La notizia ha catturato l’attenzione e l’entusiasmo di tutti gli addetti del settore, oltre che dei semplici appassionati di Storia Antica e della Gastronomia: il 26 Dicembre 2020 il Parco Archeologico di Pompei ha comunicato il rinvenimento integrale di un termopolio, eccezionalmente conservato, a completamento di un lavoro iniziato nel 2019 con il “Grande Progetto Pompei”.
Cos’è un termopolio?
Il termopolio era un locale dove si esponevano e vendevano prodotti alimentari già pronti e cucinati, utili specialmente per il prandium dei Romani, che spesso veniva consumato rapidamente, senza allestimenti particolari, durante le giornate lavorative.
Al contrario di quanto avviene attualmente nei locali moderni, le pietanze non erano tuttavia esposte alla vista del cliente, bensì inserite all’interno di dolia, profondi vasi di terracotta inseriti all’interno del bancone stesso.

Alcuni prodotti tipici erano comunque visibili al cliente, dipinti in modo realistico, come ad esempio un gallo e due anatre germane, ritratte a testa in giù, pronte a essere macellate e/o vendute. Frammenti ossei di tali animali sono infatti stati ritrovati all’interno dei vasi di terracotta, assieme a lumache di terra e pesci. La presenza, tra glie elementi vegetali, di tracce di fave sbriciolate confermerebbe tra l’altro il loro utilizzo nel rendere bianco il vino scuro, come riportato da Apicio (I,5) che nella sua opera, il De Re Coquinaria, come la farina di fave, gli albumi delle uova o la cenere di vite potessero essere utilizzati per lo scopo, dopo aver agitato il vino e a averlo lasciato riposare per una giornata.
Le pitture
Tra le immagini perfettamente visibili si riscontrano comunque anche riferimenti alla mitologia, come una Nereide, divinità marina (Pompei del resto era in prossimità del mare) e una rappresentazione piuttosto minacciosa di un cane, verosimilmente di guardia.

Interessante è inoltre il graffito inciso al di sopra di esso: “Nicea cineade cacator”. Si tratta evidentemente di un epiteto tra l’ingiurioso e il goliardico (“Nicea cacatore invertito”) che fornisce un colorito spezzone della vita quotidiana a Pompei. Possiamo solamente immaginare chi fosse Nicia. Sicuramente il nome richiama a origini grecizzanti (del resto Pompei stessa, sebbene fortemente romanizzata almeno dell’epoca di Ottaviano Augusto, aveva origini elleniche), forse si riferisce al proprietario del termopolio o ad un lavoratore, oppure ad un cliente o passante che era stato visto espletare i propri bisogni nei pressi del locale stesso, imbrattando la via. Il problema dei cacatores e dell’igiene è presente in numerose altre fonti letterarie e archeologiche: sui muri di Pompei stessa, ad esempio, è riportata una minaccia esplicita alla categoria: “cacator cave malum”, ma tali individui vengono citati da numerosi altri autori di età imperiale, da Petronio passando per Giovenale e Marziale, confermando la popolarità del tema.

Vi è, nei ritrovamenti, anche tracce del dramma che si consumò in città nel 79 d.C., come si evince dal rinvenimento di resti umani appartenenti probabilmente ad un uomo sulla cinquantina, che come molti altri sfortunati non riuscì a sfuggire all’eruzione del Vesuvio e al disastro che ne seguì.
L’importanza della scoperta
Importante, nell’analisi della nuova scoperta, come riportato da Massimo Osanna, direttore del Parco, è stata l’impostazione multidisciplinare, che ha visto la collaborazione tra varie figure professionali: un archeologo, un archeobotanico, un archeozoologo, un antropologo fisico, un vulcanologo e un geologo, a conferma dell’interdisciplinarietà degli studi storici e archeologici e degli infiniti sbocchi che questi possono avere tra le diverse branche specialistiche del sapere e della ricerca.
Il ritrovamento ha senza dubbio un’importanza rilevante nella ricostruzione della cultura alimentare del periodo romano, soprattutto per quanto riguarda la vita quotidiana popolare, dato che le fonti letterarie a noi pervenute sono opera di individui appartenenti ai ceti più elevati della società. Il progredire delle ricerche e dei ritrovamenti ci consente quindi di ampliare la nostra conoscenza sul consumo e sulla preparazione di determinate pietanze e anche di confermare parzialmente la veridicità di alcuni passi letterari, come il già citato vino bianco ottenuto mischiando farina di fave alla bevanda, fino ad arrivare alle patellae apiciane, ovvero ricette contenenti un mix di ingredienti normalmente tenuti separati nella cucina moderna, come carne e pesce.
