostro focus sull’archeologia del cibo, sono state rinvenute nella necropoli di Madonna delle Grazie e nel santuario extraurbano in località Privati: si tratta di una grande fossa colma di materiale votivo, spesso frammentato intenzionalmente prima di essere depositato, frammisto a terreno bruciato e a offerte di ossa animali. I materiali sono stati esposti durante una mostra temporanea, allestita nel 2018 nei locali dell’Antiquarium di Pompei.

Boscoreale
L’archeologia del cibo nel sito di Boscoreale ci lascia tracce molto tangibili di quello che era il territorio vesuviano in epoca romana e di come l’uomo sfruttasse le risorse naturali che aveva a disposizione. Le campagne di scavo della zona portarono alla superficie una serie di villae rusticae, una fitta rete di insediamenti produttivi operanti nell’area fra il Vesuvio e la piana del fiume Sarno. La conservazione delle strutture e dei suppellettili ci ha permesso di ricostruire le diverse fasi di trasformazione dei principali prodotti agricoli dell’area vesuviana. Due erano sicuramente le colture più praticate nella zona collinare: stiamo parlando della vite e dell’olivo. Tutte queste testimonianze sono raccolte nell’Antiquarium di Boscoreale.
Per quanto riguarda lo stivaggio delle derrate alimentari, sono state rinvenute tre tipologie di anfore:
- l’anfora fittile da trasporto di tipo Dressel 2-4, era utilizzata per il trasporto di vino;
- l’anfora fittile da trasporto di tipo Ostia LIX, utilizzata per il trasporto dell’olio;
- l’anfora fittile da trasporto di tipo pompeiano Schoene IV, utilizzata per il trasporto della frutta.

In località Villa Regina è venuta alla luce una villa rustica molto importante per la nostra ricerca di tracce inerenti l’archeologia del cibo. Fra gli ambienti più rilevanti ricordiamo:
- un vano adibito a deposito, in cui sono stati rinvenuti la maggior parte delle suppellettili della villa;
- il torcularium con i resti del torchio, la vasca di premitura ed il contenitore per il mosto;
- il triclinio, dove venivano consumati i pasti dai padroni di casa;
- la cucina, con un forno in muratura e il focolare al centro della stanza;
- un vano di servizio che ospitava la cisterna dell’acqua;
- il granaio per la conservazione di fieno, cereali e legumi.

Nella Villa di Numerio Popidio Floro sono state rinvenute pitture parietali raffiguranti alcune ceste e coppe colme di frutta, finemente dipinte in IV stile. Questa villa rustica, dedicata prevalentemente all’attività legate alla produzione del vino, fu scavata nel 1906: le pitture parietali meglio conservate furono staccate e vendute al Getty Museum di Malibù, in California. Alcune, fortunatamente, fanno parte della collezione degli affreschi del MANN.
La Collezione dei Commestibili del MANN
L’archeologia del cibo non si occupa solo di affreschi e mosaici, ma anche di cibo vero e proprio: durante le numerose campagne di scavo sono state rinvenute giare di terracotta, contenenti granaglie pronte per essere macinate, oltre a cestini di noci, mandorle e nocciole stipati nei magazzini. Uova, frutta e anfore di garum, sono solo alcuni degli alimenti perfettamente conservati e arrivati ai giorni nostri. I resti organici carbonizzati o sepolti dal fango, ci parlano di quella vita interrotta all’improvviso.
La Collezione dei Commestibili del Museo Archeologico di Napoli può essere considerata una delle più complete raccolte al mondo di reperti organici risalenti all’epoca romana. L’importanza di questi reperti era stata avvertita fina dalle prime campagne di scavo: Carlo di Borbone raccolse tutti i materiali organici nella vetrine dell’Herculenense Museum di Portici.
La Collezione dei Commestibili, considerata un vero e proprio tesoro, costituiva un nucleo importante del Gabinetto de’ preziosi e trovava luogo nella decima stanza del Museo: questa era stata concepita come settecentesca Wunderkammer, cioè una camera dove venivano riuniti tutti i pezzi più pregiati e rari delle collezioni.
Da Portici il Museo fu trasferito nell’attuale palazzo e il Gabinetto degli oggetti preziosi fu collocato alla destra della scalinata principale, tra la sezione dei vetri e quella degli oggetti osceni. La Collezione dei Commestibili venne scorporata dal Gabinetto da Giuseppe Fiorelli, direttore del Museo dal 1863 al 1875. Agli inizi del Novecento i Commestibili facevano parte dell’allestimento della Sala del Gran Plastico di Pompei, insieme ad affreschi e piccoli bronzi scelti tra l’instrumentum domesticum per illustrare al visitatore le testimonianze della vita quotidiana pompeiana. Nel 1989 il plastico fu sottoposto a restauro: la sala fu disallestita ed i Commestibili furono relegati al deposito.
Nel 2009 una parte dei reperti organici è stata trasferita nel Laboratorio di Scienze Applicate di Pompei per motivi conservativi fino a quando, nel marzo 2018, sono state allestite delle camere climatizzate nel Medagliere del MANN.