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Vita quotidiana in un monastero

Nell’immaginario collettivo, anche grazie allo stimolo di prodotti della cinematografia o dell’editoria, la vita quotidiana in un monastero può essere riassunta nell’espressione “Ora et labora“. La realtà tuttavia era ben diversa e alcuni documenti ci raccontano di numerose intemperanze attraverso i secoli.

Il monachesimo: dall’Antichità al Medioevo

Il monachesimo rappresenta un fenomeno comune trasversale in molte religioni e si sviluppò in particolare all’interno del Cristianesimo sin dai primi anni di vita della neonata confessione. Pur essendo un movimento a maggioranza maschile, sono attestati già dalla fase arcaica anche monasteri femminili, pur non essendo molto diffusi. Questo fenomeno religioso e sociale era ben noto anche all’interno dell’Ebraismo, come evidenzia la scoperta dei Rotoli di Qumran e della comunità essena di Khirbet Qumran in Giordania, i cui tratti sembrano in qualche modo anticipare ciò che accadde nel contesto cristiano. In entrambi i casi infatti permaneva il concetto fondante di fuggire dalla mondanità e dalle tentazioni della città, figlio della spinta escatologica che pervase il mondo da II e III secolo d.C.

Una vita di rinuncia al piacere: sesso, soldi, guerra e famiglia. I voti di povertà e castità erano genericamente accompagnati da preghiera e penitenza, per sé stessi e per gli altri. Personaggi solitari: secondo l’etimologia greca (mónakhos), difatti, il termine monaco può essere tradotto con l’espressione “uno che sta solo“. Nel Cristianesimo, in particolare, il monachesimo si sviluppò in area di influenza alessandrina, un ambiente fortemente pervaso da fervore religioso nel senso cristiano del termine; l’imminente Parusìa del Cristo imponeva dunque un cambio radicale nello stile di vita. Un personaggio iconico, che riassume in sé questa immagine, è sicuramente Sant’Antonio, di cui l’agiografia ha reso celebre l’episodio di quando nel deserto veniva tentato dal diavolo.

La Regola come regola

Una caratteristica comune a tutte le organizzazioni monastiche fu sicuramente la dimensione comunitaria, riassunta nel voto di obbedienza all’Abate e sintetizzato nella Regola, una serie di norme pratiche cui aderire per vivere in equilibrio e armonia. Per questo il monachesimo è detto anche Clero Regolare.
Bisogna ribadire che le forme monastiche furono molte e con caratteristiche a volte molto diverse tra loro. Proveremo in questa sede a tracciare dei principi generali valevoli per il monachesimo in generale. Essendo il movimento nato in area alessandrina, le prime “Regole” furono scritte in greco, siriaco, armeno e furono essenzialmente episodi locali e non sottoposti al controllo di alcuna autorità ecclesiastica. Solo in un secondo momento, in occidente, emerse la figura di Benedetto da Norcia (480-541) che, con la sua Regola Benedettina, fu l’ispiratore di una forma di istituzione monastica più strutturata e inserita nel contesto di una preminenza gerarchica della chiesa cattolica.

La Regola Benedettina era, rispetto alle altre, meno severa e più agevole da seguire anche per novizi appartenenti a ceti sociali medio alti. Per elencare solo alcuni esempi, ai malati era concesso bere vino e mangiare carne. Ovviamente questa maggiore ragionevolezza non andava intesa come lascività: bisognava vivere una dimensione umana, senza esagerare, ma al tempo stesso senza arrivare all’autodistruzione nella penitenza. Inoltre, i monaci non potevano uscire dal monastero, se non per casi eccezionali, previo permesso concesso dall’Abate.

La giornata tipo nel monastero medievale

I Monaci pregano, in comunità, tutti insieme secondo un rituale scandito in particolari ore del giorno. La loro giornata è suddivisa in attività manuali e contemplative, avevano l’obbligo di coricarsi presto, svegliarsi di notte e pregare nuovamente. Le preghiere riguardavano sia la lettura delle Sacre Scritture che la composizione di inni e musica sacra. All’alba partiva il ciclo di preghiere mattutine, che si ripeteva dopo pranzo e nel pomeriggio, con connotazioni diverse per ogni fase della giornata. Era un regime di vita concepito attorno a regole ben precise, che mirava come detto ad estraniarsi dal mondo, per creare una connessione con Dio. Il poco tempo libero del pomeriggio veniva dedicato alla cucina, alla cura dell’orto e ad altri lavori manuali.

Libri e biblioteche nei monasteri

Di forte rilevanza era la fabbricazione di libri e l’attività di trascrizione, che avvenivano nello scriptorium, un locale del monastero adiacente alla biblioteca. Molto interessante in tal senso fu l’opera di Cassiodoro (485-580) che attivò uno scriptorium atto al recupero del patrimonio della tradizione letteraria greco-latina nel Monastero di Vivarium, nei pressi di Squillace in Calabria.

Pergamena, pelli di animali e codici scritti con inchiostro erano i protagonisti di questa attività culturale. Potevano essere copiati libri antichi, ma si potevano anche stilare cronache degli avvenimenti coevi, preziose fonti storiche per i tempi successivi.

A proposito di libri, vogliamo ricordare un aneddoto incisivo: Carlo Magno era afflitto dal fatto che nel suo Impero non ci fossero abbastanza libri. Ne era la prova il fatto che non tutte le chiese fossero in possesso di una copia completa della Bibbia. Per ovviare a questo problema, occorreva produrre la Bibbia in serie e l’incarico a fu affidato all’Abbazia di San Martino a Tours, la più grande della Gallia. I monaci vi lavorarono a tempo pieno, per riuscire a produrre due volumi all’anno. Queste dinamiche ci fanno comprendere in modo diretto quanto fosse pesante l’attività copiativa a quel tempo.

Bibliografia

🏺 Cassiodoro - Variae
📖 La Chiesa nel Medioevo - C. Azzara e A.M. Rapetti - Il Mulino - 2009
📖 Storia del Cristianesimo - G. Filoramo - Laterza - 2008
📖 Manuale di Storia Medievale - A. Zorzi - Utet - 2016
📖 Storia degli Esseni - E. Benamozegh - Marietti - 2018

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a cura di

Martina Tapinassi

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