Ovini e bovini erano degli animali fondamentali nel contesto economico degli Ittiti, allevati in gran numero in tutto il regno. Non è semplice provare a ricostruire quale fosse l’aspetto degli animali utilizzati più di 3 mila anni fa, ma in questo approfondimento proveremo a ricostruire un’immagine credibile di ciò che sono stati, sia sul piano estetico che comportamentale. Della figura del pastore e del suo ruolo sociale, invece, parleremo in separata sede.

Gli ovini
I primi animali da cibo ad essere addomesticati durante la transizione dal Paleolitico al Neolitico (9000-7000 a.C.) furono le pecore selvatiche, assieme alle capre [1]. Altre bestie con scopi diversi, come ad esempio il cane, venne addomesticato precedentemente. Oggigiorno, nella zona compresa tra Europa e Iran, vivono i mufloni (Ovis orientalis).
L’archeologia evidenzia come le prime pecore domestiche siano derivate probabilmente dal muflone, che abitava una zona compresa tra Anatolia, Iraq e Iran. L’analisi cromosomica è promuove questa ipotesi [2]. Sembra dunque che i mufloni, o una loro evoluzione, fossero le pecore ittite.
L’ovis orientalis, l’erede attuale della nostra pecora ittita, era mediamente più imponente degli esemplari vissuti nel periodo post-ittita [3]. Esteticamente si caratterizza dal manto marrone scuro, per le zone umide, e variazioni rossastre per i luoghi aridi. Le zampe, la pancia e il muso sono bianche, mentre la gola è nera. Durante i mesi invernali sviluppano un manto lanoso caldo, che perdono con il ritorno del caldo, in primavera. Le corna presentano forme variabili, con una torsione omonima (laterale) che vede i corni ruotare attorno alle orecchie e volgersi verso la parte anteriore dell’animale, e una torsione eteronima (mediale); che presenta le punte convergenti in direzione della schiena o del collo. Sono infine presenti formazioni callose sul petto e sui carpali, per sostenere l’abrasione a cui sono sottoposti arrampicandosi sui pendii. Dal punto di vista comportamentale possiamo ricordare che le pecore tendono a preferire ampi spazi, privi di vegetazione boschiva, in modo da essere in grado di avvistare eventuali predatori dalla distanza[4].

E per quanto riguarda le capre? Il presunto antenato dell’attuale ceppo domestico (Capra hircus) è la capra di montagna [5] (Capra aegagrus). Questa vive tra Turchia e Pakistan, e in passato si estendeva verso nella zona più meridionale del Medio Oriente. La capra di montagna presenta un manto bruno-rossastro, le spalle sono caratterizzate da un colorito scuro, delimitando l’addome dal busto, mentre il muso e la caratteristica barba sono neri, in contrasto con la zona dell’addome che è bianca [6]. Al contrario delle pecore le pecore preferiscono come meccanismo di difesa posizionarsi in alto, in luoghi scoscesi [7]. Le corna, estensioni ossee inguainate in cheratina sono permanenti e non rinnovabili. Le loro dimensioni aumentano annualmente per tutto il corso della vita dell’animale, raggiungendo dimensioni ragguardevoli nei soggetti più anziani [8].

In generale si può affermare che le pecore appartengono tutte a una singola specie [9]: si riproducono, in cattività, in maniera indipendente dalla loro origine. Similmente anche le capre sono interfertili. Nel caso di esemplari selvatici e non addomesticati tuttavia la situazione è più complessa, e si sono formati dei gruppi che non si accoppiano, delle vere e proprie etnie, per fare un parallelo con gli esseri umani. Ma se in cattività non fanno differenze, come si sono create questi gruppi differenti? Collins [10] sostiene che la separazione geografica è da considerare come l’elemento principale in questo fenomeno. Una volta creati, anche qualora le aree abitate dai vari gruppi si sovrapponessero, le differenze anatomiche e/o comportamentali continuerebbero a inibirle l’ibridazione. Questo comportamento, continua Collins, viene confermato dalle categorie tassonomiche utilizzate dalla maggior parte degli zoologi.
A fine estate o in autunno giunge il periodo dell’accoppiamento, dove gli esemplari maschi competono l’un l’altro, tramite spinte e inseguimenti per stabilire il più forte. Sono presenti anche delle vere e proprie battaglie per mezzo delle corna, in particolar modo tra i soggetti di taglia comparabile, che terminano con la ritirata di uno dei due esemplari [11]. Dopo l’atto di accoppiamento la gestazione si protrae per circa cinque mesi, con il parto che generamene avviene in primavera [12]. A sottolineare l’importanza di questi animali nel mondo e nella cultura ittita si può osservare come le feste locali che segnavano il passaggio alla stagione primaverile fossero celebrate in occasione del parto degli ovini[13].
Come le pecore, le capre si nutrono principalmente di erba, ma all’occorrenza possono diversificare la loro alimentazione con vegetazione più alta, spesso arrampicandosi sugli alberi per raggiungere i rami superiori [14]. Questa tipologia di ambiente si ritrovava facilmente nella gran parte dell’Anatolia del tempo, più boscosa e verde di quella attuale, tralasciando probabilmente le zone più meridionali.
I bovini
Ad oggi i bovini selvatici non esistono più, l’ultimo esemplare morì nel 1627 in uno zoo polacco. L’uro estinto (Bos primogenitus), l’animale che è probabile abbia dato origine a tutti i bovini domestici odierni (Bos taurus), vagava un tempo per le foreste e le praterie europee dell’Africa settentrionale e nell’Asia orientale [15].
I documenti storici suggeriscono come gli esemplari antichi fossero eccezionalmente grandi, con le corna incurvate verso l’esterno, terminanti nella parte anteriore.
“Nel periodo ittita, la maggior parte del bestiame era più grande dello standard, suggerendo la presenza di un’alta percentuale di tori e/o buoi [all’interno della popolazione bovina]. Inoltre, molti esemplari erano ben al di sopra dello standard, indicando la presenza di bovini maschi molto grandi. Il più grande esemplare ittita rientra nella gamma di dimensioni dell’uro mediorientale, così come i più grandi esemplari della prima età del ferro, suggerendo una continuità nella caccia al toro selvatico durante la transizione ittita/età del ferro [16]”
Il colore del pelo era generalmente nero, con una striscia dorsale. Le vacche più piccole invece avevano un manto brunastro o rossastro. I bovini del Vicino Oriente potevano avere una colorazione più tenue [17].

Il bovino di Heck, incrocio del XX secolo, rappresenta il tentativo di riportare in vita l’ormai estinto Uro unendo varie razze di bovini. Il risultato sebbene presenti alcune discrepanze può essere utile per farsi una idea generale dell’aspetto dell’Uro.
A livello comportamentale possiamo notare come il bestiame selvatico possa aver vissuto in branchi con un solo esemplare maschio, che possedeva il monopolio sull’accoppiamento (almeno fintantoché non veniva sconfitto in sfida)[18]. Infine è bene menzionare la presenza di una seconda specie bovina del Vicino Oriente: il bisonte (Bison bonasus caucasicus), che era situato in Turchia, nel Caucaso e nell’Iran settentrionale [19].
Note
[1] Collins 2002, p.10
[2] Collins 2002, p.12
[3] 5 Ross; McMahon; Heffron; Adcock; Steadman; Arbuckle; Smith; Von Baeyer 2019, p.314
[4] Collins 2002, p.12
[5] Nel Vicino Oriente, la capra di montagna è Chiamato anche bezoar, un termine che si riferisce alle concrezioni mineralizzate, o enteroliti, che si sviluppano nelle sue camere dello stomaco e che erano precedentemente valutate per presunti poteri medicinali.
[6] Collins 2002, p.13
[7] Collins 2002, p.12
[8] Collins 2002, p.12
[9] Collins 2002, p.10
[10] Collins 2002, p.10
[11] Collins 2002, p.11
[12] Collins 2002, p.12
[13] Cammosaro 2018, p.129
[14] Collins 2002, p.13
[15] Collins 2002, p.15
[16] Ross; McMahon; Heffron; Adcock; Steadman; Arbuckle; Smith; Von Baeyer 2019, p.314
[17] Collins 2002, p.15[17] Ross; McMahon; Heffron; Adcock; Steadman; Arbuckle; Smith; Von Baeyer 2019, p.314
[17] Collins 2002, p.15
[17] Collins 2002, p.15
[17] Collins 2002, p.15
[18] Collins 2002, p.15
[19] Collins 2002, p.15