Tutti noi abbiamo sentito parlare di Masaniello almeno una volta nella nostra vita, avremmo visto delle opere d’arte in cui viene ritratto o assistito a delle commedie in cui è protagonista; è diventato un simbolo del popolo in rivolta ma chi è davvero Masaniello? Cosa è successo durante la cosiddetta Rivolta di Masaniello, e soprattutto come sono andati gli eventi nella calda estate napoletana del 1647?
Napoli alla vigilia della rivolta
Napoli dal Cinquecento è sotto il dominio spagnolo, in questi anni si alternano episodi rivoltosi, la situazione economica della Spagna è in crisi dopo il processo dissolutivo dell’impero di Carlo V ma diventa via via più grave intorno al 1636 con l’inizio della Guerra dei Trent’anni. Il prelievo fiscale è esageratamente alto con l’aggiunta dei donativi (prelievi di imposte straordinarie attraverso una tassazione indiretta sui generi alimentari), Filippo IV inasprisce questa politica fiscale andando inevitabilmente a pesare sul quella parte della società più povera. Il malcontento popolare e le tensioni sociali erano sempre più accentuati, enfatizzate anche dalla lontananza del sovrano e dalla presenza estranea di amministratori spagnoli lontani dal costume cittadino che tentarono a più riprese di annientare il fermento anche religioso della città.
Agli inizi del Seicento Napoli era una delle città più popolose dell’Europa, una crescita demografica straordinaria alla cui base c’era un aumento della natalità, un esodo massiccio avvenuto dalle campagne verso la città in cui erano interessate tutte le classi sociali. Napoli era quindi ricettacolo di una serie di umori, centro nevralgico di un regno fatiscente con un re lontano, considerato alla stregua di una colonia, un regno con un tessuto sociale suddiviso in classi disomogenee e non equilibrate. Numerosi principi, duchi e conti vivono in meravigliose ville in città con uno stile di vita esageratamente visibile pregno di una retorica dell’apparire; il “ceto civile” è invece il motore di tutto l’apparato burocratico e amministrativo che aspira ad avere una degna rappresentanza nella classe sociale superiore, al di sotto ci sono quei ceti popolari che con il pagamento delle imposte contribuisce al sostentamento del Regno e rimpingua le casse della Corona. Il popolo e la dimensione popolare assumono in questi anni un ruolo centrale, la piazza è il fulcro dell’attività popolare, luogo in cui convogliano idee, pensieri, malumori e si concretizzano in azioni, nelle piazze avviene il mercato, lo scambio dei soldi e il pagamento delle gabelle e anche palcoscenico delle rivolte[1]. In un clima così teso sia economicamente che socialmente viene emergendo un nuovo ceto sociale che diventerà la figura tipica della Storia napoletana: i Lazzari.
Secondo l’etimologia offerta da Benedetto Croce, il termine era già in uso nel vocabolario napoletano, usata per i più poveri, lebbrosi e spesso ai margini della vita sociale. Ma proprio i lazzari furono i protagonisti della rivolta del 1647. Croce sottolinea come a definire la figura del lazzaro napoletano vanno aggiunte alcune caratteristiche legate al carattere sempre allegro e furbo, incline ad impegni ideologici e politici, incline al ribellismo[2] .
Insomma il clima che si respirava a Napoli in quel periodo era carico di tensioni pronte ad esplodere in una rivolta, contrasti e differenze di classe sociale che si facevano sempre più accentuati alimentavano come un fuoco invisibile le classi più povere. Nell’estate del 1647 a Napoli iniziarono ad arrivare le notizie delle rivolte, a carattere locale, che interessarono la Sicilia nel maggio dello stesso anno e che avevano portato ad una diminuzione delle imposte; queste notizie alimentarono le speranze del popolo vessato che timidamente mise in atto una serie di episodi rivoltosi.

Ma cosa successe in quei caldi giorni di luglio del 1647?
Protagonista in quei giorni è un giovane pescivendolo, Masaniello. La sua figura è al centro di qualsiasi cronaca contemporanea ma pochissime sono le informazioni che abbiamo sul suo conto. Quello che appare certo è che aveva, già prima del luglio 1647, stabilito una serie di rapporti con esponenti del “ceto civile” e con ecclesiastici, la permanenza in carcere del giovane aveva favorito l’incontro con alcuni uomini dotti che lo avrebbero aiutato nel pianificare la rivolta: Marco Vitali e Giulio Genoino, due uomini di legge. Questa sua rete di conoscenze lo aiutò a mettere in atto quella che poi è divenuta una rivolta di classe. Oltre a Masaniello i protagonisti della rivolta furono i Lazzari, ceto bassissimo della popolazione napoletana, esasperati dalla tassazione che colsero la palla al balzo per farsi sentire e manifestare la propria presenza nel tessuto sociale della città.
Molti cronisti dell’epoca confermano che Masaniello fosse la mente della rivolta e avesse premeditato tutto anche in risposta all’arresto per contrabbando della moglie. Già a giugno si erano verificati episodi violenti di cui Masaniello si era proclamato esecutore. Ma era solo un preludio, nella Napoli del 600 i primi giorni di luglio si festeggiava la Madonna del Carmine, il luogo dei festeggiamenti era la piazza del Mercato nel quale sarebbe convogliata tutta la popolazione, risultava il momento perfetto per una rivolta.
Domenica 7 luglio 1647 i venditori di frutta in piazza del Mercato rifiutano di pagare a gabella provocando una serie di schiamazzi, urla e vociare che si protrae fino al pomeriggio e non si placa nemmeno con l’intervento di un funzionario, un certo Don Naclerio, l’Eletto del popolo. L’intervento dell’Eletto del Popolo ed una serie di atti violenti che culminano con uno schiaffo al cognato di Masaniello sanciscono l’inizio della rivolta sul finire della sera. La folla si addensa intorno al luogo dell’accaduto e Masaniello che si fa spazio tra la folla urlante, subito viene individuato come capo e guida. Le grida e gli schiamazzi pian piano di uniscono e dalla folla sempre crescente si alza un solo grido: “Viva Dio e il Re di Spagna, Fora le gabelle!”.[3]
Il corteo si dirige verso al casa del viceré e non incontra ostacoli, una volta arrivati lo stesso viceré, impaurito dall’impeto della folla, si dimostra disponibile ad abbassare le gabelle per tentare di placare la folla. Ma la folla non rivendicava solo uno sgravio fiscale, tra le tante rivendicazioni c’era anche quella di una autonomia, nonostante le tante dimostrazioni di fedeltà alla corona. Vittorio Dini nel suo saggio sottolinea come la fedeltà alla corona spagnola che verrà sciolinata durante la rivolta anche nelle sue fasi più acute era una fedeltà non all’istituzione o al singolo re ma ai valori che la monarchia spagnola incarnava[4].
Terminato il primo giorno di rivolta terminò in maniera pacifica ma la folla tornò alla carica il giorno seguente, l’8 luglio. Se il primo giorno avevano usato armi di fortuna per lo più sassi e bastoni, in questo lunedì di luglio, la folla decise di armarsi con armi più adatte, iniziò la fase vendicativa della rivolta. La folla prese d’assalto i gabellieri, i signori ricchi e i baroni che animavano le strade di Napoli. In questa giornata la rivolta si fa più acuta e cruenta, si liberano le prigioni e le rivendicazioni si fanno sempre più pressanti ma questo è anche il girono in cui iniziarono le varie trattative tra l’esercito rivoltoso e i signori. Il viceré inviò due signori affinché andassero a trattare con il popolo: Tiberio Carafa ed il principe di Satriano ma i rivoltosi chiedono anche il riconoscimento di tutti quei privilegi che Carlo V aveva riconosciuto al popolo napoletano. Il viceré ed i nobili si mostrano stranamente accondiscendenti, tanto che tra la folla si diffonde la notizia che le concessioni siano fasulle. Questa diceria alimenta ulteriormente il malumore che sfocia in momenti concitati durante i quali viene preso come prigioniero il duca di Maddaloni, nella notte però scapperà aiutato da cavalieri e guardie.
Masaniello, nel frattempo, viene acclamato e accolto come il liberatore del popolo di Napoli, il governo provvisorio che viene instaurato in questi primi giorni di luglio ha l’impronta di Masaniello e del suo consigliere Genoino ma sembra procedere pacificamente. Il 10 luglio però le azioni violente riprendono, Don Giuseppe Carafa, fratello del duca di Maddaloni, fatto prigioniero nei giorni precedenti come risposta ad un attentato ordito ai danni di Masaniello e del popolo, fu decapitato in piazza Mercato. L’accaduto fece slittare ogni tentativo di mediazione tra popolo e nobili che ormai erano impauriti di scendere a trattative con Masaniello; il viceré non volle demordere e affidò il compito all’Arcivescovo Filomarino che aveva dimostrato di avere un ascendente sul pubblico e su masaniello[5]. Tra l’11 ed il 13 luglio Masaniello continua ad essere Capo del Popolo, la situazione in città sembra calma. Il 13 Luglio, il giorno fissato per la cerimonia della firma del trattato Masaniello si reca in Chiesa, i Capitoli vengono firmati: il trattato sancisce l’eliminazione delle gabelle, la liberalizzazione di commerciare beni alimentari ed il diritto dei cittadini di prendere le armi e ribellarsi in caso queste norme non vengano attese. La situazione di emergenza sembra rientrata nonostante la folla noti in Masaniello segni di pazzia.
Ad interrompere la situazione di relativa calma scaturita dopo la firma dei Capitoli è l’uccisione di Masaniello pochi giorni dopo. L’atto è stato sicuramente pianificato dal viceré e dai suoi scagnozzi; il 16 luglio ricorreva la festa della Madonna del Carmine, Masaniello viene ucciso in chiesa da quattro scagnozzi del viceré con il benestare dell’Arcivescovo e forse del suo amico e consigliere Genoino. La folla delirante e piangente per la perdita di quello che definiranno “il loro redentore[6]” si sente persa e abbandonata e si rifugia nella religione. Il corpo di Masaniello viene recuperato, gli viene offerta una degna sepoltura tra la riconoscenza della gente che lo vorrebbe santo.
Dopo la morte di Masaniello i moti popolari di rivolta continuano, riprenderanno nell’agosto dello stesso anno ma questa è un’altra storia…

Masaniello, come nasce un mito
Di Masaniello non si hanno molte notizie, il suo nome di battesimo era Tommaso Aniello d’Amalfi, nacque a Napoli al contrario di quanto si possa pensare nel 1620. Viene descritto come un giovane pieno di inventiva, scaltro e vivace, durante la sua breve vita venne a contatto con numerose personalità anche del ceto civile, entrò ed uscì più volte di prigione ma era un uomo molto devoto[7].
Masaniello è diventato fin da subito un simbolo, le esequie che il popolo gli riserva ne determinano l’apoteosi e segnano la nascita di un mito. La sua determinazione gli fa guadagnare rispetto agli occhi del popolo, le sue rivendicazioni faranno in modo che verrà proclamato Capo del Popolo e verrà visto come il liberatore di Napoli e la sua fama non si è spenta neanche dopo la sua morte.
Si sviluppa quindi una vastissima letteratura non solo da parte dei contemporanei ma anche successivamente, Masaniello viene sempre associato ai moti di libertà, diventa quindi mito e simbolo per una società. Viene raffigurato in dipinti, è protagonista di commedie e libretti, poesie e pamphlet che favoriscono la perpetrazione di questo mito urbano. Questa diffusione del mito e della figura di Masaniello avviene su de filoni ben distinti quello visivo e quello letterale, tra alti e bassi, elevazioni al rango divino o ad eroe, queste letture della storia spesso portano ad una strumentalizzazione del personaggio e dei valori da esso incarnati[8]. La cosa certa è che Masaniello ancora oggi è simbolo dei popoli in rivolta, sinonimo di napoletanità.

Note
[1] Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 11
[2] Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito” pag 14, Newton Compton Editori, 1995
[3] Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 22
[4]Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 23
[5]Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 28 e seg
[6]Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 40
[7]Vittorio Dini, “Masaniello, l’eroe e il mito”, Newton Compton Editori, 1995, pag 17
[8] Maria di Maro, “Masaniello, nascita ed evoluzione di un mito moderno” in “La letteratura italiana e le arti”, XX congresso dell’ADI , Napoli, 2016