Collegandosi alle origini del cinema e dei primi movimenti artistici, soprattutto europei, proseguiamo la nostra carrellata sulla storia del cinema.
L’industria cinematografica statunitense
In America, attorno agli anni ’10, i produttori cinematografici indipendenti, a causa della lotta per i brevetti cinematografici, si spostano da New York alla California, stato in cui il monopolio della Motion Picture Patents Company, la compagnia che a quel tempo monopolizzava tutti i brevetti, impedendo alle altre produzioni di fare cinema, non era legalmente valido. Inoltre in California, nel quartiere di Hollywood, c’erano minori costi da sostenere cosicché la maggior parte delle nuove case di produzione si stabilisce lì.

Negli anni ’20, Hollywood è il centro dell’industria cinematografica statunitense grazie soprattutto alla presenza delle Big Five, cinque grandi case di produzione, cinque majors:
- la Warner Bros.;
- la Metro-Goldwyn-Mayer;
- la Paramount Pictures;
- la 20th Century Fox;
- la RKO Pictures.
Sempre in questi anni comincia a svilupparsi il fenomeno dello star system, chiamato in Italia, divismo. Esso è, fondamentalmente, un sistema di promozione delle star, la cui immagine diventa una sorta di icona all’interno dell’immaginario culturale della società, cosicché in primis, per la promozione di un film, si utilizza la fama del divo e non la storia del film in sé. È inoltre un fenomeno che dura per tutto il periodo del cinema narrativo classico (chiamato anche età dell’oro di Hollywood), cioè dagli anni ’20 fino agli anni ’60 o poco prima.
Alcuni dei divi e delle dive più conosciuti sono: Greta Garbo, Ingrid Bergman, Clark Gable, Gary Cooper, Fred Astaire, Humphrey Bogart, Audrey Hepburn, Grace Kelly, ecc.
Nel cinema narrativo classico, tutte le regole stabilite da Griffith decenni prima, vengono perfezionate. Lo spazio è tutto dedicato agli attori ed alla storia. È l’epoca di film classici come The Gold Rush (La febbre dell’oro, 1925) e Modern Times (Tempi Moderni, 1936) di Charlie Chaplin, di Scarface (1932) e Bringing Up Baby (Susanna!, 1938) di Howard Hawks, di Suspicion (Il sospetto, 1941) e Notorious (1946) di Alfred Hitchcock e di Sunset Boulevard (Viale del tramonto, 1950) di Billy Wilder.

Chiaramente anche all’interno di questo periodo, incredibilmente vasto, è possibile scendere nei particolari per notare i cambiamenti di stile negli anni e di regista in regista, tuttavia non è il momento di scendere nei particolari.
Un film di questo periodo segna inoltre un importantissimo cambiamento: l’avvento del sonoro.
Il 6 ottobre 1927, esce nelle sale statunitensi il film The Jazz Singer (Il cantante di jazz, 1927) che segna la nascita dell’era del cinema sonoro che cambia le dinamiche spettatoriali e di produzione dei film. Infatti, esso sarà ben accolto dal pubblico, tuttavia ci saranno registi che rifiuteranno, anche in maniera categorica, il passaggio al cinema parlato, come Charlie Chaplin o il teorico Rudolf Arnheim. Per il grande interprete del personaggio di Charlot, infatti, passare al cinema parlato consisteva più in un regresso che in un progresso. Significava per lui ritornare alla dimensione teatrale e abbandonare il film inteso come oggetto d’arte. Decenni dopo, però, anche Charlie Chaplin utilizzerà il sonoro all’interno dei suoi film, e lo farà in maniera eccezionale, come ad esempio in The Great Dictator (Il grande dittatore, 1940).

Tuttavia, mi preme sottolineare che anche durante l’epoca del muto, i film aveva quasi sempre un accompagnamento musicale. Le sale infatti si munivano di un pianoforte o, più avanti, dei cosiddetti «rumoristi» che, in primis, avevano il compito di coprire il fastidioso ronzio del proiettore, che non era isolato in una cabina a parte, come accade adesso, ma che era posizionato all’interno della sala stessa. I rumoristi erano delle figure professionali ereditate dal teatro che, dentro la sala, con appositi apparecchi ottenevano sorprendenti effetti sonori che adattavano al film proiettato.
Il Neorealismo italiano
A partire dagli anni ’40, in Italia, comincia ad affermarsi un nuovo movimento cinematografico, il Neorealismo. Esso si sviluppa durante e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale e mette in scena le storie delle classi più disagiate che nel dopoguerra si trovavano a fare i conti con una situazione economica e morale drammatica. I film hanno come protagonisti operai, contadini, ladri, giovani padri senza lavoro. Gli attori non sono professionisti e spesso si girava in esterni, sia per i minori costi di produzione, che per riprendere la devastazione che la guerra aveva portato nelle città. Tutto è diretto a rappresentare la realtà, la quotidianità della maggior parte delle famiglie italiane, speranzose e con un vivido desiderio di lasciarsi il passato alle spalle.
Il movimento si sviluppò soprattutto intorno alla rivista «Cinema», cui collaboratori erano registi del calibro di Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Giuseppe de Santis. Ma fanno parte del movimento anche altri registi come Roberto Rossellini, Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica, Pietro Germi, Luigi Zampa e Federico Fellini.
I film che più possono rappresentare questa breve parentesi del cinema italiano sono: Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di Roberto Rossellini, Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) di Vittorio de Sica, La terra trema (1948) di Luchino Visconti, I vitelloni (1953) e La Strada (1954) di Federico Fellini.

La Nouvelle Vague francese
Alla fine degli anni ’50 nasce un nuovo movimento cinematografico in Francia, cui nome è Nouvelle Vague. I registi che fanno parte di questo movimento hanno quasi tutti poco più di vent’anni. Sono per la maggior parte critici cinematografici della rivista «Cahiers du cinéma» ed alcuni di questi sono: Jean-Luc Godard, François Truffaut, Éric Rohmer, Claude Chabrol, Jacques Rivette. La Nouvelle Vague nasce con lo scopo di sovvertire quel cinema documentaristico-moralizzante che aveva preso piede subito dopo il dopoguerra e che presentava una realtà diversa rispetto quella vera, sincera, francese. Perciò i giovani cineasti scendono in strada con mezzi di fortuna e filmano la realtà, utilizzando spesso attori non professionisti e filmando soprattutto all’aperto per ridurre al minimo i costi di produzione.
Tutto ciò che potrebbe essere considerato come un artificio per la realtà, viene eliminato: niente proiettori, niente scenografie complesse, edifici semplici e anche le storie non sono troppo complesse. Il costo dei film era piuttosto basso, cosa che permetteva ai registi di autofinanziarsi invece di affidarsi alle grandi case di produzione che spesso non fornivano aiuti ai giovani e senza esperienza sul campo.
Quando si parla di Nouvelle Vague, si deve parlare anche di «politica degli autori»: un film, secondo questa teoria, non coincide mai con la sua sceneggiatura o con la sua scenografia o con i suoi attori, bensì con l’uomo che lo ha girato, quindi con il regista. Il maggiore critico, nonché teorico, della Nouvelle Vague è stato André Bazin, che con i suoi scritti sul montaggio e sulla politica degli autori ha rivoluzionato il modo di pensare al cinema ed il cinema.
Tra i film più noti, rappresentativi e che sicuramente meritano di essere approfonditi a parte, possiamo citare: Les Quatre Cents Coups (I 400 colpi, 1959) e Jules et Jim (1962) di François Truffaut, À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960) e Vivre sa vie (Questa è la mia vita, 1962) di Jean-Luc Godard, Hiroshima mon amour (1959) di Alain Resnais.
