Tiziana Benzi si specializza nel 1997 in restauro arazzi e tessuti antichi. Da allora la professionalità acquisita la porta a coordinare importanti cantieri, gestendo sia lo studio del progetto dell’intero iter di restauro che la parte di documentazione tecnica, conservazione preventiva ed allestimento.
Gli enti ai quali continua a prestare, e ha prestato negli ultimi due decenni, le sue competenze, quali il SGPR Quirinale e l’Accademia di Francia (RO), il Vittoriale degli Italiani (GR), Palazzo Pitti (FI), Museo Egizio (TO), Collegio Alberoni (PC) e altri ancora, le hanno permesso di maturare una vasta esperienza pratica nella valutazione di oggetti tessili ed organici e di eseguire importanti commesse su importanti collezioni di arazzi, abiti antichi, paramenti ecclesiastici, reperti archeologici ed in cuoio.
Le sue attività di docenza presso Istituti Universitari Italiani, che spaziano da corsi improntati alla preparazione tecnica di futuri restauratori a lezioni teoriche sulla merceologia tessile per gli studenti di design, le consentono di divulgare e condividere al meglio le sue conoscenze alle giovani menti.
La sua continua ricerca dell’innovazione tecnico-scientifica, abbinata ad una rigorosità professionale, la porta a elaborare interventi reversibili che hanno come unici obiettivi la stabilizzazione, valorizzazione e la fruibilità dell’opera d’arte nel tempo.

L’intervista di StorieParallele
Tiziana Benzi, restauratrice di arazzi e tessuti che ha svolto attività di restauro a livello sia Italiano che internazionale, è impegnata nei lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria degli arazzi raffaelleschi conservati presso il Complesso Museale di Palazzo Ducale di Mantova. Abbiamo avuto il piacere di incontrarla per una breve intervista.
Il mestiere del restauratore può essere considerato un privilegio perché a differenza degli spettatori si instaura con l’opera d’arte un rapporto diretto e ravvicinato. Qual è l’aspetto che l’affascina di più di questo mestiere così particolare?
La mia esperienza ventennale nell’ambito tessile, che cerco anche di promuovere a neolaureati o stagisti che transitano presso il mio laboratorio, è che ogni opera è differente, anche se i loro materiali costitutivi possono essere simili. Ogni fase esecutiva del mio lavoro può riservare delle sorprese: si parte dallo studio microscopico dei filati, che ci rivela la natura delle fibre, dei coloranti utilizzanti e del loro stato di conservazione, per arrivare allo studio più generale dei parametri idonei da adottare per la pulitura meccanica o ad umido delle superfici, per la riduzione localizzata delle macchie, per la stabilizzazione delle cuciture, ed arrivare successivamente allo studio della presentazione estetica dell’opera, del suo allestimento e dell’esposizione all’interno del suo contesto museale, ecclesiastico o privato. Il mio obiettivo primario è di comprendere a fondo la natura del manufatto e le tecniche esecutive utilizzate dalle mani che l’hanno creato, in modo da salvaguardare l’opera nel tempo, progettando interventi non invasivi e soprattutto reversibili nel corso degli anni.
Il pubblico? A mio avviso è obbligo morale di noi restauratori cercare di rendere lo spettatore partecipe delle peculiarità tecniche dell’opera. Durante gli interventi di restauro compilo schede tecnica accurate di ciascuna opera su cui lavoro, le arricchisco di foto in alta definizione, di grafici dettagliati sullo stato di conservazione, di dati tecnici che solo chi ha la fortuna di toccare da vicino l’opera può registrare. Penso che il compito di noi restauratori sia anche quello di divulgare e condividere con il pubblico le nostre “scoperte”, sia attraverso pubblicazioni specializzate, conferenze, convegni, che tramite percorsi museali dedicati.
Parlo della mia esperienza diretta: quando mi è stata data la possibilità di confrontarmi vis a vis con il pubblico, la loro visione di fruibilità delle opere tessili ha “scavalcato” la parte iconografica facendoli appassionare alla parte tecnica, quella che in realtà tutti amano.

Quali sono le principali abilità che l’ hanno portata ad avvicinarsi al mondo del restauro? Qual’è la sua “mission” morale ed etica verso la salvaguardia delle opere d’arte?
Il perfezionismo mi ha permesso di raggiungere obiettivi ambiziosi. La pazienza, la meticolosità, la scrupolosità sono la croce e la delizia del mio lavoro. Spesso ho la fortuna di avere tra le mani patrimoni di valore incalcolabile, per questo motivo non posso permettermi di essere approssimativa. Credo davvero che nel mio campo i dettagli facciano la perfezione e che la perfezione non sia un dettaglio.
Come ho accennato precedentemente la mia “mission” del restauro è mantenere una deontologia tecnica atta a salvaguardare a pieno le opere tessili, con interventi reversibili e nel rispetto della sostenibilità. Inoltre tendo ad essere molto puntigliosa nel documentare il mio lavoro e ad argomentare le scelte che adotto per ogni opera su cui lavoro: il mio obiettivo è quello di tramandare tutti questi dati alle future generazioni di restauratori, in modo che possano comprendere le complesse decisioni tecniche che ho adottate caso per caso.
Durante questi mesi è stata palmo a palmo con gli arazzi tessuti nelle Fiandre su cartoni di Raffaello Sanzio, un cantiere di manutenzione importante per la salvaguardia di queste opere monumentali, qual è stata la sua impressione? Come si svolge la “giornata tipo” in cantiere?
E’ stato un cantiere complesso e articolato sotto tutti i punti di vista, in cui l’organizzazione programmata di ogni fase è stata fondamentale per la riuscita dell’intervento. Nella lavorazione di un intero ciclo di panni istoriati così importanti, più che “giornata tipo” direi che la mia testa era suddivisa in un’“annualità tipo”, se così si può definire scherzosamente. Infatti la mia mente era ripartita in compartimenti ben definiti dedicati alla coordinazione dell’intera equipe lavorativa, dai trasportatori, agli operatori, ma soprattutto agli interventi diversificati richiesti da ogni arazzo.

Qual è la differenza tra Manutenzione e Restauro nel campo della conservazione dei beni culturali?
Il termine “manutenzione” è spesso accostato a quello di conservazione preventiva. La manutenzione è una parte fondamentale del nostro ambito, perché implica la salvaguardia delle opere d’arte nel tempo in maniera continuativa ma non invasiva. “Manutenzione” può essere la microaspirazione controllata dell’opera ad intervalli regolari, il controllo dei parametri ambientali nei quali l’opera è conservata, la valutazione del sistema di illuminazione in modo da non accelerare il degrado fotochimico. Per gli enti, la parte economica da affrontare per le manutenzioni ordinarie o straordinarie risulta essere ben differente rispetto ad un eventuale restauro, che inevitabilmente implica costi elevati soprattutto per grandi arazzi di ampie metrature. Gli arazzi sono opere particolarmente apprezzate ma richiedono un impegno economico a volte difficilmente concepito. Sensibilizzare al meglio gli enti sulle campagne di manutenzione ordinaria/straordinaria dei nostri beni culturali, sono certa, aiuterà sia gli enti a livello economico, che le opere d’arte che verranno conservate al meglio nel corso degli anni attraverso check-up a cadenze regolari.
Se invece l’opera è gravemente deteriorata si dovrà optare per un progetto di restauro articolato, in cui le operazioni sono più invasive, e mirate alla reintegrazione di mancanze, al consolidamento strutturale dell’opera, alla ricostituzione mimetica di parti di tessitura, ad interventi di pulitura fisica e chimica approfondita e a indagini chimiche specifiche, con costi considerevoli e tempi di studio e di intervento molto estesi.
Cosa consiglierebbe di osservare al visitatore che passeggia incuriosito per le Sale degli Arazzi dove sono esposti i panni istoriati? Quale dettaglio figurativo e tecnico l’ha affascinata più di tutti?
Il consiglio che mi sentirei di dare ai futuri visitatori è di osservare le opere partendo dai materiali e della tecnica esecutiva, proprio come se ne fossero loro gli artefici: mi auguro che il pubblico rimanga affascinato dalla concentrazione delle sottili trame colorate, che accostate a telaio millimetro dopo millimetro, compongono queste scene maestose dalla metratura importante: ben sette metri emmezzo di larghezza e cinque di altezza. Ciò che colpisce è l’estrema abilità dei tessitori nel tradurre dei veri e propri dipinti in scala 1:1 (chiamati cartoni) eseguiti da Raffaello. Basta avvicinarsi un po’ a questi panni per apprezzare la resa delicata degli abiti dei personaggi, dei capelli, delle barbe, delle vene dei marmi, dei giochi di luce e ombre. Come i pittori utilizzavano le proprie tavolozze di pigmenti per creare la scena, così i tessitori facevano uso delle spolette su cui erano avvolti le centinaia di fili colorati. È stupefacente.
Con trepidazione attendo di concordare le date per la campagna di divulgazione tecnica che verranno dedicate al solo spettatore in cui farò ammirare i numerosi dettagli di questo ciclo di panni istoriati, con curiosità scientifiche ancora da scoprire.
