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Il thermopolium di Asellina a Pompei

A Pompei, prima della recente scoperta del Termopolio della Regio V che ha di nuovo acceso i riflettori su questi tipi di ambienti, il più celebre era il Termopolio di Asellina, posto in Via dell’Abbondanza al civico 2 della Regio IX (insula 7).

Fu così denominato dagli studiosi per via di un’iscrizione elettorale posta a lato della porta, nella quale Aegle Maria Asellina, proprietaria del locale, sosteneva un candidato al duovirato.

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Dettaglio dell’iscrizione elettorale – Parco Archeologico Pompei ©

In epoca Romana esistevano luoghi deputati alla conservazione delle derrate alimentari, così come spazi adibiti al consumo di cibi e vivande. Vi erano le cauponae – paragonabili agli odierni ristoranti – oppure i thermopolia o popinae, assimilabili ai bar o alle tavole calde di oggi.

La locanda di Asellina

L’ambiente presenta un ampio ingresso con la soglia in legno, parte della soglia è però occupata dal bancone che presenta vani per la conservazione del cibo e delle bevande a forma di “L”. Meno vivace del suo nuovo concorrente, la decorazione risulta meno caratterizzata: ha un semplice intonaco rosso che ricopre un muretto di mattoni, mentre il piano orizzontale si compone di lastre che presentano quattro vani di forma circolare che accolgono i contenitori fittili detti dolia. Al termine del bancone, in posizione sopraelevata rispetto al piano, è posto un fornello e una piccola caldaia in lamina di bronzo, che al momento del rinvenimento conteneva ancora l’acqua.

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Bancone di vendita del Termopolio di Asellina – Campagna di scavo 1910/11, negativo C438 –
Archivio della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Pompei ©

Bisogna infine ricordare che lo studio di questi ambienti risulta ancora sconosciuto, nonché ampio e molto articolato. L’attenzione riposta dagli antichi nell’edificazione di luoghi adibiti alla conservazione di alimenti portò a differenziare le tecniche e i modelli. Infatti, questi dovevano rispondere ogni volta a esigenze diverse, nonché adattarsi a contesti climatici disparati. Quest’ultimo fattore fu quello che più incise sui materiali e sulle tecniche: bisognava principalmente scegliere un luogo adatto, dopodiché scegliere il giusto materiale di rivestimento e i giusti spessori. La tecnica usata ad esempio nelle ghiacciaie, la sagramatura, serviva ad impermeabilizzare le pareti grazie a una speciale rifinitura della superficie intonacata.   

Oggi la particolarità di questi ambienti è la scelta degli studiosi di esibire anfore e contenitori così come sono stati messi al momento dell’eruzione. Infatti, già dal 1912 gli archeologi lasciarono la possibilità al visitatore di vedere così com’era la vetrina di un bar dell’epoca, con tutti i relativi suppellettili e arredi. Vi si possono osservare vasi a forma di gallo e di volpe, imbuti ed anfore vinarie. La luce proveniva da una lampada bifallica bronzea con pigmeo e cinque campanelli, simbolo apotropaico che teneva lontano il malocchio; un grande fallo è visibile graffiato su di una caricatura maschile avente una testa di animale posta sullo stipite destro della porta d’ingresso.

In fondo al locale, si scorge la base di una scala che serviva a raggiungere i piani superiori della locanda.

Bibliografia

📖 E. La Rocca, M. de Vos, A. de Vos, Pompei, Mondadori, Milano 1981.
📖 P. Zanker, Pompei, Società, immagini urbane e forme dell’abitare, Einaudi, Torino 1993.
📖 A. Ciarallo - B. Vernia, Conservare il cibo da Columella ad Artusi. I Luoghi della conservazione, Felici Editori Srl, Pisa 2009.

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a cura di

Simone Bonaccorsi

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