In questo articolo vedremo una delle metodologie usate nel restauro per pulire un’opera: le puliture ad impacco.
Prima di tutto c’è da chiedersi da cosa dovrebbe essere pulita un’opera d’arte o, più in generale, un bene culturale. Di base ci si può trovare un po’ di tutto: colature di colore, cere, macchie non ben identificate, muschi, o il preferito dei restauratori architettonici, sempre presente in ogni edificio storico e sempre presente in grandi quantità tra l’altro… il guano. Il maledetto guano.
Ma al di là dei casi specifici è sempre presente la polvere, che può anche essere di centinaia di anni e che col passare del tempo si compatta e crea uno strato coerente, spesso venendo anche assorbita dalla superficie dell’opera stessa, vedi le cere dei dipinti o i marmi delle chiese (polvere assorbita dal marmo?! Leggi l’articolo dedicato!).
Una banalissima polverulenza diventa così uno strato compatto e, molte volte, difficile da rimuovere.
Ma passiamo al concetto di pulitura
La pulitura è una componente fondamentale del restauro. Fondamentale dal punto di vista conservativo, perché rimuove delle sostanze o dei depositi che possono essere nocivi per i materiali di cui è composta l’opera, e fondamentale dal punto di vista della riproposizione estetica, in quanto, un’opera con una patina di sporco sovrammessa ha un aspetto solitamente più confuso e ovviamente non coerente con il suo aspetto originale, perde immediatamente dettagli e vivacità dei colori.
Parlando di puliture non si può non ricordare che questa operazione è una di quelle che vengono definite irreversibili. È cioè un’operazione dalla quale non si può tornare indietro, quindi va ben studiata e calcolata perché una volta fatta il risultato sarà definitivo. Per essere più specifici è meglio dire che è un’operazione unilaterale, cioè non dà la possibilità di tornare indietro ma solo di essere ripetuta.
Ciò però implica due cose:
- Il rischio di “spulire”, come si dice in gergo, cioè di aver effettuato un’eccessiva pulitura. Ciò può avvenire se si è usato sostanze troppo aggressive, o di averle fatte reagire con l’opera per troppo tempo, e di aver conseguentemente intaccato la superficie. Pensiamo ad esempio all’utilizzo di un acido, se usato in piccole quantità questo ci può essere utile alla rimozione di una patina di sporco di carattere basico, ma se utilizzato in quantità eccessive l’acido andrà ad aggredire anche il supporto.
- Ogni volta che vengono fatte rigonfiare, o comunque reagire, le sostanze che si trovano sulla superficie, ma senza che queste vengano rimosse del tutto, è possibile che si ridispongano e si ricompattino, diventando più ardue da rimuovere al passaggio successivo.
Ciò significa che una buona pulitura deve rispettare il materiale originale dell’opera e deve rimuovere tutto lo strato di sporco in un unico passaggio.
Una pulitura ad impacco ben eseguita implica delle prove preliminari che ne dettino la composizione e il tempo di reazione, al fine di rispettare i materiali originali dell’opera e, al contempo, rimuovere il più possibile le soprastanti patine di sporco.

Da cosa è composto un impacco
Molte sono tecniche di pulitura che si possono effettuare, ma oggi ci concentreremo su un grande classico del restauro: le puliture ad impacco.
Gli impacchi sono composti da polpa di cellulosa e/o da argille assorbenti, come la seppiolite o l’attapulgite. Queste ultime sono dei silicati idrati di magnesio e sono molto utili a rendere più compatto l’impacco e ad aumentarne il potere estrattivo, cioè il potere di attrarre verso l’esterno le sostanze indesiderate sull’opera.
La polpa di cellulosa è invece una fibra organica ottenuta da cellulose vegetali, solitamente dal legno. Essa si presenta come piccoli grumi bianchi, visivamente simili a batuffoli di cotone o alla carta sfilacciata. È insolubile in acqua e in solventi organici. Un chilogrammo di polpa di cellulosa trattiene 3-4L di acqua e viene venduta divisa per lunghezza delle fibre: più sono corte e maggiore sarà la quantità di acqua trattenuta.
Questi materiali, se mescolati assieme a una soluzione acquosa, sono in grado di formare una sorta di fango, il quale viene quindi steso a mano o attraverso l’utilizzo di strumenti come la cazzuola sulla superficie da pulire.
Per aumentarne l’efficacia o per rendere più specifica la pulitura, nell’acqua solitamente vengono disciolte delle sostanze atte a reagire con il supporto o con la patina di sporco che lo interessa. Nel campo dei dipinti murali, dei materiali lapidei e dei loro derivati, le più comuni tra queste sostanze sono il bicarbonato e il carbonato d’ammonio. Si presentano come dei sali che una volta disciolti in acqua reagiscono con le patine di sporco, rigonfiandole e facendole assorbire dall’impacco, anche grazie alla loro relativa basicità e contribuiscono al consolidamento del carbonato di calcio, sempre presente negli intonaci antichi e in moltissime pietre.

Le proprietà dell’impacco e le sue funzioni
L’impacco, come accennato, ha la capacità di inumidire il supporto, e, insieme, di esercitare un’azione di tipo fisico, ossia di assorbimento di liquidi in rapporto al proprio peso.
Ciò significa che tramite la sua acqua, e le eventuali sostanze aggiunte, inumidirà in modo controllato la superficie da trattare, facendo così disciogliere o rigonfiare lo sporco da rimuovere e, tramite la proprietà estrattiva, lo attrarrà a sé, inglobandolo. Così, una volta rimosso l’impacco, verrà anche asportato lo sporco lasciando la superficie pulita e non intaccata.
Date queste caratteristiche, gli impacchi sono utilizzabili per diverse funzioni.
La più semplice è quella estrattiva, essi possono essere ad esempio utilizzati per rimuovere dal supporto murario i sali solubili. Essi sono assi pericolosi in quanto capaci di sciogliersi se in presenza di umidità, migrare all’interno del muro e cristallizzare quando l’umidità viene meno. La pericolosità sta nel fatto che quando cristallizzano aumentano di volume, un po’ come succede con l’acqua quando ghiaccia, perciò producono delle microfessurazioni che, dopo cicli e cicli di discioglimento e ricristallizzazione, possono produrre danni statici anche molto gravi. Un caso molto comune in cui avviene questo fenomeno è quando vi è una commistione tra malte a base di calce e cementizie.
In questi casi l’impacco ha la funzione di sciogliere questi sali e attirarli a sé, rimuovendoli quindi dal supporto murario. Per accentuare il processo viene utilizzata acqua deionizzata, che quindi non ha né sali né ioni. In questo modo sarà più efficiente nella reazione di scioglimento dei sali.
Un’altra funzione che hanno gli impacchi è quella di pulitura attiva nei confronti dello sporco. È ciò che avviene tra le sostanze aggiunte all’impacco e la patina di sporco. Prendiamo il caso del carbonato e bicarbonato d’ammonio. Essi sono sali solubili in acqua, utilizzati solitamente in soluzione satura, ma, a seconda dei casi, vengono anche utilizzati a concentrazioni inferiori.
Il carbonato e il bicarbonato d’ammonio si trasformano spontaneamente in prodotti volatili, rilasciando ammoniaca che conferirà al trattamento proprietà detergenti. La loro caratteristica alcalinità, più forte nel carbonato rispetto al bicarbonato, consente un graduale ammorbidimento dello strato di sporco e delle vecchie patine proteiche o lipidiche che si possono trovare sui manufatti, consentendone quindi la rimozione dal supporto.
Questi sali, inoltre, esercitano un’importante funzione desolfatante, riuscendo a trasformare il gesso (sale parzialmente solubile, quindi pericoloso per il discorso sui cicli di scioglimento e ricristallizzazione sopracitati) in solfato di ammonio, più solubile e facilmente rimovibile con il lavaggio acquoso che va sempre effettuato dopo la rimozione degli impacchi.
Sì ma come si fa?
Premesso che ogni operazione di restauro viene modificata a seconda del singolo caso e che ogni restauratore ha la propria sensibilità e i propri trucchi del mestiere, si possono comunque delineare alcune fasi più o meno standard:
- Inumidire il supporto con acqua. Le murature sono solitamente estremamente asciutte, capaci di assorbire molto velocemente la soluzione dell’impacco; questa prima operazione riduce questo assorbimento facendo sì che l’umidità dell’impacco rimanga sulla superficie del supporto. Un substrato già leggermente inumidito, inoltre, assorbe meglio le successive imbibizioni.
- Il punto 1 viene solitamente effettuato in concomitanza della stesura della carta giapponese. Si tratta di una particolare carta, molto fine e resistente che viene posta tra il supporto e l’impacco. Ciò che si fa è posare la carta sulla superficie e farla aderire con un pennello bagnato. Il motivo per cui viene interposto questo strato di carta è di rendere ancor più omogenea l’adesione della polpa alla superficie da pulire e per facilitare, alla fine, la rimozione dell’impacco, che quindi non lascerà frammenti nella porosità del supporto ma verrà rimosso per intero.
- Stesura dell’impacco. La polpa va schiacciata sulla superficie, in modo deciso ma non violento. L’impacco deve aderire perfettamente su tutta la superficie senza bolle d’aria, ma non deve essere schiacciato troppo per evitare che esso venga strizzato e che perda quindi la soluzione trattenuta.
- Rimozione dell’eccesso di carta giapponese. Gli impacchi vengono stesi in modo preciso, ma, per ragioni di praticità, la stesura della carta è solitamente in leggera sovrabbondanza. Per evitare che la soluzione contenuta nell’impacco migri in aree che non sono interessate dall’operazione la carta in eccesso deve essere rimossa. Questa operazione è solitamente molto veloce e di facile attuazione in quanto sul bordo dell’impacco la carta passa dall’essere completamente satura a completamente asciutta, perciò, tirando leggermente, questa si strappa da sola proprio sulla linea che delimita l’impacco.
- In certe situazioni si può decidere di coprire l’impacco con una pellicola di plastica per evitare che l’impacco asciughi troppo velocemente.
- Una volta trascorso il tempo adeguato, l’impacco viene rimosso meccanicamente e la superficie lavata abbondantemente. In alcuni casi il lavaggio con acqua viene preceduto da un lavaggio con la stessa soluzione dell’impacco.
- Godere della visione del raffronto fra la parte dell’opera pulita e perfetta e la parte ancora da trattare, sporca e confusa


Rimozione della carta giapponese – InfoRestauro ©
Saggio di pulitura – RestauroArteToscana ©
PRO e CONTRO
Si può affermare che, indipendentemente dalla tipologia, le puliture a impacco sono una metodologia meccanicamente sicura e rispettosa dell’opera, decisamente poco costosa e di facile messa in opera.
Per contro è un’operazione alquanto lenta e se viene fatta in modo superficiale e senza delle adeguate prove preliminari, può risultare poco controllabile e dannosa