Il pastore ittita, in particolare il suo ruolo sociale, rimane un soggetto poco studiato nel mondo accademico. Sebbene le informazioni siano dunque limitate in questo articolo proveremo a ricostruire e presentare alcune delle principali gerarchie del mondo pastorale ittita.
Il pastore ittita, un emarginato?
Alcune delle informazioni più preziose riguardo lo status sociale del pastore nel mondo ittita derivano dalle leggi. Qui si trovano i primi indizi indicanti la bassa considerazione di cui godevano i pastori, alle volte addirittura “inferiori ai servi”[1]. Vediamo alcuni esempi:
HL§35A
“Se un pastore prende in sposa una donna libera, questa diventerà una schiava per tre anni”
HL§35B“
Se […] o un pastore fugge con una donna libera e in cambio non paga il prezzo della sposa, lei diventerà schiava per tre anni”[2]
Nel HL§35B si legge “fugge con una donna libera”, traduzione letterale della legge. Tuttavia, Hoffner, uno dei maggiori studiosi, da cui ho tratto la traduzione in italiano proposta nell’articolo, intende l’espressione come “to leave home secretly in order to get married without the permission of your parents”[3]. Appare chiara la condanna morale a cui si andava incontro nell’unirsi a un pastore.
Il diverso trattamento che veniva riservato ai pastori lo si nota se si confronta le norme appena lette con quelle riguardanti i rapporti tra un servo e una donna libera (HL§32) o tra un uomo libero e una serva (HL§31): non vi è una discriminazione nei confronti della figura socialmente “svantaggiata”, anzi nel caso del HL§31, se i due divorziano si dividono i beni equamente. Dunque il caso dei pastori è legato alla condizione sociale dello sposo, diversa all’interno dell’organizzazione statale.[4]

Tutta colpa del nomadismo
Perché dunque questa discriminazione nei confronti di una delle fasce di popolazione che produceva una delle maggiori ricchezze del regno Ittita? Una opzione percorribile è che la discriminazione fosse legata alla loro natura nomadica[5] e quindi difficili da controllare per il potere centrale. Questo avrebbe portato a un atteggiamento di diffidenza prima e rigidità poi; inoltre la natura impervia e spesso non sicura del territorio ittita all’infuori dei centri ove il governo era in grado di imporre il proprio controllo di certo potevano favorire un atteggiamento di sospetto verso una frangia della popolazione che, naturalmente, tendeva a spostarsi sul territorio. Di tale movimento è possibile trovare riscontro, come suggerito dalla Pecchioli[6], nel trattato di Hattusili III con Ulmi-Tešub di Tarhuntassa (KBo IV 10 Ro 33’- 34’), dove vengono regolati i passaggi di confine tra i due regni operati dai pastori.
Spostandosi sul territorio in maniera relativamente indipendente, continua Pecchioli, i pastori avrebbero potuto rappresentare “un polo di attrazione per i membri delle comunità di villaggio che entrano in contrasto con la struttura palatina”.[7] La marginalizzazione sarebbe stata solo un elemento iniziale tuttavia, durante un periodo di stabilizzazione del potere centrale, dopodiché questo sarebbe stato in grado di integrare i pastori in un sistema definito all’interno della società,[8] che avrebbe reso di fatto i pastori elementi più controllabili e dunque meno “pericolosi”. La terminologia che indica le varie professioni legate alla pastorizia è infatti ricca e “risale nella sua quasi totalità al periodo imperiale”.[9] Nelle fonti si nota come la figura del pastore partecipasse a feste e rituali, e facessero parte del personale palatino e di quello dei templi, segno comunque di una integrazione effettivamente avvenuta.[10]
Un elemento interessante è rappresentato dal fatto che il dio sole era soprannominato “pastore dell’umanità” o “pastore del paese, degli abitanti del paese”,[11] una denominazione priva di connotazione negativa. Questo, tuttavia, è difficile possa costituire una ulteriore prova di integrazione dei pastori nella società: la denominazione del dio sole sopra scritta deriva agli ittiti dalla concezione paleo babilonese, ed era probabilmente una interpretazione che la popolazione non conosceva, poiché nel mondo ittita vi è uno scollamento tra il mondo e la cultura “istruita”, messa per iscritto dagli scribi e quella della popolazione.

Note
[1] Imparati 1988, p.240
[2] Hoffner 1997, p.43
[3] Traduzione del Cambridge dictionary online (https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/elope).
[4] Pecchioli 1988, p.240
[5] “Intensive raising of cattle or sheep requires that the animals be moved periodically. […] Movement of the herds may be linked with the seasonal migration of a substantial portion of the human society, as in (semi-) nomadism, but the simpler pattern of transhumance is also found, particularly in areas. Under such a regimen the animals pass a portion of the year in the vicinity of the cultivated fields, moving during the summer to more distant pastures at higher elevations. The animals are accompanied by a small number of professional herdsmen, who usually have responsibility for the herds or flocks of several owners. As for Hatti, the texts provide no evidence of a nomadic economic mode, although such may have been practiced by some of the neighboring KaSka. Our sources do, however, document the presence of herds and flocks both near human habitation and on the periphery of the settled area. Close-in grazin is implied by the inclusion of pasture in some royal land grants”. (Beckman 1988, p.40).
[6] Pecchioli 1988, p.241
[7] Pecchioli 1988, p.241
[8] Pecchioli 1988, p.241
[9] Pecchioli 1988, p.242
[10] Pecchioli 1982, p.22
[11] Pecchioli 1982, p.23