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Storia di Selinunte: dalla fondazione al Medioevo

La storia di Selinunte parte da un’altra città, Megara Iblea. Megara Iblea era a sua volta una colonia greca in Sicilia, il suo problema era però la vicinanza con un’altra colonia, ben più forte, che egemonizzava tutto il territorio limitrofo e contro cui spesso venne alle armi: Siracusa. I Megaresi cercavano uno sbocco a questa stringente situazione ma non era facile perché gran parte della Sicilia orientale era sotto l’influenza di Siracusa. Organizzarono allora una spedizione per cercare terre fertili dove fondare una nuova colonia. Si dovettero dirigere verso la parte occidentale dell’isola e trovarono la terra adatta presso la foce del fiume Modione, che allora era chiamato Selinos. Fondarono lì la loro colonia e la chiamarono Selinunte, in un’area occupata da genti Sicane ed Elime. Il nome della città, come si intuisce, deriva da quello del fiume e tutti e due derivano da una pianta che cresceva e cresce ancora oggi spontanea lungo le sue rive, il sedano selvatico.

Il mito fondativo

La spedizione venne affidata a Pammilo, il quale partì con alcuni coloni da Megara Nisea, la madrepatria greca, fece scalo a Megara Iblea, dove raccolse un altro contingente di coloni e fece rotta per la nuova terra da colonizzare, approdandovi fra il 628 e 627 a.C., secondo quanto dichiara Tucidide, mentre secondo quanto scrive Diodoro Siculo la fondazione sarebbe avvenuta nel 650. La città venne posta su una zona piana elevata 30 metri sul livello de mare, ad ovest aveva per limite il fiume, ad est un altro corso d’acqua con minore portata denominato Cottone, alla cui foce venne costruito il porto. Il pianoro che era di natura calcarea finiva a strapiombo sul mare e sporgendo creava un’insenatura sulla foce del Selinos. Nella parte sud di questa sporgenza sul mare venne costruita l’acropoli, oltre le mura sorse il centro urbano che poteva contenere alcune decine di migliaia di abitanti. L’entroterra selinuntino, che ben presto i coloni occuparono, era costituito di fertili pianure, dove veniva praticata una rigogliosa agricoltura, con abbondante produzione di cereali, soprattutto grano, e di olio, non meno prospero era il commercio.

Selinunte ebbe rapporti commerciali non solo con le colonie greche ma anche, nei periodi di pace, con Mozia, con Segesta, con la stessa Cartagine. Qualche volta anzi, in momenti cruciali della storia dei Greci di Sicilia, Selinunte, come vedremo meglio più avanti, per tutelare i propri commerci, soprattutto col mondo punico, preferì allearsi con Cartagine piuttosto che con le città greche di Sicilia. La città espanse il suo controllo fino ai territori delle odierne Salemi, Partanna, Santa Ninfa, Poggioreale e Salaparuta, che segnavano il confine col territorio di Segesta. I Selinuntini fondarono anche una sub colonia a Minoa, che venne chiamata Eraclea Minoa, sulle rive del Platani, ma questa sub colonia venne presto conquistata da Akragas.

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Tempio D in primo piano e sullo sfondo le colonne del Tempio C di Selinunte – Ph. Franck Manogil ©

Politica interna: fra tiranni e alleanze

Non sappiamo molto delle vicende politiche interne di Selinunte. Anche questa città, come la maggior parte delle colonie greche di Sicilia, ebbe un governo tirannico: nella seconda metà del VI secolo la città era governata dal tiranno Pitagora, e a questi seguì un altro tiranno, lo spartano Eurileone che, venuto in Sicilia al seguito della spedizione di Dorieo, si impossessò di Selinunte. Ma che la tirannide sia, stata l’unica forma di governo non è affatto certo, anche perché l’alleanza fatta nel V secolo fra Selinunte e Siracusa, dopo la cacciata da quest’ultima città del tiranno Trasibulo, lascia pensare che fosse al potere allora a Selinunte l’aristocrazia con un regime oligarchico, o comunque un partito antitirannico.

Nel corso del VI secolo Selinunte appoggiò i tentativi dei due condottieri greci, Pentatlo prima e Dorieo poi, di fondare delle colonie nell’estremità occidentale della Sicilia, scacciandone i Punici e i loro alleati, ma le due imprese fallirono. Quando invece, all’inizio del V secolo, divampò la guerra fra Greci di Sicilia e Cartaginesi, guerra che si concluse con la Battaglia di Imera nel 480, Selinunte, invece di allearsi con le altre città greche contro Cartagine, come poteva sembrare naturale, preferì allearsi con quest’ultima prevalendo motivi economici. Una entrata in guerra in alleanza con le città greche avrebbe compromesso certamente le importanti relazioni commerciali che Selinunte aveva con Cartagine, mentre d’altra parte da questa guerra la città non avrebbe potuto trarre significativi vantaggi.

Oltre che tutelare i propri commerci, Selinunte cercava anche di intensificarli. Per questo obiettivo, mirava ad aprirsi uno sbocco sul Tirreno fondando un emporio commerciale sull’attuale golfo di Castellammare, che rientrava
però nel territorio di Segesta. Se il tentativo fosse riuscito, Selinunte, oltre ad avere un porto sul Tirreno avrebbe anche infranto l’unità territoriale del dominio cartaginese in Sicilia, separando Mozia ed Erice da Panormo e Solunto. Frequenti furono i contrasti fra Segesta e Selinunte per i ripetuti tentativi dei Selinuntini di invadere il tenitorio segestano, ma si risolsero in genere senza gravi conseguenze.

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Battaglia di Imera – Giuseppe Sciuti

La guerra contro Segesta

Nel 413, però, un ennesimo tentativo di Selinunte di penetrare entro i confini di Segesta scatenò una guerra che non restò circoscritta alle due città belligeranti, ma coinvolse anche le grandi potenze del tempo. Segesta, infatti, chiese aiuto ad Atene, la quale fu lieta di intervenire per l’opportunità che le si offrì di trasferire in Sicilia la guerra che la opponeva allora a Sparta.

Oltre che da Atene, Segesta fu soccorsa anche da Cartagine, tradizionale alleata delle città elimo- puniche, mentre Selinunte si rivolse per aiuto a Siracusa, ad Akragas e a Gela. In verità, prima di scatenare la guerra, il capo della spedizione cartaginese, Annibale, tentò di risolvere diplomaticamente con Siracusa il contrasto fra Segesta e Selinunte; ma quest’ultima non volle accettare l’arbitrato di Siracusa e le ostilità ebbero inizio.

Annibale nel 409 sbarcò con un poderoso esercito di fanti e di cavalieri sul Promontorio di Lilibeo e da lì, congiuntosi con le milizie dei Segestani, mosse verso Selinunte. Con una rapida manovra, prese la fortezza selinuntina situata sulla foce del Mazaro a difesa del porto, quindi piombò sulla città attaccandola da due lati. I Selinuntini, intanto, potevano contare solo sulle proprie forze, in quanto i rinforzi siracusani tardavano ad arrivare, e con essi anche quelli gelesi ed akragantini, che erano si pronti, ma aspettavano di congiungersi al contingente siracusano appena questo fosse passato da Gela e da Akragas. Siracusa infatti, impegnata com’era nella difficile guerra contro Atene, mandò con molto ritardo i suoi soccorsi, che giunsero in pratica quando era ormai troppo tardi.

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Panoramica ovest dello scavo di Lilibeo

Abbandonati, perciò, a sé stessi, i Selinuntini resistettero gagliardamente per nove giorni, sperando vanamente nell’arrivo dei soccorsi. Alla fine, però, stremati nelle forze, dovettero cedere alla schiacciante superiorità numerica del nemico. I soldati di Annibale, penetrati nella città, la saccheggiarono e la devastarono, uccidendone in massa la popolazione: Diodoro racconta che circa 16.000 Selinuntini perirono nel grande massacro. Vennero risparmiati da Annibale soltanto le donne e i bambini che si erano rifugiati nei templi, mentre i pochi che riuscirono a sfuggire all’eccidio trovarono scampo nelle vicine città di Akragas e Gela.

Finiva così tragicamente la storia di una delle più celebri colonie greche d’Occidente, e per Selinunte si aprivano i secoli bui della decadenza e dell’asservimento politico. Dopo la distruzione del 409, Selinunte tornò ad essere abitata, ma non raggiunse più lo splendore urbanistico, né la prosperità economica, né lo sviluppo demografico dei secoli precedenti. Ancora per qualche decennio la città restò nell’orbita del mondo greco. Il siracusano Ermocrate, bandito dalla patria, si diresse nel 407 a Selinunte, dove raccolse gli abitanti sopravvissuti alla recente distruzione e da dove mosse per una serie di imprese contro le città elimo-puniche della Sicilia occidentale.

Il dominio cartaginese

All’inizio del IV secolo, soldati selinuntini facevano parte della potente armata di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, che nel 397 attaccò e distrusse Mozia, base della potenza cartaginese nella Sicilia occidentale. Ma dopo il fallimento delle imprese di Dionisio nella Magna Grecia e del tentativo, nel 368, di espugnare Lilibeo e di cacciare così i Cartaginesi dalla Sicilia occidentale, un accordo di pace stipulato fra Siracusa e Cartagine, riconfermato poi da successivi trattati, stabilì nel fiume Halykos (l’odiemo Platani) il confine tra la zona di influenza siracusana e la zona di influenza cartaginese. In base a questa spartizione, Selinunte, trovandosi nella zona cartaginese, venne sottomessa al dominio punico, diventando la base punica più orientale sulla costa meridionale della Sicilia. La città venne fortificata dai Cartaginesi e ricostruita, ma solo nell’area dove sorgeva prima l’acropoli.

Il dominio cartaginese a Selinunte si protrasse, tranne la breve parentesi della spedizione di Pirro in Sicilia nel 276, durante la quale anche i Selinuntini si allearono col principe epirota, fino all’intervento dei Romani in Sicilia nel corso della prima guerra punica. Allora Selinunte sperò forse di potersi liberare dal giogo cartaginese con l’aiuto dei Romani. Ma Cartagine, per meglio difendersi dagli attacchi dei Romani, decise di concentrare le sue forze nella città di Lilibeo, dove fece trasferire nel 250 la popolazione di Selinunte, distruggendo nuovamente la città e abbandonandola alla rovina. Con quest’ultima vicenda possiamo considerare conclusa la storia dell’antica città di Selinunte.

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Emissione siciliana di una moneta bronzea di Pirro – Lamoneta.it ©

L’età medievale

Nel Medioevo si perse anche il nome della città. Gli Arabi la chiamarono Rahl-al-Asnam ovvero Casale degli idoli o dei pilastri , forse in seguito alla costruzione da parte loro di un casale. Col termine “Terra di li Pulichi” (forse trasformazione di ‘Terra di Polluce”), la località viene citata in documenti notarili del XVI secolo nei quali pure si designa col nome di “Torre de li Pulichi”, la torre quadrangolare di avvistamento cinquecentesca (sita alla fine della strada che porta all’acropoli). Nella seconda metà del XVI secolo, la città fu riscoperta dallo storico siciliano Tommaso Fazello.

Nel 1823 hanno avuto inizio gli scavi archeologici, che hanno portato alla luce numerosi resti della città, fortunatamente conservatisi attraverso i secoli. Grazie a ciò è oggi possibile visitare il parco archeologico di Selinunte, ammirato da appassionati di tutto il mondo. Gli scavi tutt’ora continuano con la collaborazione di studiosi italiani e stranieri e certamente potranno ancora restituirci altre importanti vestigia di quella che fu una delle più celebri città della Sicilia antica.

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Bibliografia

📖 M. Finley, Storia della Sicilia antica, Laterza editore, 2008
📖 C. Catalano, La più bella storia. Da Ziz a Palermo narrata con amore, Boopen editore, 2008

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a cura di

Carmelo Catalano

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