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Istituzioni greche arcaiche: il caso della dibattuta Legge di Chio

Per lo studio dell’Antico, qui in particolare rivolto alle istituzioni politiche della grecità arcaica, un contributo di straordinaria importanza è fornito dalle testimonianze epigrafiche, fonti di imprescindibile valore che, se da un lato contribuiscono alla ricostruzione dei diversi contesti, dall’altro sono irrimediabilmente foriere di nuove problematiche, che richiedono grande attenzione e rispetto da parte dello studioso contemporaneo, talvolta vittima della tentazione di istituire paralleli forzosi con contesti lontani geograficamente e cronologicamente, andando ad alterare l’autenticità della testimonianza che il passato ci ha restituito.

Questo è senza dubbio quanto accadde all’epigrafe nota come «Legge di Chio», recentemente analizzata da Paolo Costantini nell’ambito del progetto «AXON», importante database in fieri di iscrizioni greche nato in seno all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Il contesto chiota nel VI secolo a.C.

L’isola di Chio, spesso trattata in modo cursorio all’interno della manualistica scolastica ed universitaria, costituisce, a discapito delle sue poche menzioni, un fulcro molto importante nella storia socio-politica della grecità antica. Il resoconto più ampio che le fonti antiche ci restituiscono al suo riguardo è costituito dal libro VIII dell’opera storica di Tucidide, il quale dedica una cospicua porzione ad eventi che riguardano direttamente l’isola, la quale defezionò nel 412 a.C. dall’alleanza con Atene per allearsi con Sparta. Pur conoscendo l’irascibilità di Atene nei confronti di ogni defezione, qui la situazione appare differente, se non altro in termini di first reaction della grande potenza. Chio infatti, qualificata come μεγίστη πόλις[1] all’interno degli alleati di Atene, appare da subito come molto potente dal punto di vista economico, e fondamentale nella strategia bellica, grazie soprattutto ai suoi rifornimenti navali. La defezione dell’isola crea da subito grande angoscia negli Ateniesi, i quali temono di non riuscire a tenere le fila del loro ‘impero’[2], ora che la polis più importante è venuta meno. In altro contesto militare i Chioti diedero segno dell’importanza del loro appoggio, ovvero durante la battaglia di Lade (494 a.C.), in cui fornirono un contingente navale di 10 unità. Proprio quest’ultimo avvenimento ha fornito lo spunto per una dettagliata analisi della Chio arcaica da parte dello storico C. A. Roebuck, esposto nel corso dell’importante convegno monotematico Chios. A conference at the Homereion in Chios[3], svoltosi nel 1984 nella stessa isola. Come lo storico canadese ben evidenzia, è nei secoli VII e VI che va ricercato il fondamento di quella che sarà la grande prosperità economica dell’isola in età classica. Ivi si trovano le azioni basilari che hanno consentito la fondazione di una rete commerciale fitta ed inclusiva dei grandi snodi quali la Naucrati egizia. Chio in particolare è nota nell’antichità anzitutto per la sua attività vitivinicola, che ebbe cura di esportare anche nella sua colonia sulla terraferma, Maroneia, e per la sua industria navale. Non sono queste però le uniche fonti di profitto: Roebuck non sottovaluta l’importanza della sua posizione, un punto di passaggio necessario per la navigazione costiera verso l’Ellesponto e le regioni del mar Nero, che probabilmente è stato sfruttato con l’imposizione di pedaggi per consentire l’attraversamento.

Proprio per le peculiarità a noi note riguardo la Chio di età classica – una polis molto ricca con un numero molto elevato di schiavi e di uomini non liberi, in cui un ruolo di primaria importanza nel governo era svolto dalla boule – già in questo contesto arcaico si possono forse ravvisare i fondamenti di un modello costituzionale più vicino ad un modello oligarchico che non democratico, in un solco che è probabilmente proseguito sino ai secoli V ed oltre, almeno fino al 394 a.C. – data del primo imporsi di una costituzione democratica -, stando alle testimonianze post classiche di Demostene ed Aristotele e a quella imperiale di Ateneo di Naucrati, le quali ci restituiscono una Chio con un ristrettissimo corpo civico ed un ordinamento politico chiaramente oligarchico.

Proprio dal VI secolo proviene l’importante epigrafe oggetto di analisi di questo articolo, un’iscrizione straordinaria e fondamentale per comprendere i processi formativi della polis ad un’altezza cronologica tanto avanzata.

La «Legge di Chio»

Testo[4]Traduzione
Faccia d
[—Ἀ]ρτ̣ε̣μισιῶνος vac.
[—]ων ὅρκια ἐπι-
ταμνέτω ϙὠ̣[μνύτω? —]
[— β]α̣σιλεῦσιν vac.
Faccia d
Nel mese di Artemisio vac.
[…] stringa un patto e
E faccia [i giuramenti? …]
[…] con i basileis vac.
Faccia a
[—]κα: τῆς Ἱστίης δήμο                       5
ῥήτρας ⁝ φυλάσσω[ν? —]
[—]ον ἢρει: ἢμ μεν δημαρ-
χῶν: ἢ βασιλεύων: δεκασ[θῆι? —]
[—?τῆ]ς Ἱστίης ἀποδότω: δημα-
ρχέων ἐξπρῆξαι τὸν ἐ[ξετάστην? —]   10
[—]εν δήμο κεκλημένο 
αλοιαι τιμὴ διπλησ[ίη? —]
[—]ν ̣ ὅ̣σ̣η̣ν ̣ π̣αρα̣ λ̣οι.ω̣[.]
Faccia a
[…]KA di Hestia osservando
Le ordinanze del demos […]
[…]ON HEREI sia in qualità di
Demarco sia in qualità di basileus
[Se dovesse essere corrotto?…]
[… ?di] Hestia restituisca (la somma) in
qualità di demarco, (la) esiga l’[extetastes? …]
[…] riunitosi il demos
ALOIAI una multa [doppia? …]
[…]N della cifra di […]
Faccia b
[…]η̣ν ̣ δ’ ἥκκλητος δ.ί̣[κη? —]
[—]ἢν δὲ ἀδικῆται παρὰ:                     15
δημάρχωι στατῆρ.[ας? —]
Faccia b
[…] se il convocato [in un procedimento? …]
[…] avesse subito un’ingiustizia presso
Il demarco, stateri […]
Faccia c
ἐκκαλέσθω ἐς
βολὴν τὴν δημ-
οσίην‧ τῆι τρίτηι
ἐξ ἐβδομαίων                                        20
βολὴ ἀγερέσθ-
ω ἡ δημοσίη ἐ-
πιθώιος λεκτ-
ὴ πεντήϙοντ’ἀπ-
ὸ φυλῆς τὰ τ’ἄλ[λ]-                              25
[α] πρησσέτω τὰ δή-
μο καὶ δίκα[ς ὁ]-
[ϙό]σαι ἄν ἔκκλ
ητοι γένων̣[τ]-
[αι] το μηνὸς π-                                    30
άσας ἐπι[…]
[….]̣ σ̣ ε ̣ ε ̣ ρ ̣ […]
Faccia c
Si faccia appello alla
boule, quella pubblica: il terzo
Giorno dopo le Ebdomee
Si riunisca la boule pubblica,
Con il diritto di infliggere pene,
Eletta di cinquanta membri
Per tribù e amministri tutti gli altri
Affari del demos e i processi, tutti [quanti]
Potrebbero essere convocati per avere luogo
Durante il mese di […]

Commento ed analisi delle istituzioni menzionate dall’epigrafe

La presente iscrizione ha attirato l’entusiasta attenzione del mondo scientifico sin dal momento del suo rinvenimento, avvenuto nei primi anni del 1900 da parte dell’archeologo tedesco Paul Jacobsthal, il quale individuò l’iscrizione in contesto di reimpiego, incastonata nel muro di contenimento della strada che, partendo dalla cittadina di Chios, collegava il villaggio di Tholopotami al sud dell’isola, indi allo sbocco marittimo meridionale. Le autorità locali provvidero al trasferimento della stele presso il Museo Archeologico di Istanbul, sotto numero d’inventario 1907, luogo dove è tuttora custodita. Dopo un momento di oblio, la conoscenza della stele venne riportata alla luce grazie agli studi condotti in loco dall’epigrafista britannico H. T. Wade-Gery, dai quali presero le mosse le dettagliate analisi dell’archeologa ed epigrafista britannica L.H. Jeffery, dando l’avvio al dibattito che tuttora prosegue attorno a questa assolutamente peculiare iscrizione.

Da un punto di vista materiale, l’iscrizione è incisa su una stele di trachite rossastra, una roccia magmatica piuttosto comune nell’antistante regione anatolica, alta 74 cm, larga 45 cm e spessa 16/17 cm. L’altezza delle lettere varia dai 2 ai 4 cm. Lo spazio interlineare medio è di 1 cm. L’iscrizione corre sulle quattro facce della stele secondo andamento bustrofedico e presentando alcune differenze tra esse. Difatti il βουστροφηδόν procede verticalmente sulle facce a, b, d, orizzontalmente sulla faccia c. Ulteriori differenze possono essere ravvisate nella tecnica incisoria e nella prassi grafica: a e b mostrano un utilizzo quasi sistematico della punteggiatura, resa mediante l’utilizzo del triplo o doppio punto verticale, mentre c e d al contrario sono sprovviste di qualsiasi indicazione di divisio verborum. La scrittura sulle facce a, b e d si configura come piuttosto ariosa, presentando lettere alte e tracciate con accuratezza, mentre c presenta uno stile meno composto. Si è notata anche la differenza del tratto incisorio: b, c e d palesano un tracciato molto più profondo rispetto a quello di a. L’editor princeps dell’iscrizione, l’insigne filologo classico U.  von Wilamowitz-Moellendorf, suggerì come datazione dell’epigrafe il 600 a.C. circa, sulla base sostanzialmente di due motivazioni. Anzitutto, una di carattere paleografico basata sulla presenza di ϙ, generalmente sinonimo di arcaicità, che conduce direttamente alla seconda motivazione, chiosata piuttosto perentoriamente: «ein Bruder der solonisehen Gesetzespyramiden, eher älter als jünger»[5], andando con questa menzione del poeta-legislatore ateniese a concludere il cerchio che si era aperto con la titolazione nell’editio princeps della stele come «Κύρβις von Chios»[6]. L’interpretazione del Wilamowitz, tanto tenacemente attaccata all’idea di un legame molto stretto tra l’epigrafe chiota e l’iniziativa legislativa di Solone, si impose nel dibattito critico, variamente ripresa e modellata, sino ad arrivare ad opinioni ulteriormente azzardate che vorrebbero proprio l’epigrafe chiota come modello d’ispirazione per Solone nella sua stesura delle leggi ateniesi[7]. Nel suo fondamentale riesame del documento, L. H. Jeffery si propose di rianalizzare tra gli altri anche il punto concernente la datazione. In aperto contrasto con il Wilamowitz ella ascrisse la produzione dell’iscrizione agli anni tra il 575 ed il 550 a.C. L’abbassamento della datazione è stabilito sempre su base paleografica, oltre che sulla cautela ad istituire un legame con l’operazione soloniana. In particolar modo, Jeffery si concentra sulla compresenza dell’eta aperto, del qoppa e del theta crociato. Nella documentazione analizzata dalla studiosa l’eta aperto parrebbe frequente in Ionia non prima del 575 a.C., secondo l’esempio di alcune dediche samie da lei addotto[8]. D’altro canto, Costantini porta alla conoscenza un altro documento epigrafico, sempre proveniente da Chio, più precisamente in località Emporio, nella costa sud-orientale dell’isola, il quale testimonia proprio la compresenza nella stessa iscrizione sia di ϙ che di η aperto[9]. La critica contemporanea è dunque propensa ad una datazione compresa tra il 600 ed il 575 a.C., una posizione in grado di conciliare i due estremi proposti da Wilamowitz e Jeffery e comunque ben supportata dalla comparazione con la documentazione epigrafica superstite[10].

Un vivace scambio di idee è scaturito anche in merito alla tipologia del documento e soprattutto sulla definizione del suo contenuto.

Analizzando il contenuto dell’epigrafe, si constata immediatamente la menzione di pratiche inerenti alla stipulazione di un patto (ὅρκια, l. 2) e, forse, di giuramenti rituali incardinati nella prassi politico-istituzionale (l. 3)[11], in cui si potrebbe ravvisare un totale o almeno parziale coinvolgimento di figure designate come basileis[12]. Questo titolo, presente al dativo plurale ed al participio nominativo singolare all’interno della stessa stele, potrebbe riferirsi ad una magistratura di carattere collegiale[13], i cui compiti specifici non sono però esplicitati nella stele – se non quelli di custodia od osservanza delle rhetrai del demos in a. La menzione di tale carica risulta tuttavia familiare e potrebbe far pensare a un residuato di matrice aristocratica con competenze in materia cultuale, come parrebbe suggerire DGE 688, epigrafe di V secolo che riconduce al suo ufficio la pronunzia delle «maledizioni ufficiali». Mazzarino[14] ritiene che i basileis qui menzionati siano l’elemento aristocratico organizzatosi e costituitosi in magistratura ufficiale, dotati dunque di un considerevole peso specifico in materia civile[15]. Dunque si configurerebbero come un riferimento importante ad elementi aristocratici ed elitari presenti nell’ordinamento di Chio. All’interno del testo riportato sulla faccia a si ha la presenza di un doppio riferimento ad Ἱστίη/ἱστίη (ll. 5, 9), che a causa della scrittura capitale tipica dell’età arcaica e classica non fornisce un certo riferimento al teonimo o al sostantivo. Si ha notizia di un importante culto tributato alla dea Hestia nell’antistante Eritre[16], ma si conosce la venerazione del focolare comune come centro polide in tutto il mondo greco. Non è improbabile che con questa menzione si alludesse ad un luogo di particolare importanza politico-istituzionale, così come plausibile appare anche l’ipotesi che vorrebbe Hestia come divinità atta a supervisionare l’osservanza da parte degli alti magistrati alle rhetrai del demos, coinvolta poi (l. 9) anche nella custodia delle somme derivanti dalle multe riscosse[17]. Alle linee 5-6 si menzionano le δήμο(υ) ῥήτρας, che sono oggetto del probabile participio seguente, φυλάσσων. L’esegesi di questo passaggio è complessa. Se il termine δῆμος si fa latore di una polisemia assolutamente considerevole, non sono da meno il termine ῥήτρα e nemmeno il verbo φυλάσσειν. Anzitutto, la definizione di δῆμος. A questa altezza è davvero difficile pensare che con tale formulazione si intendesse indicare l’intera popolazione chiota, comprendendo quindi sia i facenti parte del corpo civico – per la cui definizione non abbiamo demarcazioni certe – sia gli esclusi. Forse è più plausibile con δῆμος pensare ad una definizione che comprenda i maschi liberi adulti, o comunque una porzione molto ben definita del corpo civico, sebbene sfuggano i criteri specifici atti a determinarla. Il termine ῥήτρα, se da un lato ha portato Jeffery a considerare quanto consistenti fossero le sue attestazioni in ambito peloponnesiaco e laconico[18], dall’altro ha indotto il Wilamowitz a parlare di novità per la sua attestazione in ambito ionico in quanto significante una «Costituzione data dal popolo»[19]. Costantini, basandosi sugli studi giuridici di G. Camassa, crede che ῥήτρα evochi la legislazione, ad un’altezza cronologica in cui sta probabilmente avvenendo il passaggio dall’oralità alla scrittura anche nell’ambito delle norme legislative[20]. Ulteriori punti di incertezza e discussione derivano dal verbo che ha come oggetto queste ordinanze o leggi: φυλάσσω. Questo termine conosce una valenza doppia: da un lato dà l’idea del «custodire», dall’altro dell’«osservare». Jeffery, considerando il primo significato, ha ritenuto di intravedere un parallelo con l’istituzione dell’Areopago ateniese nel suo status pre-efialtico: un organo guardiano delle leggi e deputato alla loro custodia, la cui specifica azione di vigilanza era posta in essere dai thesmothetai. Questo compito di custodia secondo l’autrice sarebbe stato svolto nella Chio arcaica dalle alte magistrature del demarco e dei basileis, forse includendo questa specifica formulazione in un giuramento iniziatico pronunziato prima di entrare in servizio[21]. Di diverso parere è Werlings[22] la quale, traducendo φυλάσσων come «osservando», «conformandosi», vede un compito cui il demarco e basileis dovevano sottostare durante l’intero esercizio del loro ufficio, divenendo passibili di penalità in caso di contravvenzione a questi principi guida che regolavano il funzionamento delle magistrature, i quali sarebbero stati istituiti dal δῆμος secondo il parere della studiosa francese.

Proseguendo, si ha la menzione in forma participiale e correlata di due istituzioni. Primariamente si incontra il demarco, carica largamente attestata nel mondo ionico. Δήμαρχος, nell’interpretazione esasperata di Tod[23], viene ritenuto niente meno che l’equivalente di quelli che poi nella Roma antica saranno i tribuni plebis. Contro questo patente anacronismo si scagliò Mazzarino, definendo assurda l’impalcatura costruitasi attorno questa stele che vorrebbe a tutti i costi vedervi una manifestazione integralmente democratica. L’opinione di Mazzarino riguardo a questa carica è di intravedervi un «archos dello Stato», non certo un protettore del demos o una carica istituita per esso[24]. Jeffery, chiedendosi quale sia la reale fisionomia di questa carica, risponde che, sulla base delle poche informazioni che ricaviamo dall’iscrizione, il demarco è un’alta magistratura non legata alle istanze del demos, né deputata alla sua protezione, né tantomeno portatrice di istanze democratiche[25].

Lo studioso italiano C. Ampolo ha evidenziato in un suo contributo del 1983 di straordinaria importanza per lo studio della presente epigrafe come l’opposizione tra demarco da un lato in quanto protettore del demos e basileis dall’altro come retaggio di un passato aristocratico e dispotico non convinca, anche perché l’uso participiale e strettamente correlato esposto alle linee 7-8 parrebbe suggerire la nomina di due cariche sostanzialmente paritetiche e non in conflitto tra loro[26].

Alla linea 11 si trova la formulazione in genitivo assoluto δήμο κεκλημένο, che io ho tradotto come «riunitosi il demos». Questa è l’esplicitazione delle modalità con le quali all’istituto identificato con il demos è concessa la possibilità di esercitare un ruolo attivo nella politica chiota, ovverosia la possibilità di riunirsi in assemblea.

La menzione di questa riunione di carattere assembleare ha carattere pressoché straordinario, in quanto la documentazione epigrafica successiva restituitaci da Chio e i resoconti storiografici inerenti la sua poco limpida organizzazione costituzionale enfatizzano con molta più insistenza un altro organismo istituzionale, menzionato in questo contesto con significativa reiterazione nella faccia c: la βōλὴ δημοσίη.

Come sopra più volte ricordato, l’ editor princeps ricondusse l’epigrafe chiota alla sfera ideologica di Solone, e buon gioco venne dato in questo senso da un probabile fraintendimento dell’organo sopra detto. Menzionato alle linee 18-19 e 21-22, questo consiglio δημόσιος costituisce il protagonista di una vexata quaestio che va a coinvolgere non solo il VI secolo, arco temporale da cui l’epigrafe proviene, ma anche la storia successiva, fino a portarci alle soglie dell’età ellenistica.

La faccia c della stele, l’unica recante un βουστροφηδόν orizzontale, oltre ad un tratto molto più marcato e profondo, delinea una situazione che, nonostante le lacune, rende ben chiare le specificità politiche, istituzionali e giuridiche di questo organo.

Il verbo ἐκκαλέω alla linea 17 indica l’idea di «convocare», «radunare per un preciso scopo». Oggetto è la boule, specificata dall’aggettivo in posizione attributiva δημόσιος, concordato al genere femminile, la cui menzione viene successivamente reiterata alle linee 21-22 al momento in cui si definiscono i tempi, i modi e i fini della riunione buleutica. In particolare, sono istituzionalizzate delle riunioni di cadenza mensile, il 9 di ogni mese secondo la formulazione «il terzo giorno dopo le Ebdomee», festività fisse in onore del dio Apollo celebrate il settimo giorno di ogni mese. Conseguentemente, si fa riferimento alle prerogative strutturali e politiche di questa boule: essa è anzitutto ἐπιθώιος, aggettivo non comune che fa riferimento con ogni probabilità alla possibilità di infliggere pene,  indi conosce una composizione per elezione di cinquanta uomini per ogni tribù (ll. 23-25 λεκτὴ πεντήϙοντ’ἀπὸ φυλῆς). Non ci è dato conoscere il dato numerico onnicomprensivo dei membri della boule. Un importante studio di W. G. Forrest ha messo in evidenza come tra IV e III secolo a.C., sulla base delle testimonianze epigrafiche restituite dall’isola, fosse ancora viva in Chio una suddivisione tribale organizzata secondo frammentazioni e sotto-unioni particolarmente complesse e non del tutto nitide.[27] Inoltre, questo quadro piuttosto complesso si accompagna ad una incertezza sull’esatto numero di queste macro-tribù, potendo al limite orientare su un minimo di tre – quindi, un minimo di 150 membri della boule. L’iscrizione prosegue ancora per qualche rigo prima di perdersi immancabilmente. Tra i compiti di questo consiglio rientreranno la gestione e l’amministrazione di tutte le altre questioni del demos (l. 25-26 τὰ τ’ἄλ[λ][α] πρησσέτω τὰ δήμο) e dei processi d’appello, tutti quanti avranno luogo nel mese che intercorrerà tra le due riunioni buleutiche (ll. 27-31 καὶ δίκα[ς ὁ][ϙό]σαι ἄν ἔκκλητοι γένων̣[τ][αι] τ῀ο μηνὸς πάσας ἐπι[…]).

Wilamowitz[28] ha intravisto in questo organismo la prefigurazione di un Volksrat, un consiglio popolare dotato di prerogative democratiche, il quale, come evidenzia Tod[29] e come smentisce Ampolo[30], parrebbe sopravvivere a lato di un altrimenti non ben definito consiglio aristocratico, dai contorni elitaristici e conservatori, proprio come, secondo gli studiosi citati, sarebbe accaduto ad Atene con la sopravvivenza dell’Areopago a lato della boule prima soloniana – di storicità tutt’altro che certa – indi clistenica. Forrest[31] sostiene che se pure si ritiene l’epigrafe portatrice di albori democratici questi non devono essere tuttavia andati molto lontano, a giudicare dal prescritto della lex sacra riportata in DGE 693, il quale evidenzia chiaramente l’accentramento del potere decisionale e legislativo attorno al fulcro della boule[32] e dalle testimonianze via via successive che in diacronia parrebbero restituirci il ritratto di una Chio oligarchica, a tratti addirittura dispotica. Determinante, all’interno di un dibattito sempre più arenato verso posizioni apodittiche, fu il contributo di C. Ampolo, il quale concentrò la propria attenzione sulla circoscrizione delle prerogative di questa boule, attraverso un’analisi focalizzata sulla specifica di questo consiglio, approfondendo il termine δημοσίη. Ampolo, partendo da una lucida analisi lessicale, evidenzia come nulla autorizzi a parlare di un consiglio ‘popolare’, in quanto questo significato non è mai stato attribuito nella lingua greca antica all’aggettivo δημόσιος, appartenendo più che altro alla sfera dei – numerosi! – significati legati all’attributo δημοτικός, divenuto durante il V secolo sinonimo di «democratico».

L’attributo che connota la boule chiota a questa altezza invece ha una valenza semantica assolutamente differente, come l’analisi lessicale ed etimologica condotta da Ampolo mette bene in luce. Estremamente utile ai fini della presente indagine è l’analisi del lemma proposta dallo Stephanus, il quale sub voce δημόσιος scrive: «publicus: cui opponitur ἴδιος et interdum ἰδιωτικός»[33]. Proprio questa opposizione a certe peculiarità private ha indotto Ampolo alla formulazione di una ipotesi molto convincente, ovvero non tanto la presenza di due consigli, uno ‘popolare’ parallelo ad uno ‘aristocratico’, quanto piuttosto la presenza in Chio di una boule centralizzata pubblica che andasse a superare nelle sue prerogative e nei suoi poteri le complesse ed articolate suddivisioni che le tribù e sottotribù chiote conoscevano. Questi caratteri comunitari parrebbero dare una maggiore perspicuità anche alle menzioni di Hestia-focolare, ora figurate come un richiamo ad un raccoglimento e ad una comunanza morale e civile – beninteso del corpo civico che condivideva queste prerogative politiche. A proposito delle summenzionate considerazioni di Ampolo, non è inopportuno ricordare come la tradizione non sia propensa a restituirci un quadro molto democratico di Chio. A questo proposito si ricordano le già menzionate considerazioni riportate da Tucidide nell’VIII libro del suo resoconto storiografico inerente i fatti della Guerra del Peloponneso, qui più specificatamente riguardanti la rivolta di Chio contro Atene nel 412 a.C. Lo storico ateniese in VIII 14.2[34], dopo aver raccontato l’appropinquarsi di Calcideo ed Alcibiade attraversando per mare tutti i luoghi alleati di Atene, riporta il loro incontro a Corico con i collaboratorichioti e le preghiere di questi affinché si rechino senza preavviso sull’isola. Le reazioni al loro arrivo sono magistralmente suddivise tra «la maggioranza» che è letteralmente paralizzata dallo choc e «i pochi» che li conducono subito al cospetto della boule, il luogo dove poi si provvederà a prendere la risoluzione finale contro Atene. Il principale commento storico all’opera tucididea condotto da A. W. Gomme, A. Andrews e K. J. Dover chiosa al riguardo: «This body then was competent to take political decisions in the Chian oligarchy»[35]. Un passo tucidideo parimenti notevole è VIII 24.4-5[36], in cui lo storico esprime un’importante considerazione personale riguardante Chio, giudicandone la prosperità e la saggezza e l’ordine della sua fisionomia politica, in grado di mantenere le redini di una πόλις in continua espansione. I termini utilizzati per l’espressione di questi concetti politici e sociali sono significativi nella semantica tucididea, nonché indice di un ordinamento politico sicuramente differente rispetto alla democrazia ateniese. L’almeno iniziale sicurezza con la quale Chio si affianca agli Spartani e l’offerta di navi come garanzia altro non è che frutto di solide fondamenta economiche gettate almeno sin dall’età arcaica, come già Roebuck 1986 rimarcava nel suo intervento. Chio, all’altezza cronologica nella quale la presente epigrafe va collocata, era già impegnata nella costruzione di un’economia florida, basata sia sulla preminenza marittima e navale sia sui possedimenti terrestri. Inoltre, la notizia tucididea[37] secondo la quale Chio avrebbe avuto assieme a Sparta il più alto numero di uomini non liberi, ha fatto desumere tra gli altri a J. L. O’Neil che l’esercizio politico in Chio dovesse essere in mano di pochi ricchi liberi, fattore che forse contribuì alla stabilità costituzionale tanto esaltata già dallo storico ateniese[38].

Nonostante anche in anni più recenti non siano mancati tentativi forse un po’ troppo partigiani ed entusiastici[39] di ravvisare nell’epigrafe di nostro interesse la prova della presenza di early democracies precedenti ad Atene, a Chio come altrove, in virtù della documentazione vagliata e del dibattito creatosi, ritengo che l’aspetto più notevole che emerge dalla presente iscrizione sia la preminenza della boulè, elemento che peraltro è evidente con sufficiente nitidezza anche nella diacronia che ci è concesso di ricostruire mediante altri importanti riferimenti epigrafici e letterari. Credo che un altro aspetto notevole, in virtù della convincente analisi di Ampolo, sia il riconoscimento di un fenomeno tipico degli anni a cui la nostra epigrafe va ricondotta, ovverosia il percorso di acquisizione di una coscienza politica, cioè riguardante la πόλις, che comporta almeno per le questioni di più considerevole importanza il superamento dei particolarismi tribali al fine di raggiungere un’unione di più ampio respiro coinvolta nell’architettura politica ed istituzionale. Fenomeni che denotano la piena formazione della πόλις.

Fotografia aerea degli scavi archeologici ad Emporio

Note al testo

[1] Thuc. VIII 15.1

[2] Si utilizza questa terminologia, appositamente virgolettata, con il significato oramai accettato nel dibattito storico riguardante l’antichità classica, ben coscienti quindi delle distanze che intercorrono con i concetti contemporanei di «impero» ed «imperialismo».

[3] Un convegno dedicato interamente al profilo dell’isola di Chio, secondo un arco cronologico che va dall’età micenea sino al tragico episodio del «massacro di Scio» del 1822.

[4] Testo riportato secondo l’edizione di riferimento utilizzata per il commento dell’epigrafe, Costantini 2017. La traduzione è della sottoscritta.

[5] Wilamowitz-Moellendorf 1909, p. 65. La peculiare formulazione wilamowitziana e il riferimento all’aspetto tridimensionale delle leggi soloniane si iscrivono nella tradizione che a queste ultime si riferisce come kyrbeis, forse delle tavolette disposte a piramide, ma sulla cui reale concretezza strutturale e materiale c’è sin dall’antichità grande incertezza e discordia.

[6] Wilamowitz-Moellendorf 1909, p. 64.

[7] Tod 1946, pp. 2-3: «The foundation for the organization of Greek society and the Greek state was laid in Ionia, exactly as for poetry and philosophy».

[8] Jeffery 1956, p. 160. Jeffery 1961, p. 337 figg. 4-6 tav. 63.

[9] Si tratta di frammenti di un calice, rinvenuti tra le rovine di un tempio dedicato ad Atena in località Emporio, la cui bocca reca una epigrafe dipinta che recita: «Νικήσερμος τήν[δε] τήν ϙύλικα ἐποίησε». Questa tipologia di calici verniciati di bianco venne comunemente chiamata «di Naucrati», in quanto frequenti i rinvenimenti in tale zona d’Egitto, ma studi successivi sono riusciti a ricondurne la fabbricazione ad un’officina chiota. Questo si presenta come uno dei tanti elementi che suggerisce la presenza di una rete commerciale piuttosto fitta e collegata anche ai mercati greci presenti in Egitto costruita da Chio già in età arcaica, come sostiene Roebuck 1986, pp. 83-84. L’iscrizione è contenuta in Guarducci 1967, p. 269 nr. 9, e la stessa studiosa commenta la straordinarietà della compresenza di ϙ ed η aperto, connotandolo come l’esempio probabilmente più antico ad ora noto. L’epigrafe è datata alla fine del VII secolo a.C.

[10] Robinson 1997, p. 92: «The epigraphic evidence accomodates a date anywhere between c. 600 and c. 550, with perhaps the best guess putting it in the 570s».

Costantini 2017, p. 56: «Ciò (scil. il documento analizzato da Guarducci) suggerisce a mio avviso che è forse più lecito datare l’iscrizione al primo quarto del VI secolo a.C. (600-575), arco cronologico che sembra meglio rispondere alle criticità emerse dall’analisi paleografica,

riuscendo inoltre così a conciliare le due datazioni finora proposte».

[11] Come si evince dalla pressoché totalità del materiale epigrafico di carattere politico-istituzionale la prassi del giuramento era fondamentale e vincolante ed una sua infrazione corrispondeva ad una lesione non solo sul piano giuridico, ma anche su quello sacrale.

[12] Già Mazzarino 1947, p. 231 riteneva significativo l’uso del plurale.

[13] Jeffery 1956, p. 165.

[14] Mazzarino 1947, 231.

[15] Condivide questa ipotesi anche Roebuck 1986, p. 87: «[…] the kingship had become a civic office by the time of the inscription, for the kings exercised specified jurisdiction and were not solely ceremonial officials».

[16] Hansen 1985, pp. 274-276. Questo contributo mise in dubbio la provenienza chiota dell’iscrizione, basandosi sia sulla rarità della trachite rossastra in territorio chiota – presente invece in abbondanza ad Eritre, situata nel continente antistante – sia, in special modo, sulla presenza di un affermato culto tributato ad Hestia Boulaia in zona ionico-asiatica.

[17] Jeffery 1956, p. 162 sostiene che la diffusa venerazione della dea sotto forma di ἑστία ἐν πρυτανείῳ la renderebbe una opportuna sorvegliante dell’operato delle alte magistrature cittadine. Oliver 1965, p. 299 ritiene che si menzioni una proprietà di Hestia preservata e custodita da exetastai, creando un’analogia con l’esempio del tesoro di Atena.

[18] Jeffery 1956, p. 163: «The old word ῥήτρα (= law or ordinance) is attested chiefly in the Peloponnese, or Peloponnesian colonies».

[19] Wilamowitz-Moellendorf 1909, p. 67: «[…] aber daß es in Ionien die von dem Volke gegebene oder mit ihm vereinbarte Konstitution».

[20] Costantini 2017, p. 58.

[21] Jeffery 1956, pp. 162-163

[22] Werlings 2010, p. 161.

[23] Tod 1946, p. 2.

[24] Mazzarino 1947, p. 231.

[25] Jeffery 1956, p. 164.

[26] Ampolo 1983, p. 402.

[27] Forrest 1959, pp. 172-189.

[28] Wilamowitz-Moellendorf 1909, p. 69.

[29] Tod 1946, p. 2.

[30] Ampolo 1983, p. 404.

[31] Forrest 1959, p. 180.

[32] La terminologia indizio di un grande potere decisionale accentrato nell’organo buleutico è: βολῆς γνώμ[η, alla l. 1 dell’epigrafe.

[33] Ampolo 1983, p. 405.

[34] Thuc. VIII 14.2: Ὁ δὲ Χαλκιδεὺς καὶ ὁ ἀλκιβιάδης πλέοντες ὅσοις τε ἐπιτύχοιεν ξυνελάμβανον τοῦ μὴ ἐξάγγελτοι γενέσθαι, καὶ προσβαλόντες πρῶτον Κωρύκῳ τῆς ἠπείρου καὶ ἀφέντες  ἐνταῦθα αὐτοὺς αὐτοὶ μὲν προξυγγενόμενοι τῶν ξυμπρασσόντων Χίων τισὶ καὶ κελευόντων καταπλεῖν μὴ προειπόντας ἐς τὴν πόλιν, ἀφικνοῦνται αἰφνίδιοι τοῖς Χίοις. καὶ οἱ μὲν πολλοὶ ἐν θαύματι ἦσαν καὶ ἐκπλήξει· τοῖς δ’ ὀλίγοις παρεσκεύαστο ὥστε βουλήν [τε] τυχεῖν ξυλλεγομένην, καὶ γενομένων λόγων ἀπό τε τοῦ Χαλκιδέως καὶ Ἀλκιβιάδου ὡς ἄλλαι [τε] νῆες πολλαὶ προσπλέουσι καὶ τὰ περὶ τῆς πολιορκίας τῶν ἐν τῷ Σπειραίῳ νεῶν οὐ δηλωσάντων, ἀφίστανται Χῖοι καὶ αὖθις Ἐρυθραῖοι Ἀθηναίων.

[35] Gomme, Andrews, Dover 1981, p. 34

[36] Thuc. VIII 24.4-5: Χῖοι γὰρ μόνοι μετὰ Λακεδαιμονίους ὧν ἐγὼ ᾐσθόμην ηὐδαιμόνησάν τε ἅμα καὶ ἐσωφρόνησαν, καὶ ὅσῳ ἐπεδίδου ἡ πόλις αὐτοῖς ἐπὶ τὸ μεῖζον, τόσῳ δὲ καὶ ἐκοσμοῦντο ἐχυρώτερον.

[37] Thuc. VIII 40.2: […] οἱ γὰρ οἰκέται τοῖς Χίοις πολλοὶ ὄντες καὶ μιᾷ γε πόλει πλὴν Λακεδαιμονίων πλεῖστοι γενόμενοι καὶ ἅμα διὰ τὸ πλῆθος χαλεπωτέρως ἐν ταῖς ἀδικίαις κολαζόμενοι […].

[38] O’Neil 1978, p. 71.

[39] In particolare Robinson 1997, pp. 90-101.

Bibliografia

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📖 Wilamowitz-Moellendorf 1909: U. Wilamowitz-Moellendorf, Nordionische Steine. Mit Beiträgen von Dr. Paul Jacobsthal, Berlin 1909

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a cura di

Alessia Rovina

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