È Plinio il Vecchio ad accennare brevemente alla conquista romana del territorio piceno, limitandosi solo al numero di piceni che furono sottomessi al dominio romano, numero che in qualche modo si riferisce alla possibile densità demografica del luogo (P. Poccetti).
“[…] CCCLX Picentium in fidem p. R. venere.”
“[…] furono trecento sessantamila i Picenti che si arresero al popolo romano.”
(Plinio – Naturalis Historia – III, 110 – Traduzione di L. Antonelli).
Tuttavia, la reale dinamica dei fatti doveva essere riportata nel XV libro di Tito Livio, oggi purtroppo perduto. Ne abbiamo però fortunatamente notizia dall’opera di Floro, che riassume passi dell’opera liviana e da altre fonti che si soffermano sulla descrizione della sorte toccata alla popolazione picena a seguito della conquista.
Un’alleanza effimera
L’alleanza tra le due parti, stipulata nel 299 a.C., non durò molto a lungo.
Le vittorie romane sulle popolazioni italiche e sulle genti galliche e la conseguente conquista delle loro terre, fecero si inevitabilmente che il territorio piceno rimanesse isolato, ovvero l’unico popolo non ancora conquistato e ormai completamente circondato dai Romani.
La reazione dei Piceni, intimoriti da questa situazione e dalla crescente espansione romana, che cominciava a dedurre colonie nel territorio limitrofo come Senigallia e Rimini, fu quella di rompere l’alleanza, tentando una rivolta.
“Omnis mox Italia pacem habuit- quid enim post Tarenton auderent? – nisi quod ultro persequi socios hostium placuit. Domiti ergo Picentes et caput gentis Asculum Sempronio duce, qui tremente inter proelium campo Tellurem deam promissa aede placavit.”
“Tutta l’Italia raggiunse presto la pace (cos’altro potevano infatti osare dopo Taranto?): si decise soltanto di perseguire gli alleati dei nemici. Furono dunque sottomessi i Picenti e la loro capitale, Ascoli: le operazioni furono condotte da Sempronio, il quale, poiché si era verificato un terremoto durante la battaglia, placò la Terra con la promessa di un tempio.”
(Floro – Sommario della Storia Liviana – I, 14 – Traduzione di L. Antonelli)
Come riportato nel testo di Floro, fu probabilmente la città di Ascoli che si mise al comando della rivolta. La città più importante che, stando a quanto riportato da Festo, era stata la meta finale del Ver Sacrum.
“Picena Regio, in qua est Asculum, dicta, quod Sabini cum Asculum proficiscerentur, in vexillo eorum picus consederat.”
“La regione picena, nella quale si trova Ascoli, viene chiamata così perché, quando i Sabini partirono alla volta di Ascoli, un picchio si posò sul loro vessillo.”
(Festo/Paolo Diacono – Picena regio – p. 235 Lindsay – Traduzione di L. Antonelli)
La rivolta fu sedata con due campagne militari condotte nel 269 a.C. e nel 268 a.C. con la vittoria dei romani sotto la guida dei consoli P. Sempronio Sofo e Ap. Claudio Rosso.
L’epilogo della rivolta
Dopo la conquista romana, il trattamento che fu riservato alla popolazione picena ebbe due risvolti.
Parte della popolazione venne deportata, come leggiamo dalle fonti, nel golfo di Salerno, ai confini tra Campania e Lucania. In particolare riportiamo un passo significativo di Strabone:
“Μετὰ δὲ τὴν Καμπανίαν καὶ τὴν Σαυνῖτιν μέχρι Φρεντανῶν ἐπὶ μὲν τῇ Τυρρηνικῇ θαλάττῃ τὸ τῶν Πικέντων ἔθνος οἰκεῖ, μικρὸν ἀπόσπασμα τῶν ἐν τῷ Ἀδρίᾳ Πικεντίνων, ὑπὸ Ῥωμαίων μετῳκισμένον εἰσ τὸν Ποσειδωνιάτην κόλπον, ὃσ νῦν Παιστανὸσ καλεῖται, καὶ ἡ πόλις ἡ Ποσειδωνία Παιστός, ἐν μέσῳ τῷ κόλπῳ κειμένη.”
“Sul mare Tirreno, dopo la Campania e il Sannio (esteso fino ai Frentani), è stanziato il popolo dei Picenti, un piccolo gruppo dei Picentini che abitano sull’Adriatico, traferito dai Romani sul golfo di Posidonia che ora si chiama Pestano, così come la città di Posidonia, al centro del golfo stesso, si chiama Paestum.”
(Strabone – Geografia – V, 4-13 – Traduzione di L. Antonelli)
Per i Piceni rimasti dopo la conquista romana fu invece avviato il processo di romanizzazione: inizialmente fu concessa la civitas sine suffragio, poi nel 241 a.C., la civitas optimo iure. Nei confronti dei centri di Ascoli e Ancona vi furono invece fin da subito condizioni particolari che prevedevano stretti rapporti di alleanza (condizione di civitas foederata).
A partire dal 232 a.C., il territorio piceno conquistato fu diviso e i lotti assegnati a singoli cittadini romani, come testimoniato da Cicerone.
“Dicitur etiam C. Flaminius, is qui tribunus plebis legem de agro Gallico et Piceno viritim dividundo tulerit, qui consul apud Tarsumennnun sit interfectus, ad populum valuisse dicendo.”
“Si dice che anche Caio Flaminio, il quale come tribuno della plebe presentò la proposta di legge sulla spartizione tra singoli cittadini romani dell’agro gallico e piceno, e che da console cadde al Trasimeno, sia stato un ottimo oratore nelle assemblee popolari.”
(Cicerone – Bruto – 57 – Traduzione di L. Antonelli)