La prima incursione musulmana lungo le coste della Sicilia avvenne nel 652: al comando della spedizione c’era Othman ibn Affau, genero di Maometto, coadiuvato dal governatore della Siria, Muàwiya ibn Abi Sufyàn. L’incursione ebbe scarso successo, i musulmani guadagnarono un magro bottino ed un piccolo numero di schiavi. Dopo qualche anno, caratterizzato da lotte per la successione a Califfo, diventa tale proprio Muàwiya, il quale organizza una seconda spedizione in Sicilia, nel 666, aiutato dal governatore dell’Egitto, impossessandosi, questa volta, di un grandioso bottino. Questi trasferì la capitale del califfato da Medina a Damasco e trasformò il califfato elettivo in un principato dinastico, dando inizio alla dinastia Omayyade che governò fino al 750.

Le apparizioni degli Arabi sulle coste siciliane si erano intanto fatte più frequenti, soprattutto allo scopo di catturare belle fanciulle per inviarle ai mercati orientali come merce pregiata, evento alla base del canto La fanciulla rapita, di cui di seguito condividiamo il testo.
“‘Nta villi e valli e ‘nta voscura funni,
Unn’è l’amanti mia? Di cca’ mi spiriu!
La vaju pi circari e ‘un trovu d’unni,
Pi lu so’ amuri lu munnu firriu.
Vaiu a lu mari e ci addumannu all’unni:
<Forsi passau di cca’ l’amuri miu?>
E l’ecu di luntanu m’arrispunni
Ca schiava di li Turchi sinni Ju.
M’addisiassi la spata d’Orlannu,
Quantu girassi pi tuttu lu munnu.
La me’ Agatuzza nni mori chist’annu!
Cu’ t’affirrau? Ivi! Iu mi cunfunnu!
Fu so’ mammuzza, cu cori tirannu,
La manno’ a mari a circari lu nunnu.
Comu ‘ngagghiasti? Un sintisti lu bannu?
<Un ghiti a mari, li Turchi ci sunnu!>”
Nel 700 gli Arabi saccheggiarono l’isola di Pantelleria, che usarono insieme alla Siria ed alle coste africane come trampolino di partenza per ben quindici spedizioni in Sicilia nell’arco di mezzo secolo. Nell’805 il governatore dell’Afryquia, Ibrahìm ibn al Aghlab, stipulò un trattato di pace della durata di 10 anni con il patrizio bizantino di Sicilia, Costantino, ma alla morte di Ibrahìm nell’812, il figlio Abù l Abbàs, venne meno alla parola del padre ed armò una flotta per dirigersi in Sicilia. Le navi furono sorprese da una furiosa tempesta al largo della Sardegna e molte di esse colarono a picco. Ciò spinse Abbàs a firmare nell’813 un secondo armistizio della durata di 10 anni con il nuovo patrizio bizantino, Gregorio.
Una ulteriore spedizione in Sicilia venne inviata nell’819 in violazione al trattato. In questo frangente molti prigionieri vennero strappati all’isola, poi dopo qualche anno di tregua si assistette alla grande spedizione dell’827. Un aiuto insperato venne agli arabi: si trattò di Eufemio, comandante del distretto marittimo bizantino di Messina, dapprima valorosissimo difensore della città contro le incursioni mussulmane. Questi infatti, profittando del suo potere, aveva fatto rapire dal convento una fanciulla per sposarla contro il volere della ragazza stessa. I fratelli della giovane donna si rivolsero all’Imperatore di Bisanzio, Michele II detto il Balbo, per ottenere giustizia. Questi ordinò, per soddisfare i parenti di lei, che venisse ad Eufemio mozzato il naso il quale, per sfuggire alla punizione tentò una spedizione ma con scarsi risultati, allora per salvarsi fuggì in Africa. Giunto alla corte del sultano Ziyàdat Allàh I sollecitò il suo intervento in Sicilia, offrendo la sua esperienza al servizio della causa. La spedizione, come era usanza nei popoli mussulmani, venne affidata ad un noto giurista, Asad ibn al Furàt: l’esercito contava diecimila uomini tra Arabi, Berberi, Musulmani di Spagna e Persiani, più di cento navi e settecento cavalli. Sbarcarono vicino l’odierna Mazara il 14 Giugno 827, lasciato ivi un presidio di soldati, il grosso dell’esercito marciò lungo la costa meridionale della Sicilia , conquistando numerose città e puntando alla capitale, Siracusa.

Gli assalitori assediarono Siracusa per 22 mesi e, proprio quando gli assaliti stavano per cedere, nel campo arabo scoppiò una grave pestilenza che fra le vittime ebbe proprio Asad. Questi fu sostituito da Mohammad ibn Abi l Jawàri, che decise di tornare in Africa. Durante il cammino a ritroso, però, la flotta bizantina li costrinse a ritirarsi sui monti e a rifugiarsi presso l’odierna Mineo, dove si riposarono per qualche tempo. Ripreso quindi il cammino verso sud conquistarono Agrigento e ripresa fiducia nelle loro forze andarono alla conquista di Castrogiovanni.
Sotto le mura della città perse la vita Eufemio, il traditore. Infatti questi aveva iniziato delle trattative segrete con i soldati della fortezza, cercando di convincerli a ribellarsi a Bisanzio ed accettarlo come re. All’inizio i soldati finsero di accettare la sua proposta e lo accolsero festanti, tra di essi due fratelli che gli erano stati amici. Questi gli corsero incontro per abbracciarlo, il traditore si commosse ed abbracciò uno dei due: questi lo afferrò per i capelli mentre il fratello, con un colpo alla nuca, poneva fine alla sua esistenza. Dopo un anno di assedio gli arabi decisero di tornare a Mineo, nei cui pressi sconfissero il condottiero dell’impero bizantino Teodoto.
La mossa successiva fu quella di assediare Palermo, gli abitanti della città si difesero strenuamente, basti pensare che all’inizio dell’assedio gli abitanti erano oltre settantamila e una volta presa la città ne rimanevano in vita tremila, tant’è che lo storico Altavilla racconta che i Saraceni rimasero attoniti quando si accorsero di non aver conquistato una città, ma un sepolcro di eroi.
La conquista dell’isola continuò lenta ma inesorabile, nell’840 furono conquistate Caltabellotta, Corleone, Marineo e Geraci. Nell’843 cadde Messina, nell’859 Castrogiovanni e infine, la capitale Siracusa, quella che era stata per più di un millennio la città più importante di tutta la Sicilia, venne distrutta e bruciata nell’878.