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Il pesce e i prodotti ittici al tempo dei Romani

Il consumo alimentare di pesce e altre specie ittiche, per quel che si riscontra nelle fonti, entrò relativamente tardi nelle abitudini culinarie degli Antichi Romani. Si può presupporre, vista la posizione strategica dell’Urbe, posta sul fiume Tevere e con uno sbocco marittimo relativamente vicino, che un consumo occasionale di pesce fluviale e marittimo ci sia sempre stato, tuttavia è solo dalla tarda età repubblicana e nella prima età imperiale che si ebbe un fiorente commercio che modificò la cucina capitolina, rendendo i prodotti ittici estremamente popolari e portando a frequenti attestazioni del loro utilizzo in cucina. Le fonti letterarie a nostra disposizione sull’argomento sono infatti di età imperiale (spaziando ad esempio tra Columella, Macrobio, Apicio, Marziale e Svetonio), fornendoci importanti indizi sulle specie più popolari per gli antichi romani.

pesce romani
Piatti da pesce – Collezione Costantini – Museo Archeologico di Fiesole (Firenze) © 

Quali pesci consumavano i Romani?

Ovviamente non tutti i pesci erano disponibili per la plebe: la maggior parte della popolazione doveva accontentarsi di esemplari di piccole dimensioni (pisciculi) da consumarsi prevalentemente fritti oppure all’interno di piatti unici, le cosiddette patellae (Apicio, De Re coquinaria): ciò non vuol dire che il loro consumo fosse disdegnato dai ceti più elevati, come si evince dall’annotazione di Svetonio, che riporta come tali pisciculi fossero molto apprezzati da Augusto.

Apprezzare piatti “poveri” e “popolari” era certamente anche un modo per apparire vicino alle antiche tradizioni e alla morigeratezza propagandata dal mos maiorum romano. Non sorprende quindi che, in antitesi ai gusti di Ottaviano, Diocleziano (imperatore particolarmente odiato dalle fonti di rango senatorio e sottoposto a damnatio memoriae da parte del senato) avesse gusti estremamente raffinati, preferendo pesci rarissimi e costosissimi, tanto da convocare presso la sua abitazione i senatori per decidere come cucinare un immenso rombo (Giovenale, IV, 37-135).

Altri pesci ricercati erano la spigola e lo storione, mentre estremamente popolare era il consumo di carne di anguille e murene. Specialmente queste ultime erano uno degli alimenti più ricercati dai Romani, tanto che, stando a Plinio (Nat Hist. 9, 171), Cesare arrivò a indebitarsi per distribuirne ben 6000 alla plebe in occasione dei trionfi con cui celebrava nell’Urbe i suoi successi, dopo averle acquistate presso i vivai di Irrio.

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Quadretti con nature morte – Museo Archeologico Nazionale di Napoli © 

Il commercio ittico

La popolarità culinaria delle specie ittiche infatti incentivò nel corso della storia romana un fiorente commercio e un parallelo sviluppo di allevamenti. Le anguille più gustose per Macrobio infatti arrivavano dallo stretto di Messina ma la loro abitudine a vivere in acque fangose e poco pulite rendeva facile l’allevamento anche per piccoli privati: Marziale era solito tenerne sempre di fresche nello stagno del suo podere in Iberia (Marz. XII, 31, 5).

Fin dalla fine dell’età repubblicana infatti i patrizi iniziarono a costruire delle vere e proprie piscine di acqua salata per allevare i pesci da consumare. Esse non erano dunque solo un efficace metodo di conservazione, ma un vero e proprio status symbol che indicava l’agiatezza del proprietario. Non di rado, tuttavia, i patrizi finirono per affezionarsi ai loro pesci, trattandoli come veri e propri animali domestici, tra il dileggio di autori come Cicerone (che li definì sprezzantemente piscinarii) e Plinio, che ci informa dell’abitudine della figlia di Druso, Antonia, di applicare orecchini alla sua murena “domestica” prediletta.

Queste piscine ebbero successo fin dal primo secolo a.C., anche se Columella ci informa di ipotetici allevamenti già in età precedente, nelle acque lacustri. Successivamente andarono a declinare nella tarda età imperiale, assieme all’apparato statale imperiale che ne garantiva il commercio, anche se alcuni prodotti ittici, come le sardae, erano presenti ancora nell’editto di Diocleziano (V, 12). Nonostante la popolarità di tali alimenti tuttavia non si interruppe, anzi, in età cristiana finì per legarsi alla pratica religiosa, dato che frequente era il richiamo al loro consumo all’interno dei Vangeli.

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Fauna marina – Casa dei Mosaici Geometrici (Pompei) – Museo Archeologico Nazionale di Napoli © 

Bibliografia

🏺 Apicio, De re coquinaria
🏺 Columella, De re rustica
🏺 Giovenale, Satirae
🏺 Macrobio, Saturnalia
🏺 Marziale, Epigrammi
🏺 Plinio, Naturalis historia
🏺 Svetonio, De vita caesarum
📖 L’alimentazione nel mondo antico. I Romani. Istituto Poligrafico e zecca di stato, Roma, 1987.
📖 C. Cerchiai Manodori Sagredo, Cibi e banchetti nell’antica Roma, Istituto Poligrafico e zecca di stato, Roma, 2004

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a cura di

Leonardo Di Flaviani

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