Secondo Aristotele e Didimo di Alessandria, Callino sarebbe l’inventore dell’elegia, ma molti sono i dubbi che ancora permangono e che rendono poco attendibile tale notizia. Più probabilmente, Callino, pur rappresentando per noi il più antico rappresentante dell’elegia guerresca, si muoveva nel solco di una tradizione elegiaca già consolidata.
Dalle fonti che ci parlano di lui si può capire che il poeta nacque ad Efeso e visse nel VII a.C. Molto attento alla situazione greca a lui contemporanea, minacciata dall’esterno dai Cimmeri, provenienti dal mar Nero, e dalle lotte intestine interne al territorio, Callino è autore di quel particolare tipo di elegia chiamata parenetica, o di esortazione.
Il poeta incita infatti i giovani a combattere con valore e coraggio, anche a costo della vita, perché solo in questo modo si possono difendere la patria e la famiglia.
Callino: le opere
Di Callino possediamo purtroppo un solo frammento di una certa estensione (fr. 1 West), riportato dallo studioso bizantino Stobeo non a caso nella sezione della sua Antologia intitolata Elogio dell’ardimento. Nell’ambito di una scorreria dei Cimmeri contro Efeso, Callino incita i concittadini a risvegliarsi dal torpore che li paralizza e a lottare in difesa della pòlis e del suo territorio.
Data la grande affinità con le elegie di Tirteo, si è in genere supposto che anche quelle di Callino fossero recitate sul campo di battaglia; tuttavia, l’allusione iniziale del poeta all’attuale “stare distesi” dei suoi concittadini, in antitesi con la successiva esortazione a combattere, ha suggerito lo scenario di un simposio. Callino inciterebbe dunque i presenti a disertare feste e banchetti per organizzarsi ed affrontare il pericolo. Il componimento è tutto incentrato sulla contrapposizione che il poeta pone in essere tra il giovane guerriero, che si immola con coraggio, e il vile, la cui condanna è quella di essere escluso dalla società, insieme alla famiglia, e di vedersi negate le onoranze funebri.
Molte le reminescenze omeriche presenti, come la comparazione dell’uomo valoroso ad un’alta e possente torre, che ritroviamo anche nell’undicesimo libro dell’Odissea riferita ad Aiace. Una poesia incalzante, ma anche riflessiva, scandita da numerosi iperbati ed enjambements.