La città di Taranto fu fondata dagli Spartani alla fine dell’VIII secolo a.C. e la data che viene comunemente accettata, sia dalle fonti antiche che da quelle moderne, è quella riportata da Eusebio di Cesarea del 706-705 a.C. Le fonti storiche che menzionano la fondazione della nuova colonia in territorio italico sono quelle degli storici greci Antioco di Siracusa (V secolo a.C.) e Eforo (400 a.C.- 340 a.C.), entrambi riportati da Strabone.
Il mito fondativo
Il racconto degli autori antichi è sostanzialmente unanime nell’ attribuire la fondazione della colonia ai Parteni, ovvero la generazione di Spartani nata negli anni della Prima Guerra Messenica (743 a.C. – 724 a.C.).
Secondo il racconto di Antioco, i Parteni erano i figli degli Spartani che non presero parte alla guerra contro Messene e per questo non potevano essere considerati cittadini legittimi. Uno dei Parteni, Falanto, dopo essersi messo a capo di una rivolta, subito scoperta e sedata, si recò a Delfi e ottenne questo responso dall’oracolo:
ὁ δ’ ἔχρησε Σατύριόν τοι δῶκα Τάραντά τε πίονα δῆμον οἰκῆσαι, καὶ πῆμα Ἰαπύγεσσι γενέσθαι. | Ti dono Satyrion e ti concedo anche di abitare il ricco paese di Taranto e di diventare flagello per gli Iapigi |
Seguendo quanto gli era stato annunciato, Falanto si mosse con un gruppo di Parteni verso l’Italia meridionale e fondò la città di Taras, dal nome dell’eroe figlio della Ninfa Satiria e di Poseidone, a cui sarebbe collegata la fondazione dell’indigena Satyrion (Saturo).

Il racconto di Eforo, che sembra essere ricco di maggiori informazioni (Eforo, fr. 216 Jacoby, apudStrabo., VI, 3,3), conferma la fondazione di Taranto ad opera dei Parteni, sostenendo che questi erano figli delle donne spartane e dei giovani guerrieri, che non vincolati dal giuramento d’età, erano stati rimandanti in patria per unirsi alle vergini e scongiurare che Sparta dopo tanti anni rimanesse senza nascite. Tuttavia, i nati da queste unioni non furono riconosciuti cittadini legittimi e furono pertanto privati di ogni diritto. Secondo Eforo, al tentativo di rivolta contro Sparta, parteciparono anche gli Iloti; anch’essi poi, abbandonarono la città e presero parte alla spedizione di Falanto.
Il mito racconta che durante il suo viaggio, Falanto a seguito di un naufragio nel golfo di Crisa, fu soccorso da un delfino e portato a cavalcioni a riva. L’immagine, che comparirà nel sistema monetale tarantino, si sovrappone anche alla raffigurazione di Taras, che secondo il mito avrebbe avuto una stessa sorte in mare.
Sulle popolazioni indigene con cui gli Spartani entrarono in contatto una volta sbarcati, le fonti antiche scrivono:
ἧκον οὖν σὺν Φαλάνθῳ οἱ Παρθενίαι, καὶ ἐδέξαντο αὐτοὺς οἵ τε βάρβαροι καὶ οἱ Κρῆτες οἱ προκατασχόντες τὸν τόπον. | Giunsero dunque i Parteni insieme con Falanto, e i barbari e i cretesi che abitavano quel luogo, li accolsero. |

La conferma archeologica
Come testimoniano le evidenze archeologiche, gli Iapigi abitavano il territorio dalla fine dell’età del Bronzo e intorno al golfo di Taranto erano sorti importanti centri abitativi che avevano raggiunto una notevole ricchezza e autonomia: resti di un importante insediamento indigeno furono trovati a Borgo Nuovo (ad oriente dell’istmo), a Scoglio del Tonno e a Satùro.
La presenza dei Cretesi nella fonte sopra riportata può essere giustificata con il fatto che questi centri Iapigi erano entrati fortemente in contatto con i commercianti e i naviganti micenei. I ritrovamenti di Scoglio del Tonno e di Satùro confermano una ricchissima frequentazione greca di questi territori che di conseguenza ne rimasero profondamente influenzati, e forse è questo il motivo che può avere generato confusione nei coloni. Il fatto che la fonte riporti proprio i Cretesi comi abitatori del territorio di Taranto, può essere collegato alla visione diretta di oggetti greci sul luogo oppure essere semplicemente legato alla sfera mitica di Taras, il fondatore di Satyrion, la cui madre era figlia di Minosse.
Gli scavi archeologici hanno evidenziato che nel territorio tarantino, alla fine dell’VIII secolo a.C. si assiste ad una improvvisa sovrapposizione della città greca, evidenziando come il passaggio possa essere avvenuto in maniera repentina e drammatica per le realtà indigene. È verosimile infatti pensare, stando alle evidenze archeologiche che non vi sia stata una lenta e graduale integrazione con le popolazioni esistenti. Gli Spartani si sostituirono completamente al popolo preesistente acquisendo il controllo totale del Mar Piccolo e del Golfo. I dati archeologici costituiscono perciò un’ottima conferma della datazione fornita da Eusebio.

Cenni sulla cultura iapigia
All’epoca della fondazione della città greca di Taranto, la cultura iapigia, il cui territorio corrispondeva più o meno all’attuale regione Puglia, si presentava ancora piuttosto unitaria. Il processo di differenziazione che porterà alla distinzione di tre culture distinte, messapica (regione meridionale), peucezia (regione centrale) e daunia (regione settentrionale) conoscerà una importante accelerazione proprio con l’arrivo dei greci e la fondazione di Taranto.
Le evidenze archeologiche hanno evidenziato una sostanziale affinità in tutto il territorio sia per quanto concerne gli abitati sia in ambito funerario. Nel primo caso, in tutta la regione, gli abitati sulla costa sembrano prediligere luoghi difesi naturalmente, mentre nel territorio interno sono distribuiti in spazi più ampi. Le singole abitazioni sono per lo più di forma rettangolare con un lato absidato (come, ad esempio, a Torre Castelluccia) ma è presente anche un secondo tipo a pianta rotonda (ad esempio a Lavello). Sono state individuate anche delle strutture più grandi, a pianta rettangolare, che erano probabilmente destinate allo svolgimento di attività pubbliche, civili o religiose; una di queste strutture, recinta anche da un muro perimetrale, è stata indagata a Gravina.
Anche nell’ambito funerario le evidenze archeologiche hanno confermato questa importante affinità in tutta la regione: quasi esclusiva è la pratica dell’inumazione in semplice tomba a fossa (in alcuni casi, laddove la conformazione del terreno lo permetteva anche scavate nella roccia come, ad esempio, nel Gargano); il corpo del defunto veniva posto su un fianco con gli arti flessi.
Sono state indagate anche delle tombe a tumulo, anche se molto più rare e ad uso esclusivo di famiglie e personaggi di rango (Arpi). La sommità della tomba a tumulo è costituita da un cumulo di pietre e delimitata da un circolo di pietre infisse nel terreno. All’interno potevano essere ospitate più sepolture e quella del personaggio principale si trova sempre nella parte centrale, rivestita da lastre di pietra. Molto frequenti sono anche le sepolture ad Enchytrismòs utilizzate per lo più per le deposizioni infantili.

Nell’ambito della cultura materiale cominciano ad affacciarsi i primi tratti distintivi all’interno della regione già in questa fase; nella regione meridionale è molto rara, ad esempio, la scultura in pietra che è invece già molto diffusa nel territorio settentrionale e diventerà un reperto distintivo della cultura daunia. Inoltre, in Daunia già da ora è presente, anche per altre classi di materiali, una produzione molto più ricca e variegata (fibule, bronzetti figurati, piccola plastica fittile).
Nella produzione ceramica, la classe più diffusa è la “ceramica dipinta di stile geometrico”, caratterizzata da una argilla chiara con decorazioni in colore scuro, divisa in “geometrico iapigio” nella parte meridionale della regione e “geometrico protodaunio” in quella settentrionale. Tra le forme maggiormente utilizzate rientrano le olle, le brocche e piccole brocche a corpo globulare. Il comparto decorativo che già da subito si presenta molto ricco (rombi, motivo a scaletta, raggiera ecc.…), si arricchirà ulteriormente con l’influenza della ceramica corinzia a partire dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. con chevrons, zig-zag e meandri sia spezzati che a profilo continuo. La ceramica geometrica conoscerà un’ampissima diffusione, anche al di fuori del territorio iapigio, arrivando in territorio piceno ma anche in Dalmazia.
