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Scipione a Zama: il nuovo assetto militare

L’esercito che Scipione condusse sulla piana di Zama, all’alba del 18 Ottobre del 202 a.C., era la manifestazione tangibile dei cambiamenti militari che lo stato romano aveva adottato per uscire vincitore dal conflitto. Il generale romano aveva avuto modo di confrontarsi con il condottiero punico fin dall’adolescenza, quando, stando alle fonti (Livio XXI, 46 e Polibio X, 3), aveva salvato il padre durante lo scontro avvenuto nei pressi del Ticino.

Da ciò si può presupporre che abbia potuto verificare direttamente sul campo l’efficacia dell’arte militare punico/ellenistica, che si basava sullo sfruttamento degli spazi e sulla mobilità della cavalleria per circondare il nemico, per non dover risolvere lo scontro con un semplice impatto frontale.

Divenuto proconsole e responsabile delle campagne militari in Iberia (non senza polemiche da parte della fazione più conservatrice del senato romano, guidata da Q. Fabio Massimo Il Temporeggiatore, poiché per la sua giovane età, 24 anni nel 211 a.C., Scipione non avrebbe potuto ricoprire il ruolo) ebbe modo a sua volta di utilizzare tattiche ispirate al modello annibalico, guidando in battaglia la propria ala destra per circondare il nemico e riuscendo in tal modo a sconfiggere Asdrubale, nel 206 a.C.

Conscio dunque dell’importanza tattica e strategica dei reparti a cavallo, il generale romano concentrò le proprie energie su complesse e delicate trattative diplomatiche con i Numidi (che fornivano la celebre cavalleria di Annibale, guidata da Maarbale), che durarono anni ma che infine ebbero un esito positivo con il supporto romano alle pretese al trono di Massinissa.

Quando sbarcò in Africa del Nord Scipione potè dunque contare sul supporto dei reparti militari numidi, costringendo Annibale, richiamato in patria dai propri connazionali, all’inferiorità numerica sui lati dello schieramento.

Le innovazioni non si limitarono a ciò. Egli infatti mantenne la struttura manipolare dell’esercito, composto in 3 file di astati, principi e triari, ma modificò l’armamento, giacché principi e triari furono armati in modo equivalente. Ciò era finalizzato alla strategia di Scipione, che voleva utilizzare le due linee retrostanti dell’esercito in modo autonomo.

Esse infatti non sarebbero più servite come supporto alla prima linea degli astati (e perciò non più disposte “a scacchiera”, dato che non vi era più bisogno di occupare gli spazi vuoti della fila antecedente, bensì “in colonna”, per muoversi più agevolmente) ma, allargandosi sui lati, avrebbero sfruttato l’ampliamento della linea di schieramento dell’esercito per avvolgere il nemico, circondandolo, anche senza il ricorso alla cavalleria.

La tattica si era rivelata durante una precedente battaglia sui Campi Magni e Scipione volle riproporla anche contro Annibale, confidando nella sua efficacia. Dal canto suo il generale punico era fin troppo conscio che l’inferiorità nelle forze a cavallo gli avrebbe precluso ogni tentativo di accerchiare il nemico, dunque si trovò in condizioni non dissimili da quelle dei Romani a Canne, dovendo puntare tutto sullo sfondamento centrale della fanteria.

Annibale in quest’occasione dimostrò ancora una volta la propria inventiva militare, elaborando un piano che avrebbe sfruttato i punti di forza del nemico per indurlo a esporsi. Innanzitutto il generale punico ordinò alla propria cavalleria di arretrare e fuggire di fronte alle forze numidico/romane di Lelio e Massinissa, dando loro il compito di attirare il più lontano possibile dal territorio dello scontro i nemici.

Nel frattempo schierò la propria fanteria in 3 linee, come quella romana. La prima era composta da mercenari, la seconda da reparti africani e cartaginesi ed infine la terza era formata dai suoi invitti veterani d’Italia, guerrieri che da quasi due decenni combattevano nella penisola in suo nome, senza conoscere la sconfitta. Annibale schierò le prime due linee molto ravvicinate, consapevole che non avrebbero retto a lungo l’assalto degli astati romani.
Tuttavia, arretrò di oltre uno stadio di distanza i veterani d’Italia. Il piano del punico era quello di far arretrare le prime due linee sotto gli attacchi romani, mentre principi e triari si sarebbero allargati per avvolgere le forze cartaginesi. Nonostante ciò i suoi veterani sarebbero rimasti troppo distanti per essere circondabili e avrebbero potuto caricare frontalmente gli astati, sfondandone centralmente la resistenza e annientando l’esercito romano, a quel punto tagliato in due e senza più linee in profondità.
La battaglia andò grossomodo nel modo che Annibale aveva predisposto. La sua cavalleria portò lontano quella di Scipione che nel frattempo, forse troppo fiducioso, fece avanzare la fanteria. Quando la linea degli astati vinse le resistenze delle linee cartaginesi il generale romano si accorse tuttavia che i veterani erano rimasti a distanza e che i suoi astati erano divenuti vulnerabili, mentre principi e triari si stavano allargando per colpire ai lati.
Scipione, accortosi dell’errore fatale, si affrettò a suonare l’ordine di ritirata e fu la disciplina romana a salvarlo. Se infatti gli astati avessero proseguito nella loro carica sarebbero stati travolti dal contrattacco cartaginese. Nonostante questo il combattimento rimase incerto, poiché i reparti cartaginesi in fuga si concentrarono ai lati dello schieramento dei propri veterani (a cui era stato dato ordine di non permettere ai fuggiaschi di trovare rifugio nelle proprie linee, proprio per farli convergere ai lati), andando ad allargare il fronte e vanificando la manovra predisposta da Scipione.

Per molte e lunghe ore lo scontro tra fanterie andò quindi avanti, con gli astati caricati frontalmente dai veterani di Annibale. L’eroismo dei Romani, molti dei quali uomini reclutati personalmente da Scipione tra gli esiliati da Roma e i congedati con vergogna dopo la sconfitta di Canne, pronti stavolta a morire fino all’ultimo uomo piuttosto che a sottomettersi ad un’altra sconfitta umiliante, consentì di resistere fino al ritorno della cavalleria.

E’ probabile che Lelio e Massinissa non si aspettassero di trovare una situazione così incerta al loro ritorno, tuttavia il loro sopraggiungere, seppure tardivo, decise la battaglia. Circondati, i Cartaginesi furono vittime delle stesse tattiche ellenistiche che Annibale aveva tante volte adottato.
Se dunque il Barcide aveva ancora una volta mostrato il proprio genio militare, l’adattamento militare romano aveva permesso di unire le qualità già insite nel proprio esercito (come la grande disciplina e l’eccezionale resistenza e manovrabilità dei manipoli di fanteria) alle innovazioni tattiche rappresentante dal ricorso massiccio alla cavalleria e a manovre avvolgenti.
Con la vittoria di Zama,  Roma non soltanto vinse una guerra, ma mostrò a tutte le altre potenze mediterranee la propria adattabilità alle migliori ed innovative scuole militari del periodo. Il predominio della res publica poteva davvero iniziare

Bibliografia

📖 Livio, Ab Urbe condita
📖 Polibio, Ἱστορίαι
📖 G. Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario: gli eserciti nel mondo classico, Il Mulino, Bologna, 2008
📖 G. Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, Laterza, Bari-Roma, 2009
📖 G. Briscoe, The second punic war, in C.A.H., VIII, Cambridge, 1989
📖 G. Granzotto, Annibale, Mondadori, Milano, 1995​
📖 J. F. Lazenby, Hannibal’s war: a Military History of the Second Punic War, University of Oklahoma Press, Norman, 1998
📖 B. Strauss, L’arte del comando. Alessandro, Annibale, Cesare. Laterza, Roma-Bari, 2015

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a cura di

Leonardo Di Flaviani

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