Il mondo ittita era diviso in distretti amministrativi con, secondo una relazione piramidale di dipendenza, vari centri urbani regionali e altre città minori. Per quanto riguarda la campagna ittita, nell’area di influenza delle varie città vi erano poi i villaggi e i pascoli. Le varie fattorie erano organizzate in gruppi, ognuna riferente a se stessa o una comunità urbana (villaggio). Ognuno di questi gruppi agricoli aveva una propria organizzazione, espressa in un concilio e una amministrazione, responsabile della supervisione del territorio, che si poteva estendere anche per 5km dal centro villaggio/comunità. Il concilio invece aveva funzione giuridica nel risolvimento delle dispute terriere, inoltre aveva il compito di assicurarsi che la terra fosse sfruttata appieno e che le tasse venissero correttamente pagate.[1]

La terra poteva essere di proprietà dei piccoli contadini o comunitaria di villaggio, utilizzata dalla stessa o affittata. Gli appezzamenti di terra erano divisi tra due tipologie: da pascolo e coltivati .[2]
Il contadino e il villaggio
Il piccolo proprietario contadino rappresentava l’elemento fondamento dell’economia agricola ittita. La coltivazione intensiva e la diversificazione dei prodotti erano i due elementi chiave per il benestare dei piccoli contadini[3], che tendevano a sostentare grazie a un modesto numero di capi di bestiame oltre che alla coltivazione della terra.[4] In questo passaggio di Bryce possiamo osservare una possibile proprietà-tipo:
“… una varietà di colture di frutta, verdura e cereali, con la rotazione delle colture, completata da una gamma di bovini addomesticati […] pecore, maiali, capre, asini, cavalli e pollame, tra cui pernici e anatre”.[5]
Le varie comunità di villaggio erano costituite da più famiglie, spesso estese. Servivano infatti dalle sette alle dieci persone per gestire una fattoria di medie dimensioni e non averle a disposizione direttamente nella famiglia significa doverle assumere.[6] La famiglia di Pulliyanni, ad esempio, era composta da tre ragazzi e tre ragazze, un altro uomo adulto oltre a Pulliyanni, quattro donne e due anziane, per un totale di quattordici anime.[7]
Un documento di concessione terriera[8] ci fornisce un’altra immagine di quella che può essere una situazione relativamente agiata nelle campagne: una famiglia composta dai genitori e tre figli (un maschio e due femmine) possedeva otto buoi (di cui sei da tiro), ventidue pecore, diciotto capre, quattro agnelli. La terra posseduta ammontava a un appezzamento di un acre da pascolo, tre acri e mezzo di vigna (con quaranta alberi da mele e quarantadue melograni).
Il bestiame era usato per tutti i suoi prodotti: latte e lana dalle pecore, forza lavoro per l’aratro dai buoi, mentre all’occorrenza entrambi possono essere impiegati come fonte di carne. L’affittto di una parte delle terre per il pascolo o la coltivazione era cosa comune, per sopperire a quella posseduta direttamente, spesso insufficiente.[9]
Il grande proprietario terriero
Un altro protagonista importante nel panorama extraurbano ittita era il grande proprietario terriero. Oltre al possesso di una quantità considerevole di terre, ricchezze e bestiame dobbiamo ritenere che gestisca anche schiavi ed fittaioli.[10]
Compito del grande proprietario era quello di assicurarsi il conseguimento delle prestazioni di lavoro statali dei fittaioli e della raccolta delle tasse.[11] Il re tendeva a cercare di mantenere i possedimenti del regno più frammentati possibili, anche qualora li donasse ai suoi sudditi più fidati, per evitare un eccessivo accentramento di ricchezza e potere nelle mani dei singoli. Un’altra ragione era che possedenti più piccoli erano più efficaci nello sfruttare al massimo le possibilità della terra. Questo elemento risulta di grande importanza in una società caratterizzata regolari carestie.[12]
Il possesso della terra nel regno ittita
Nel mondo ittita per arrivare a possedere della terra si potevano seguire varie strade: la si poteva acquistare, affittare o ricevere in dono. I soggetti possessori con i quali bisognava interagire erano il re, le città, i villaggio o i ricchi proprietari. Per il re donare le terre era un importante metodo per gestire equilibri politici interni: il re era solito donare terra a personaggi di rilievo, istituzioni e luoghi di culto.[13] Le terre ottenute in tal modo potevano essere di grande estensione, includendo non solo campi coltivati ma anche da pascolo, terre con risorse naturali tipo foreste, assieme a manodopera ed equipaggiamento.[14] Donazioni minori erano eseguite come forma di pagamento a impiegati regali, come: “…araldi, corrieri […] e servi da tavola del re”.[15]
L’allevamento e l’emancipazione degli schiavi
L’insufficienza di manodopera era un fattore cronico del mondo ittita, dunque non stupisce la presenza di schiavi, spesso provenienti da bottini di guerra.
Durante le campagne militari gli uomini erano a combattere e le donne, i bambini e gli schiavi dovevano prendersi cura dei raccolti e del bestiame. Questi periodi costituivano per lo schiavo una importante occasione di emancipazione: veniva concesso di tenere una parte degli introiti della fattoria.[16] Nel tempo alcuni schiavi riuscivano a risparmiare quanto bastava per acquistare una proprietà, e dunque migliorare la propria condizione.[17]
I pericoli per il bestiame
Si può facilmente immaginare come in campagna gli animali selvatici potessero rappresentare una minaccia per il bestiame. Al riguardo sappiamo che i lupi costituivano, in questo senso, una piaga, tanto da diventare il simbolo di illegalità.[18]
Un altro elemento di pericolosità per il bestiame è rappresentato dalle bande di saccheggiatori che spesso razziano i confini.[19] Per alleviare il problema che al calar della sera, nelle zone di confine, il bestiame viene chiuso dentro le città fortificate, dove viene tenuto sino all’alba.[20]
Note al testo
[1] Bryce 2002, p.81
[2] A riprova si prenda in considerazione che nelle leggi rinvenute queste categorie ricalcano quelle dei terreni affittabili mensilmente, che stabilisce il costo di 3 sicli per la terra irrigata (§183) e 40 sicli per quella coltivata a vite (§185). (Hoffner 1997, pp.146-147)
[3] Bryce 2002, p.74
[4] Bryce 2002, p.83
[5] Bryce 2002, p.74
[6] Collins 2007, p.115
[7] “In addition, he owned six cattle, two asses, and seventeen goats, and his crops included a vineyard, an olive tree, and fig trees”. (Collins 2007, p.115)
[8] KBo v7 (CTH 223), Bryce 2002, p.74
[9] Anche quando il re concedeva concessioni di terreni tendeva a farlo in piccoli lotti piuttosto che in singole grandi proprietà. (Bryce 2002, p.75)
[10] Hermann and Dirk 2011, p.92
[11] Hermann and Dirk 2011, p.92
[12] Bryce 2002, p.75
[13] Bryce 2002, p.75
[14] Bryce 2002, p.75
[15] Bryce 2002, p.75
[16] Bryce 2002, p.79
[17] Bryce 2002, p.79
[18] Collins 2002, p.241
[19] Hoffner 2009, p.91
[20] Miller 2013, p.219