C’è una leggenda medievale ambientata nel paese di Isnello, un piccolo comune non lontano da Palermo. Così viene narrata la storia di una vergine, Maria, meglio conosciuta come la vergine di Isnello, appunto, e del suo sposo, Gandolfo.
La leggenda della vergine di Isnello
Suonavano a festa le campane della piccola ma ben messa chiesetta del paese d’Isnello, addossato ai Monti della provincia di Palermo don don din don don dodon.
La chiesetta era zeppa di contadini e contadine in abiti sgargianti, di festa. L’altare maggiore era tutto parato di ceri accesi e fiori di carta ed era quasi nascosto fra nimbi di fumo di incenso, che si elevavano profumati da un grande braciere posto sul davanti di esso.
Delle giovani donne, dalle voci melodiose, cantavano a coro un’ode a Maria “la tutta pura”. Un prete rubizzo, in cotta bianca e stola rossa, era addossato al corno destro dell’altare tenendo in mano il breviario aperto. Due giovani, ambedue belli: i ricchi contadini Maria e Gandolfo, in abiti da sposi, attendevano la benedizione sacra, che doveva santificare il loro imeneo, tanto desiderato. Gli sposi erano raggianti, nei loro occhi si leggeva la gioia più viva.
Finalmente, il sacerdote, bonario, benedisse la coppia, che baciandogli le mani si avviò per uscire dal tempio della cristianità. Maria era la più bella giovane di Isnello e dei paesi vicini. Alta, formosa, dai capelli brunissimi e ricciuti, dagli occhi nerissimi, fondi, era la tipica bellezza delle donne di Sicilia che ricorda quella delle greche e delle romane fusa in una mirabile sintesi estetica.

Maria non era soltanto bella, era anche buona, candida liliale, gentile sebbene fosse una contadina. Si era sposata perché innamoratissima del suo Gandolfo: un aitante contadino annerito dal sole cocente. La sposa venne baciata da tutte le ragazze presenti, dalle donne della famiglia dello sposo: Maria era commossa e piangeva.
Sua madre le disse: “Maria, non voglio che piangi: è festa oggi per noi!”
“piango per la gioia Mamma.”
“Oh figlia mia!” E la vecchietta strinse al suo seno il viso accaldato e pieno di lacrime della sua figliola. Ma questa, svincolandosi, disse: “Mamma… mamma…. Temo che dovrò andare al castello.”
“Al castello? Ah, la legge orrenda!” E la vecchietta si fece scura in viso.
“Non sono sicura Mamma, non ti far sentire… forse non debbo andare, non vedo Luciano, il bravo.
“Dio non vuole!… Dio non vuole!”
“Andiamo Mamma, Gandolfo attende”
Le due donne si fecero avanti. A pochi passi, fra un gruppetto di amici, v’era Gandolfo scuro in volto; tutta la sua gioia di pochi minuti prima era sfumata; sembrava che l’ala della morte fosse passata sul suo capo, sul suo viso adusto. Lo stesso pensiero che aveva tormentato la povera Maria, ora che la cerimonia era cessata spuntava nel suo cervello, gli faceva dolere fortemente il cuore. Maria, la sua Maria al castello? Fra le braccia del principe don Aroldo? Ah, l’infame legge che stabiliva odiosi diritti ai potenti! Se don Aroldo voleva Maria, era cosa sua, poteva prenderla, era nata nella sua giurisdizione e quindi era sua res, così diceva chiaramente lo jus feudorum promulgato da imperatori e da re, chiesto dai baroni e difeso con la spada: era la legge! Se don Aroldo voleva…
“Che hai Gandolfo?” gli chiese Maria.
“Nulla, Maria”
“Allora stai allegro. Mi ami tanto?”
“Ah, se ti amo Maria!” e gli occhi di Gandolfo dissero quello che forse le sue labbra non avrebbero potuto dire facilmente.
I due sposi si presero a braccetto e uscirono dalla chiesa, accompagnati dal corteo nuziale. Avevano fatto pochi passi quando cinque o sei bravacci del principe dalla faccia scura e satanica, armati come tanti briganti pronti per una spedizione sbarrarono la strada al corteo nuziale.

“Fermi tutti!” intimò il capo di quella masnada, il bravaccio Luciano.
Tutti si fermarono. Maria si mise a tremare come una foglia percorsa dalla tramontana e abbracciò istintivamente il suo sposo.
“Gandolfo, tua moglie passerà questa notte al castello, così vuole il principe.”
“Maria?” chiese sbarrando gli occhi Gandolfo come se non avesse compresa quella intimazione.
“Maria” replicò il gaglioffo bravaccio sorridendo ironicamente, “sei sordo, o non capisci? Maria tua moglie… il principe la vuole. Devi obbedire. È la legge!”
“No, no, non vengo!” gridò Maria guardando arditamente in faccia gli sgherri del principe d’Isnello.
“Vai, Maria, è la legge!” esclamò Gandolfo, quasi tranquillo, alla sua sposa.
“Vuoi che vada?” Gli domandò lei stupita che il suo sposo potesse esortarla a subire passivamente quella violenza.
“Vai, si”, replicò Gandolfo, spingendo Maria verso Luciano, che aveva allungato una mano per afferrarla.
Maria lesse negli occhi del marito la muta preghiera di mostrarsi tranquilla per il momento, e sicura che lui, pur consegnandola al principe, non l’avrebbe abbandonata, disse agli sgherri:
“Dato che il principe vuol farmi questo onore, andiamo al castello.”
“Brava Maria, siete ragionevole!” Fece Luciano contento che le cose andassero lisce come l’olio.
I due gruppi si allontanarono ognuno per la sua strada, come se nulla fosse accaduto. Suonava la campana del mezzodì.
“Principe, eccellenza, lasciatemi!.. lasciatemi!.. che ne fate di una poveretta come me?… lasciatemi! Non ho nulla di bello, sono una sventurata… lasciatemi!… Principe, fatelo per i vostri benedetti morti, per la vostra mamma benedetta che vi guarda dal cielo, lasciatemi!… Pensate se una vostra sorella fosse al mio posto che direste, che fareste? Mancano donne belle e nobili?… Perché, perché volete questa poveretta?… lasciatemi, per carità!”
La povera Maria, svincolatasi dall’abbraccio feroce di don Aroldo, era caduta in ginocchio e giunte le mani, piangendo implorava ancora:
“Principe, fatelo per i vostri morti, per la vostra mamma, lasciatemi! Mio marito mi attende… Dio ci ha benedetti! Debbo essere soltanto sua, Dio lo vuole!”
“Tuo marito ti avrà dopo… Ci sarò tempo. Ora sarai mia e smettila di pregare, di stare in ginocchio, di gridare! Alzati e obbedisci, o guai a te!”
“Oh, principe, pietà, di una povera infelice!”
“Che pietà? Tu sei cosa mia, sbrigati.”
“Canaglia, vecchia canaglia!” urlò Maria appena il principe tentò l’attacco finale.
“Sei mia! Sarai buona, Maria” disse trionfante e con un ghigno feroce il principe.
“Non ancora assassino!” Tuonò una voce maschia dall’ingresso della stanza.
Il principe non ebbe il tempo di voltarsi che un acuto pugnale gli penetrò tutto nelle spalle. Fece un passo avanti e, buttando copioso sangue dalla bocca, cadde pesantemente per terra: era morto. I due sposi riuscirono a fuggire dal castello e dal paese. Gli accoliti del morto principe si misero sulle loro tracce, ma non poterono raggiungerli. Dio dall’alto vegliava sulla loro salvezza. Questa è la leggenda della Vergine di Isnello.