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La frutta sulle tavole dell’Antica Roma

Il consumo alimentare di frutta è sempre stato diffuso nella Roma Antica, come è logico aspettarsi in società prettamente agrarie. Al contrario di quanto si può osservare nella cucina medioevale e moderna l’uso di dolci elaborati non fu mai particolarmente diffuso nell’Urbe: il ruolo di dessert nelle tavole romane, anche nei fastosi banchetti di età imperiale, era riservato quasi esclusivamente alla frutta.

Un bene prezioso e deperibile

Come molti altri prodotti, anche molte varietà di frutti non erano tuttavia disponibili per le classi meno abbienti: la frutta costava cara, come ci lascia intendere Marziale, dato che un avaro anfitrione decise di non servirgliene (Marz. I, 43). In particolare doveva risultare particolarmente problematica la sua conservazione, tanto che numerose fonti forniscono informazioni sulle corrette procedure, o per la conservazione nei magazzini (Plin. Nat. Hist. XV, 59, Varro. Rust. I, 59, 1-3) o per mantenerla intatta e fresca nei recipienti.

In particolare, nel Libro I del De Re Coquinaria di Apicio, sono riportate le diverse metodologie, in base al frutto che si intendeva conservare. L’uva era da mantenere all’ombra all’interno di vasi colmi d’acqua piovana e sigillati con il gesso. Le mele erano da appendere dopo essere state immerse in acqua bollente, mentre le cotogne andavano sistemate assieme alle foglie dell’albero in un vaso, ricoperte da miele e mosto cotto. Fichi, prugne, pere e ciliegie erano invece tutti da immergere nel miele senza che vi fosse contatto fra essi. Cedri e more andavano conservati nel mosto cotto dopo la spremitura, preparazione che ricorda un po’ le moderne marmellate, senza tuttavia l’uso dello zucchero, sostanzialmente sconosciuto al tempo.

Tutti i frutti fin qui citati erano già ampiamente diffusi nella prima età imperiale, ma il loro arrivo sulle tavole romane avvenne in periodi ben diversi, tramite l’espansione dello stato romano, specialmente nei territori orientali, da cui arrivò gran parte delle specie vegetali attualmente diffuse e celebri nell’alimentazione occidentale (e molti altri, come lo zucchero e gli agrumi, arrivarono in epoca ancora più tarda).

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Frutta nell’Antica Roma: fruttiera con mele, uva e melograni e olla colma di fichi – Particolare di pittura murale presente nella praedia di Giulia Felice – Museo Archeologico Nazionale di Napoli ©

Quali frutti consumavano gli Antichi Romani?

Fin dalle origini era sicuramente diffuso il consumo di mele, di cui poi furono selezionate molte varianti specifiche e alcune, le cotogne, furono particolarmente apprezzate per la loro dolcezza. Le pere a loro volta furono probabilmente presenti fin dall’Alta Repubblica, come riporta Catone. La loro popolarità si può indirettamente evincere dallo straordinario numero di varietà riportate, ben 44 secondo Livio, di varia origine, gusto e grandezza (Plin. Nat. Hist. XV, 39) e stando ad Apicio erano utilizzate per realizzare le tipiche patellae, assieme a numerosi altri ingredienti, salati e dolci.

Tuttavia, il frutto senza dubbio più abbondante e disponibile nell’Urbe era il fico: Seneca lo riteneva la base dell’alimentazione romana, assieme al pane.

“Il pranzo è ridotto al minimo indispensabile; è pronto in un’ora, non mancano mai i fichi secchi (…); i fichi, se ho il pane, fanno da companatico, se non ce l’ho, da pane.”
Seneca – Epist. LXXXVII, 3

La sua abbondanza doveva rendere il costo piuttosto modesto e dunque esso doveva far parte dell’alimentazione quotidiana anche delle classi più umili, essendo presenti anche nelle commedie di Plauto come cibo essenziale se non quasi esclusivo dei meno abbienti (Plaut. Rud. 764). Persino gli schiavi dovevano mangiarne in gran quantità, tanto che a Roma si era soliti diminuire il vitto da fornire loro nei periodi in cui tali frutti maturavano, evidentemente perché era possibile procurarsene con facilità, almeno fino alla piena età imperiale, quando il consumo smodato e l’enorme popolazione dell’Urbe rese necessaria l’importazione da altre regioni.

Anche l’uva entrò ben presto nell’alimentazione romana, di cui esisteva un notevole numero di varietà e diverse modalità di conservazione: oltre che nell’acqua anche nel mosto o nella sapa. La varietà albana veniva, ad esempio, essiccata tramite affumicamento.

Frutta nell’Antica Roma: fichi secchi interi carbonizzati – Museo Archeologico Nazionale di Napoli ©

Frutta esotica e d’importazione

Frutti comuni al giorno d’oggi, come le albicocche, le pesche e le melograne entrarono invece piuttosto tardi nell’alimentazione romana. Le albicocche furono importate dal Medio Oriente, in piena età imperiale. Le pesche, giunte in verità dall’Estremo Oriente nel corso del I secolo d.C., certamente erano meno appetibili rispetto alle varietà odierne, frutto di secoli di innesti e selezioni. Le melograne invece giunsero a Roma dal Nord Africa, per la precisione dalle zone di Cartagine, come si può evincere dal nome, ovvero punica granatum.

Una citazione a parte la merita il dattero, un frutto giunto a sua volta dalle zone del medio oriente e del Nord Africa e che a Roma ebbe grande popolarità presso le classi sociali più abbienti di età imperiale: Apicio lo citò spesso nella sua opera, come sostituto del miele come dolcificante, contribuendo dunque alla creazione di numerosi piatti agrodolci della cucina imperiale romana.

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Frutta nell’Antica Roma : cesto contenente melograni e uve – Particolare di pittura murale presente nell’esedra della Casa di M. Gavius Rufus – Museo Archeologico Nazionale di Napoli ©

Bibliografia

🏺 De Re Rustica - Columella
🏺 De Re Rustica - Varrone
🏺 Naturalis Historia - Plinio il Vecchio
🏺 Apicio - De Re Coquinaria
🏺 Marziale - Epigrammi
🏺 Plauto - Rudens
🏺 Seneca - Epistole
📖 L’alimentazione nel mondo antico. I Romani - Istituto Poligrafico e zecca di stato - Roma, 1987
📖 C. Cerchiai Manodori Sagredo - Cibi e banchetti nell’antica Roma - Istituto Poligrafico e zecca di stato - Roma, 2004
📖 Panem et Circenses - Alberto, Jori - Nuova Ipsa Editore, 2016
📖 Hortus Pompeianus - Giuseppe Bulleri - Cartoindustria, 1985
📖 I frutti dimenticati - Morello Pecchioli - Gribaudo - 2017
📷 Ringraziamo la direzione del MANN per la concessione delle immagini

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a cura di

Leonardo Di Flaviani

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