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Le Mura Serviane

Quando i primi agglomerati urbani finirono di espandersi sui diversi colli della valle del Tevere, si dovette pensare ad un sistema difensivo che, originariamente, doveva sfruttare la conformazione del terreno collinoso. Così si pensò di erigere un muro, o un terrapieno, nella parte pianeggiante o poco ripida; mentre si vennero lasciate scoperte le parti più scoscese. Spesso veniva aggiunto un fossato per rendere più difficoltoso l’attacco.

I grandi blocchi di tufo giallo che oggi si possono osservare nella città di Roma sono i resti dell’arcaica cinta muraria detta Serviana. Di queste le parti più antiche risalenti al VI secolo a. C., cioè quelle volute del re Servio Tullio, si riconoscono perché sono di tufo granulare grigio. Il resto invece è ascrivibile alla ricostruzione effettuata agli inizi del IV secolo a.C., avvenuta dopo il saccheggio dell’Urbe ad opera dei Galli Senoni del 390 a.C.

Le mura dovevano avere una lunghezza di circa 11 chilometri e comprendevano una superficie di 426 ettari. Erano realizzate con blocchi incassati di testa e di taglio, lavorati da diversi cantieri che marchiavano i blocchi con segni apparentemente greci; ciò fa ipotizzare all’impiego di botteghe siracusane esperte nella realizzazione di perimetri difensivi. Come le successive Mura Aureliane, vi erano numerose porte che si aprivano in coincidenza con i tracciati stradali che congiungevano la città ai centri urbani vicini. Ogni altura ospitava più di un ingresso: 17 porte, dalla Porta Fontinalis fino alla Porta Flumentana consentivano il transito. Una particolarità costruttiva venne riservata alla Porta Esquilina : essendo questa una zona pianeggiante, alla normale muratura venne aggiunta un’ulteriore struttura difensiva bipartita chiamata agger. Un fossato posto davanti alle mura e un terrapieno nella parte posteriore difendevano il tratto più scoperto. Per finire, questi ingressi non erano ornati in maniera particolare ma avevano solamente un fine utilitaristico.

Già dal III e II secolo a.C., sicuramente dopo le guerre puniche, la supremazia sul Mediterraneo, la stabilità dei confini e l’ordine interno contribuirono a far perdere alla cinta il suo scopo principale.

A partire dall’età augustea le mura vennero progressivamente occupate e riutilizzate per altri scopi. Le porte vennero riadattate in seno alla renovatio urbis voluta dall’Imperatore, alcune subirono una monumentalizzazione, mentre altre rimasero semplici varchi.

I resti di questo complesso oggi ben visibili sono quelli conservati a fianco della Stazione Termini, con Porta Viminalis, e quelli sull’Aventino in piazza Albania.

Bibliografia

📖 L'arte dell'antichità classica, R. Bianchi Bandinelli, M.Torelli, Etruria-Roma, Utet 1976

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a cura di

Simone Bonaccorsi

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