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Curiosità e aneddoti gastronomici dei banchetti imperiali

Lo stile alimentare tipico degli imperatori non era di certo improntato alla sopravvivenza, poichè essi potevano lasciarsi andare a lussi e bizzarrie gastronomiche: molte sono le fonti a cui possiamo attingere, che più o meno direttamente, ci tramandano aneddoti gastronomici degli Imperatori romani. Non pochi di essi, infatti, sono ricordati come mangiatori e bevitori smodati e viziosi, dediti ai bagordi e alle gozzoviglie.

Aneddoti gastronomici in Svetonio

Svetonio, storico attivo fra il I e il II secolo d.C., ci ha lasciato un’importante traccia anche in questa direzione, nella sua opera De vita Caesarum, dodici volumi in cui si susseguono aneddoti biografici dei primi imperatori.

Dell’imperatore Caligola, già noto per la sue numerose stranezze, ci lascia detto che nei suoi banchetti bevesse:

“[..] perle preziosissime liquefatte nell’aceto e facendo servire ai suoi commensali pani e alimenti d’oro, perché ripeteva continuamente che doveva essere o un uomo frugale o un Cesare.” 
(Svetonio – Vite dei Cesari – Libro IV, 37)

Rimarca quindi quanto fossero insensate le sue azioni, che avevano come fine ultimo solo la pacchiana ostentazione. Anche Claudio, il suo successore, non viene risparmiato e viene descritto come:

“[…] sempre pronto a mangiare e a bere, qualunque fosse l’ora e il luogo, un giorno che sedeva come giudice nel foro di Augusto, fu allettato dal profumino di un pranzetto che si stava preparando nel tempio di Marte per i sacerdoti Salii: lasciando allora il suo tribunale, salì presso questi sacerdoti e si mise a tavola con loro. Insomma non lasciò mai la sala da pranzo senza essersi ben satollato e riempito di vino, in modo che subito dopo, mentre dormiva disteso sul dorso, con la bocca aperta, si doveva introdurgli nella gola una penna per liberargli lo stomaco.”
(Svetonio – Vite dei Cesari – Libro V, 33)

Questi eccessi gastronomici avevano delle ricadute sulla sua salute. Soffriva spesso di cattiva digestione e fu proprio la sua passione sfrenata per il cibo a condurlo alla morte: la moglie Agrippina lo avvelenò durante uno dei suoi banchetti, con un piatto di funghi velenosi.

Nemmeno Nerone viene risparmiato e delle sue abitudini alimentari sappiamo che:

[…] faceva durare i suoi banchetti da mezzogiorno a mezzanotte, ristorato assai spesso da bagni caldi o, durante l’estate, freddi come la neve. Arrivava anche a cenare in pubblico, sia nella naumachia chiusa, sia nel Campo di Marte, sia nel Circo Massimo e si faceva servire da tutti i cortigiani e da tutte le baiadere di Roma. Ogni volta che discendeva il Tevere per portarsi a Ostia o che doppiava il golfo di Baia, si installavano di tanto in tanto sulle coste e sulle rive alcune taverne nelle quali si potevano vedere donne di facili costumi, trasformate in ostesse, che lo invitavano di qua e di là, ad approdare. Egli si invitava anche a cena dai suoi amici: uno di loro spese così quattro milioni di sesterzi per un banchetto con diademi, ed un altro anche di più per adornarlo di rose.” 
(Svetonio – Vite dei Cesari – Libro VI, 27)

Poi Galba che:

” […] aveva bisogno di molto cibo che in inverno aveva l’abitudine di prendere anche prima dello spuntar del giorno e durante la cena era così abbondante che ordinava ai servi di girare attorno tendendo i resti raccolti sulle mani e di gettarli ai piedi di coloro che assistevano. ”
(Svetonio – Vite dei Cesari – Libro VII, 22)

Vitellio pare che si lasciasse andare a rutti sonori senza provare alcun imbarazzo, a riprova che aveva apprezzato il pasto e che lo aveva digerito. Anche lui, come Nerone, si auto invitava a pranzo presso gli amici. Il banchetto più famoso, presso il fratello, è sicuramente parametrabile ad una catastrofe ambientale: per sollazzare i palati dei commensali furono serviti ben duemila pesci di specie rarissime e settemila uccelli. La sua proverbiale avidità e ingordigia fu tale da essere ricordata anche negli scritti di Tacito.

L’unica eccezione fu Vespasiano, che viene ricordato per la sobrietà della sua condotta: si imponeva il digiuno una volta al mese, convinto che ciò giovasse alla salute. Queste buone abitudini alimentari seppe tramandarle anche al figlio, Tito, che lo succedette nel governo dell’impero: irrefrenabile nella sfera sessuale, è ricordato da Svetonio per “banchetti più gradevoli che dispendiosi” (Svet, libro VIII, 7).

Aneddoti gastronomici in altri autori

Giovenale, in una sua Satira, racconta la storia di un rombo dalle dimensioni inusitate, che un pescatore aveva regalato all’Imperatore Domiziano. Egli, non avendo a disposizione una pentola adatta alla cottura del pesce, convocò a villa Albana una sessione straordinaria del Senato: la seduta sancì che si sarebbe prodotto un tegame su misura.

“Fu preso, e tutta empì la rete un rombo
Maravigliosamente bello e grosso; […]
Una tal maraviglia è destinata,
Dal padron della barca e della rete,
al Pontefice Massimo.”
(Giovenale – Satire – IV)

Non solo i poeti, ma anche gli storici ci parlano di cibo, in particolare delle preferenze gastronomiche dei personaggi più in vista della società.

Elio Sparziano fu autore della Historia Augusta, una raccolta di biografie imperiali del periodo 117-284 d.C. In questa opera, emerge che il piatto preferito dell’Imperatore Adriano fosse il tetrafarmacum, un involucro di pasta dolce ripieno di un trito di carni di selvaggina miste, come lepre e fagiano.

“[…] inter cibos unice amavit tetrafarmacum, quod erat de fasiano, sumine, perna et crustulo.”
(Adriano – Historia Augusta -Libro XXI, 4)

Abbiamo indiscrezioni anche sui gusti dell’Imperatore Tiberio: questa volta è Plinio il Vecchio ad essercene testimone, nella sua opera omnia Naturalis Historia. Incline a gusti sobri e semplici, egli adorava anche le pastinache, al punto da farle importare dalla Germania dove ne cresceva una qualità migliore.

“Il cetriolo è del genere dei cartilaginosi e fuori del terreno, ricercato con incredibile piacere dal principe Tiberio. Non gli capitò infatti alcun giorno senza, grazie a quelli che rinnovavano i loro giardini pensili, che spingevano al sole su macchinari con ruote e nei giorni invernali di nuovo dentro ripari di vetri. Anzi fu scritto presso gli antichi autori della Grecia necessitare di essere seminati anche con il loro seme macerato nel latte mielato per due giorni, affinché diventassero più dolci.”
(Plinio – Naturalis Historia – Libro 19, 64)

Bibliografia

🏺 Vite dei Cesari, Gaio Tranquillo Svetonio
🏺 Satire, Giovenale
🏺 Historia Augusta, Adriano
🏺 Naturalis Historia, Plinio il Vecchio
📖 Panem et circenses, Alberto Jori, Nuova Ipsa Editore, 2016
📖 Storie, Publio Cornelio Tacito, Garzanti, 2020

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a cura di

Martina Tapinassi

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