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I moti palermitani dei primi del ‘500

Numerosi eventi segnarono la città di Palermo nella prima parte del ‘500. Il popolo era oppresso dagli Spagnoli ed ecco che, nel 1511, scoppiò il primo tentativo di “vespro” antispagnolo. Accadde mentre era viceré don Ugo Moncada, nel mese di Agosto: questi eventi sono anche conosciuti come moti palermitani del ‘500.

Giunsero a Palermo i resti di un’armata spagnola guidata da Don Diego De Vera e proveniente da Atene, dove erano state commesse ruberie e nefandezze. Le violenze alle donne non si contavano più e questi comportamenti non potevano che ripetersi a Palermo.

Uno di questi soldatacci, camminando per la via Albergheria, vide una bella giovane, di nome Nina, venirgli incontro con un pane fresco tra le mani. Glielo strappò con violenza e fuggì.

Alle grida della giovane giunsero i parenti di lei ed il suo fidanzato, tale Giovanni Pollastra, detto “Surciddu” (topolino), questi balzò a cavallo e fu vero e proprio ispiratore della rivolta. Parecchi soldati vennero uccisi; De Vera riuscì a fuggire travestendosi da donna. 

Quando la rivolta era ormai accesa, Surciddu cercò di placare l’ira del popolo, ormai quasi incontenibile, dicendo che giustizia era stata fatta.

Quando fu ripristinato l’ordine, il viceré fece arrestare il Pollastra e lo condannò alla forca. Il giorno dell’esecuzione il popolo si ribellò tentando di salvare il suo beniamino, ma quando i suoi riuscirono a raggiungere il patibolo, del giovane palermitano non era rimasto che il corpo esanime.

Nel 1512 un nuovo dazio sulle esportazioni fu occasione per malumori popolani, scoppiò un tumulto e molti soldati furono uccisi. Moncada riuscì a cavarsela anche questa volta e condannò a morte tutti i capi rivolta.

Nel 1516 il viceré chiese dei soldi al Parlamento, in quel mentre venne a mancare il re, l’autorità del viceré cessava quindi di colpo. A Palermo scoppiò un’altra rivolta popolare, questa volta si arrivò a staccare i cannoni dai bastioni della città e a puntarli contro il palazzo del viceré, che riuscì però a fuggire a Messina.

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Ritratto di Ugo Mancada – Retratos de Españoles ilustres – Real Academia de Bellas Artes de San Fernando ©

Per quasi un anno Palermo rimase senza viceré, finché lo stesso Moncada suggerì al re di nominare un vice italiano. Nel 1517 venne scelto un napoletano, il conte di Monteleone. In città non cambiò granché, nulla cambiò negli atteggiamenti del nuovo viceré rispetto al precedente, l’oppressione fiscale aumentò ancora di più e ci si trovò di fronte ad un’altra rivolta.

A capeggiare il tumulto fu Gianluca Squarcialupo, nobile caduto in disgrazia e pieno di debiti, dietro al quale si nascondevano gli interessi di altri nobili, tra i più importanti di Sicilia. Per trascinare la cittadinanza, lo Squarcialupo si rivolse ad un capo popolo chiamato “Zazzera” che coinvolse donne e uomini di ogni ceto sociale. Monteleone fu costretto a fuggire anche lui a Messina e la sua residenza venne presa dal popolo, mentre molti dei suoi ufficiali vennero trucidati. Squarcialupo riuscì a governare come dittatore solo poche settimane. Quando i suoi sostenitori si resero conto che non aveva le carte per rendere libera la Sicilia lo abbandonarono e presero ad appoggiare il re in una controrivoluzione.

Lasciato solo, lo Squarcialupo venne ucciso mentre, in ginocchio, partecipava alla Santa Messa.

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Sicilia – Ignazio Danti – Galleria delle Carte Geografiche (Musei Vaticani) ©

Nel 1523, tentando di sfruttare l’inimicizia tra Francia e Spagna, il popolo provò ancora a rivoltarsi, sotto la guida dei fratelli Imperatore, i quali volevano offrire la corona di Sicilia al re di Francia. La rivolta però fallì ed i fratelli vennero squartati ed esposti al pubblico, in delle celle sospese sulle mura del palazzo del viceré.

Nel frattempo, essendo l’unica figlia del re deceduto pazza, il regno passò nelle mani del nipote, Carlo V, un Asburgo d’Austria, imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1535 Carlo visitò l’Isola. Dopo secoli un re metteva piede nel territorio siciliano. L’ingresso trionfale avvenne da Porta Nuova che fu rialzata per permettere il passaggio del carro reale e ornata con ghirlande e scritte che celebravano le vittorie del sovrano. A Palermo soggiornò nel Palazzo Ajutamicristo. Carlo V per un mese visse come un siciliano, visitò i monumenti della città, volle conoscere e rimase colpito dalle usanze di una città cosmopolita che lo sedusse per la sua bellezza, partecipò a giostre, tornei, spettacoli, concesse udienze nel Palazzo Steri.

Alla sua partenza la folla lo salutò festante dalla Porta Termini e dal Ponte Ammiraglio, entusiasta per aver avuto seppur per solo un mese, nella propria città, l’uomo più potente del mondo, non accadeva dal tempo di Federico II.

Ascolta la puntata del nostro podcast!

Bibliografia

📖 Carmelo Catalano, Da Ziz a Palermo narrata con amore, Boopen Editore
📖 Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Laterza Editore

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a cura di

Carmelo Catalano

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