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La Fibula Prenestina: storia di un reperto discusso

In antico le fibule non erano altro che spille che si usavano per fermare le vesti di chi le indossava. Nel caso nostro si tratta di una spilla molto particolare: la Fibula Prenestina è un reperto in oro, quindi di notevole valore per chi la portava, molto discussa per la sua dubbia autenticità. Risalente circa al VII secolo a.C. è lunga circa 11 cm, pesa 36,2 grammi e sul puntale, cioè la parte più spessa, ha inciso in direzione retrograda ed in latino arcaico:

MANIOS:MED:FHE⋮FHAKED:NUMAISOI
“Manio mi ha fatto/donato per Numerio”.

Questa frase rende l’oggetto parlante, che vuol dire che presenta un donatore-committente a chi la legge.

fibula prenestina
Fibula Prenestina – Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini ©

Com’è stata ritrovata?

La Fibula Prenestina venne ritrovata ufficialmente nel 1876 nella Tomba Bernardini, situata nella necropoli che durante l’anno 1875 ricevette più attenzioni grazie al nuovo direttore Giuseppe Fiorelli, che iniziò ad usare nuove tecniche stratigrafiche e a musealizzare i reperti. Difatti, nel 1876 nacque il museo preistorico-etnografico di Luigi Pigorini (dove oggi è conservata la fibula) e nel 1889 la collezione etrusca di Villa Giulia.

La scoperta venne dichiarata molto più tardi, nel gennaio 1887, dall’archeologo Wolfgang Helbig all’Istituto Archeologico Germanico. Nei Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung dello stesso anno, Helbig racconta di come ne venne in possesso:

“Un mio amico mi mostrò recentemente una fibula d’oro acquistata da lui nell’anno 1871 a Palestrina e munita sul canale d’una iscrizione latina grafita. Tale fibula appartiene alla classe generalmente chiamata «ad arco serpeggiante» […] Benché non si sappia, in quale tomba sia stata rinvenuta questa fibula, nondimeno possiamo stabilire lo strato donde proviene. Simili fibule d’oro finora si sono trovate soltanto in sepolcri, il contenuto dei quali si raffronta con quello della tomba ceretana scoperta dai signori Regulini, sepolcri che con perfetta sicurezza possono attribuirsi al VI secolo. Mi limiterò a citare soltanto alcuni esemplari, la cui provenienza dall’anzidetto strato è testificata in maniera indubitabile […] Notai tra essi tre fibule d’oro, le quali mostrano il medesimo tipo dell’esemplare trovato nell’anno 1871 e ne diversificano soltanto in cose accessorie”. 

Fin qui sembrerebbe tutto normale se non che l’archeologo sbaglia sulle date e afferma che la spilla è stata trovata e non acquistata, concludendo in questo l’intervento in maniera contradditoria. Inoltre, l’amico di cui parla è Francesco Martinetti, colto possidente romano, antiquario, incisore di gemme e cammei ed esperto di numismatica che avrà una parte importante negli sviluppi futuri della fibula.

Mercato e contesto

Appurato che il manufatto provenga dal mercato antiquario, bisogna tenere ben presente che nell’Italia post unitaria il commercio di reperti archeologici era un vero e proprio business redditizio: gli stranieri che venivano in Italia per acquistare testimonianze di un glorioso passato, il più delle volte erano dilettanti molto danarosi, non gli importava di possedere vere e proprie rarità o contraffazioni; questo stato indusse molti archeologi e antiquari senza tanti scrupoli a inquinare il mercato con falsificazioni e copie. Tra chi gestiva il mercato antiquario romano non sempre lecito vi era il Martinetti, proprio l’esperto intagliatore di gemme sopra citato, che lo stesso Helbig in una lettera non stenta a definire il “più onesto di tutti”.

Pratica molto comune era dare false indicazioni di provenienza e datazione, con il fine di richiamare possibili compratori e rispondere ai loro desideri. A questo si aggiungevano poi le antichità falsificate di cui esisteva una fiorente produzione in Campania. Napoli, ad esempio, forniva un gran numero di falsi vasi i cui centri di produzione erano a fianco dei siti archeologici di rinvenimento degli stessi!

Vera o Falsa?

Vedendo gli attori gravitanti intorno alla Fibula Prenestina e la provenienza della stessa, tra la comunità scientifica iniziò fin da subito un acceso dibattito riguardo l’autenticità.

Nel 1888 il glottologo Giacomo Lignana analizzò la scritta e concluse le sue ricerche affermando che si trattasse di un falso. Su questa scia il paletnologo Giovanni Pinza la confrontò con altre fibule ritrovate a Chiusi e Volterra, e insieme all’orefice Augusto Castellani conclusero che si trattava di un falso suggerendo persino il nome dell’artefice. Il glottologo Vittore Pisani nel 1932 notò come l’incertezza del ductus dell’iscrizione non sarebbe mai potuta essere di mano di un orefice del VII secolo, e la portò come altra prova oltre l’incongruenza temporale tra la scoperta della Tomba Bernardini (1871, data conosciuta dai documenti dell’epoca, la vera scoperta della tomba risale al 1876) e la dichiarazione del ritrovamento della fibula (1887), ben sedici anni più tardi!

Una delle voci più veementi nel sostenere la falsità fu sicuramente quella della glottologa, epigrafista e archeologa Margherita Guarducci, che in un convegno tenutosi all’Accademia del Lincei a Roma nel 1978 espose un’aspra critica nei confronti dell’archeologo e dell’antiquario, romanzando le loro vicende personali e ricostruendo i vizi e le poche virtù dei due che insieme avrebbero creato questo falso storico.

Nel 1978 si aggiunsero anche le prime analisi chimiche sul reperto condotte dai chimici Pico Cellini e Giulio Devoto. Si trattava di analisi a microscopia e a fluorescenza x che portarono alla conferma della falsità. Cellini trovò tracce di acqua ragia usata per invecchiare il metallo, nonché vide alcune alterazioni nella doratura a mercurio. Inoltre, l’oro era duttile e “fresco”, non scagliato e fragile come quello di altri reperti che si trovano normalmente nelle tombe.

L’etruscologo Giovanni Colonna invece difese la veridicità del pezzo e le buone intenzioni dei due protagonisti della storia. La sua tesi si fondò sul fatto che:

“(…) la falsificazione di un’iscrizione del VII secolo a.C. fosse impensabile prima della scoperta della stele del Foro effettuata solamente nel 1899, e quindi un abile falsario non avrebbe mai realizzato un’iscrizione così imprecisa ed incerta”.

I glottologi Massimo Poetto e Giulio Facchetti nel 2009, con una nuova indagine filologica, constatarono che il testo del reperto era autentico perché molto simile ad un’iscrizione su di un vaso corinzio che riportava il nome Numasiana richiamando il Numaisoi della fibula.

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L’iscirizione della Fibula Prenestina – StorieParallele ©

Tirando le somme

Per “chiudere” il misterioso caso vogliamo citare le considerazioni finali delle analisi scientifiche di Edilberto Formigli e Daniela Ferro, ricercatori presso il CNR, eseguite nel giugno del 2011.

“Grazie alle analisi chimico fisiche dei solchi dell’iscrizione, agli esami micro/nano diagnostici e al microscopio elettronico a scansione, gli studiosi sono giunti così a delle conclusioni: l’iscrizione è stata effettuata copiando un testo già scritto, l’incisione era imprecisa perché l’oro non si incide facilmente (risultato anche di prove di laboratorio); la presenza di micro-cristallizzazione nei solchi dell’iscrizione e di concrezioni e crepe è possibile solo quando un reperto riposa secoli sotto terra, quindi anche l’iscrizione risulta autentica”.

Ancora oggi la spilla d’oro instilla in noi quel ragionevole dubbio che ci fa sospettare della sua autenticità o meno. Vera o meno, credo che da questa storia bisogna trarre delle considerazioni che valgano come crescita per la nostra amata disciplina: queste potrebbero essere degli spunti di riflessione dalla quale partire per trarre un insegnamento generale.

Infatti, il caso della Fibula Prenestina ci mostra quanto un pezzo possa avere una sua storia che si slega dal contesto originario: una storia che mette in mostra modi di pensare, agire e intendere la cultura nelle epoche passate; ma mette anche in mostra come venne intesa l’archeologia, la storia e la ricerca scientifica. Infine, sarebbe auspicabile una vasta alleanza tra le scienze “esatte” e la filologia e l’archeologia, queste ultime spesso relegate perché focalizzate su “cose vecchie e ammuffite”. Un sodalizio così proficuo può consegnarci dati esatti e attendibili che, a volte, possono riscrivere la storia di una comunità, di un popolo o di una civiltà.

Bibliografia

📖 G. Camporeale, Gli Etruschi storia e civiltà, UTE, Torino 2004
📖 V. Monteverdi, La Fibula Prenestina, studio di un “falso” non falso (?), Corso di Storia Moderna 2013-2014
📄 W . HELBIG, Sopra una fibula d'oro trovata presso Palestrina - Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 2, 1887, S. 37-39
📄 Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Cnr, Università ‘La Sapienza' di Roma, Comunicato stampa del 11 giugno 2011, Museo Pigorini di Roma

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a cura di

Simone Bonaccorsi

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