La Rivolta dei Ciompi è una delle rivolte medievali italiane più studiate dagli storici e di cui abbiamo una cospicua quantità di fonti, anche illustri, come quella del Machiavelli.
La rivolta dei Ciompi fiorentina è però solo l’apice di una serie di rivolte che dal 1371 si snocciolano per il centro Italia trovando una rilevanza nelle rivolte di Siena e Perugia. La più peculiare e studiata rimane quella fiorentina, tanto studiata e nota che viene spesso presa come termine di paragone con altre rivolte contadine o del popolo che scoppiano in Europa nel corso del Trecento.
Chi erano i Ciompi?
I Ciompi, artefici di un tumulto che ha segnato la storia fiorentina, erano operai salariati che nella piramide sociale dell’epoca si collocavano nella parte più infima e quindi privi di qualsiasi rappresentanza nel sistema corporativo medievale. L’etimologia dei Ciompi deriva dal loro lavoro, essi per lo più erano lavoratori nel settore laniero, quindi erano coloro che Ciompavano ovvero battevano la lana.

Gli antefatti della Rivolta
Come abbiamo già detto la rivolta fiorentina è solo l’ultimo episodio di una più estesa rivolta nel centro Italia. A Firenze le ragioni più profonde della rivolta affondano le loro radici dagli avvenimenti politici e sociali avvenuti dal 1345 in poi. In questa metà del Trecento la società fiorentina dovrà affrontare una serie di difficoltà politiche ed economiche che esaspereranno il popolo minuto e lo porteranno alla rivolta. Dopo la Peste Nera del 1348 Firenze dovrà fare i conti con una serie di problemi economici legati anche alla riaffermazione dell’economia veneziana. Col tempo Firenze ingaggiò diverse guerre, prima con Pisa (1362-1364) che costò ingenti somme di fiorini al popolo; poi dal 1375 ingaggiò una guerra con alcuni comuni del centro Italia contro il Papa Gregorio XI (Guerra degli Otto Santi) che si concluse in un bagno di sangue, in una perdita di denaro e la salita al soglio pontificio di Urbano VI. Questa serie di guerre contribuirono ad esasperare l’economia del popolo, soprattutto di chi privo di rappresentanza nelle arti, subiva il peso delle tasse.
Cronologia della Rivolta
I fatti di quell’estate fiorentina sono molto complessi e intricati tra loro, tutto pare nasca dall’ottenimento del Gonfalone di Giustizia da parte di Salvestro de Medici, uno dei maggiori esponenti della fazione democratica. Di contro la Parte Guelfa cercava e tramava di togliere il Gonfalone al De Medici, visti i pareri contrastanti nella Parte Guelfa su quando e se attaccare pubblicamente il De Medici, si temporeggiò fino al 24 giugno, giorno in cui doveva essere solennemente consegnato il Gonfalone. Inizialmente la natura di questa rivolta era prettamente politica, vedeva contrapposte due fazioni: il partito di Parte Guelfa ed il Partito degli Otto (rappresentante di banchieri, mercanti, imprenditori, bottegai, artigiani di cui facevano parte anche eminenti esponenti delle famiglie nobili fiorentine)[1].
Naturalmente la Parte Guelfa non si aspettava una partecipazione popolare alla cerimonia né tantomeno un’insurrezione. La situazione degenerò quando il 18 giugno Salvestro de Medici presentò una petizione per reintrodurre gli ordinamenti di giustizia del 1293. Riaccese le rivalità ed il confronto tra la fazione dei Magnati e quella dei Popolani il 21 giugno il popolo minuto si radunò per protestare con la Parte Guelfa in Piazza dei priori e, anche nei giorni successivi, chiedeva a gran voce norme che risultassero antimagnatizie e iniziarono a riversarsi anche per le strade della città accanendosi contro case e beni degli esponenti di Parte Guelfa appartenenti per lo più al popolo grasso. Gruppi di rivoltosi si rovesciarono anche nelle galere cittadine liberano coloro che erano imprigionati per debito, questa prima sommossa fu sedata dalle milizie cittadine ma ormai i lavoratori salariati e coloro che appartenevano al popolo minuto con scarsa rappresentanza nelle Corporazioni avevano compreso la loro potenza e iniziarono ad unire le forze[2].

Una nuova fase rivoltosa si ebbe a luglio quando sia i Ciompi che i membri delle arti minori si allearono dando vita ad una rivolta, ben più importante ed organizzata della prima, che scoppiò il 20 luglio. Il popolo alleatosi chiedeva a gran voce la liberazione degli arrestati e soprattutto di un certo Simoncino D’Andrea arrestato nei giorni precedenti e torturato affinché rivelasse quante più informazioni possibili riguardo la rivolta. Da questo momento in poi il corso degli eventi degenerò folle arrabbiate assalirono le case degli esponenti di parte guelfa, assalirono il palazzo pubblico, bruciarono gli atti dei processi ai lavoratori e nella concitazione degli eventi presero il Palazzo della Signoria. Era il 22 Luglio quando i priori (eletti un mese prima) cedettero e fecero entrare il popolo al cui comando c’era Michele di Lando “Pettinatore di Lana”[3]. Il “governo” formatosi un mese prima si dimise e nell’attesa che se ne formasse uno nuovo verso fine agosto i rivoltosi con a capo Michele di Lando istituirono un loro governo provvisorio rinnovando, naturalmente, i membri del consiglio. Questo nuovo governo doveva garantire la rappresentanza del popolo e delle arti minori, in queste “riunioni” si presero una serie di misure contro i rappresentanti della Parte Guelfa, furono costituite ben altre tre corporazioni: l’arte dei Tintori, l’arte dei Farsettai e l’arte dei Ciompi; vennero stillati nuovi criteri per l’elezione nei consigli della repubblica con una divisione paritaria delle cariche tra i gruppi delle corporazioni (Maggiori, Minori e neocostituite)[4].
L’entusiasmo di questi giorni andò scemando soprattutto conseguentemente al rivelarsi del governo provvisorio, i provvedimenti presi si rivelarono insufficienti; a questo si aggiunse anche la diffusa disoccupazione del popolo minuto dovuto al blocco dell’industria laniera; l’alleanza tra le varie arti minori che aveva animato la rivolta nelle prime battute andava vacillando sulle onde dell’insoddisfazione da parte di artigiani e commercianti. I ciompi ben presto si ritrovarono soli in questa impresa, abbandonati dal popolo minuto che ormai aveva raggiunto i suoi obiettivi. Questo “lento abbandono” di altri lavoratori lì destabilizzò, infatti si riunirono autonomamente solo verso la fine di agosto. Tra il 26 ed il 27 agosto circa 200 lavoranti si riunirono nel quartiere Camaldoli e tentarono di rimettere su una corporazione di lavoratori che richiedesse altri diritti per la loro classe sociale.
Il 27 agosto però, i ciompi si radunarono in Piazza San Marco dove venne istituita una commissione di 8 membri per fungere da Governo-ombra a quello di Michele di Lando al fine di chiedere ed ottenere i tanto desiderati diritti. La diatriba che ne scaturì fu condotta fino in Piazza della Signoria dove il governo di Michele di Lando, forte della sua posizione, ordinò la soppressione della rivolta da parte delle milizie cittadine. La reazione del governo provvisorio al governo ombra fu brutale e violenta e culminò il 31 agosto in un bagno di sangue in piazza della Signoria. I ciompi rivoltosi si resero quindi conto che il popolo che anche in quel frangente li aveva sostenuti ora non era più con loro e si ritrovarono inermi a sopprimere sotto i colpi della milizia.
All’indomani di questo cruento episodio, il 1° settembre 1378, un parlamento generale appositamente convocato abolì l’arte dei Ciompi.
Giudizi e diatribe storiografiche
Molti sono stati gli storici coevi al periodo che hanno narrato i fatti della rivolta, tra i più eminenti sicuramente Machiavelli che nelle sue Istorie Fiorentine (Capitolo III) traccia un resoconto molto dettagliato della rivolta aggiungendo anche dei dialoghi inventati per dare una certa importanza alla sua testimonianza e cercare di riportare il clima di quei giorni:
“[…] Dove alcuno de’ più arditi e di maggiore esperienza, per inanimire gli altri, parlò in questa sentenza: Se noi avessimo a deliberare ora se si avessero a pigliare le armi, ardere e rubare le case de’ cittadini, spogliare le chiese, io sarei uno di quelli che lo giudicherei partito da pensarlo, e forse approverei che fusse da preporre una quieta povertà a uno pericoloso guadagno; ma perché le armi sono prese e molti mali sono fatti, e’ mi pare che si abbia a ragionare come quelle non si abbiano a lasciare e come de’ mali commessi ci possiamo assicurare. […]”
(Niccolò Machiavelli – Istorie Fiorentine – Libro III, capitolo 13)
Questo è solo un esempio di dialogo che Machiavelli inserisce nelle Istorie, naturalmente non mancano i suoi giudizi e pensieri politici, in particolare riguardo Michele di Lando ne esalta le virtù politiche:
“Accettò Michele la signoria; e perché era uomo sagace e prudente, e più alla natura che alla fortuna obligato, deliberò quietare la città e fermare i tumulti.”
(Niccolò Machiavelli – Istorie Fiorentine – Libro III, capp. 16-17)

Quella di Machiavelli è una testimonianza fondamentale che avvalora, per quanto possibile, le fonti a nostra disposizione.
Machiavelli non fu l’unico studioso dell’epoca a riportare l’accaduto, anche Filippo Villani, nipote di quel Giovanni autore della “Cronica”. Il Villani in uno dei suoi scritti (probabilmente nei capitoli successivi al tredicesimo della Cronica da lui redatti) commenta la disfatta dei Ciompi come un evento causato dal loro stesso tradimento.
Questo episodio della storia fiorentina, però, è stato oggetto di interesse anche da parte di numerosi storici successivi non solo italiani, che ne hanno visto una qualche valenza politica. Studiata internazionalmente si è facilmente adattata ad una lettura marxista, sostenuta da Nicolò Rodolico e da Ernesto Screpanti, la Rivolta dei ciompi viene facilmente definita come una primordiale lotta di classe. Il Rodolico la definisce “una pagina di storia del proletariato operaio”[5]; Screpanti invece afferma che: “solo se riesce a superare quei pregiudizi si può arrivare a comprendere la portata, il significato e la vera natura del “tumulto” dei Ciompi. Si scoprirà che si è trattato di una rivoluzione nel peno senso moderno della parola, e una rivoluzione scoppiata nel punto più alto dello sviluppo capitalistico di allora.”[6]
Di contro abbiamo la tesi di coloro che non vedono in un’ottica marxista la Rivoluzione, tra questi l’esponente più emerito della tesi è Brucker esplicitata in “The Ciompi Revolution” nel quale “sosteneva come la rivoluzione dei ciompi introducesse violenza all’interno dell’arena politica.”[7]
Come si è ben capito il dibattito storiografico intorno questo episodio è acceso e fervido e sicuramente ha bisogno di maggiore attenzione e analisi.
In questa proliferazione di letture del fenomeno dobbiamo però porre l’attenzione su un fattore fondamentale, al di là di qualsiasi chiave di lettura gli si voglia dare è innegabile che i Ciompi non conoscessero e non avessero maturato idee politiche ma che agissero con l’intento di cambiare la propria condizione e di tutelarsi.
Note al testo
[1] Carlo Falletti-Fossati, “Tumulto dei ciompi, studio storico-sociale”, Libro II
[2] Franco Franceschi, “I “Ciompi” a Firenze, Siena e Perugia” in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento : un Confronto pagg 227 e seg.
[3] Niccolò Machiavelli, “Istorie Fiorentine”, Libro III capp. 16-17
[4]Franco Franceschi, “I “Ciompi” a Firenze, Siena e Perugia” in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento : un Confronto pagg 227 e seg.
[5] Niccolò Rodolico, “I ciompi, una pagina di storia del proletariato operaio”, Sansoni, Firenze 1980
[6] Ernesto Screpanti, “La politica dei Ciompi: petizioni, riforme e progetti dei rivoluzionari fiorentini del 1378” in Archivio Storico Italiano Vol. 165, No. 1 (611) (gennaio-marzo 2007) pag. 3-4
[7] Patrick Lantschner, “The ‘Ciompi Revolution’ Constructed: Modern Historians and the Nineteenth-Century Paradigm of Revolution.”