Il rapimento di Persefone è sicuramente uno dei miti più noti sull’alternanza delle stagioni provenienti dalla tradizione mitologica greca. Ade, signore degli Inferi, invaghitosi di Persefone decide di rapirla per farne la sua sposa. Demetra, madre di Persefone e dea protettrice dei campi di grano, è furiosa per il rapimento tanto che il suo dolore rese sterile la Terra, condannando l’umanità all’estinzione. Zeus è costretto a intervenire: Persefone avrebbe passato con Ade sei mesi all’anno (Autunno, Inverno), mentre gli altri sei (Primavera, Estate) li avrebbe trascorsi assieme alla madre, permettendo così alla Terra di rinascere e rifiorire.
La Duplicità di Persefone
Ma proviamo ad approfondire la figura di Persefone (da phero e phonos, ovvero colei che porta la distruzione), entrata nella mitologia romana con il nome di Prosepina (la temibile). Esiodo nella Teogonia, parlando della discendenza di Zeus, ci dice che ella era figlia del Crònide e di Demetra, Cerere per i romani, dea della fertilità e della fecondità, protettrice dell’agricoltura, specialmente dei cereali, amica della pace e legislatrice:
“E poi (Zeus) nel letto entrò dell’alma Demètra, che vita
diede alla Diva dal candido braccio, Persèfone.”
(Esiodo, Teogonia, 912 – 914)
Persefone prima del matrimonio con Ade era conosciuta con il nome di Core o Kore, (lett. giovinetta), giovane e bellissima dea protettrice dell’agricoltura, in particolare del grano verde raccolto prima della completa maturazione, strettamente connessa alla madre Demetra. Persefone invece rappresenta la dea, e la donna, regina degli inferi, colei che guida le anime dei morti. Persefone/Core è dunque sia figlia e giovinetta, legata alla figura di Demetra e a simboli di fertilità e fecondità terrestre, sia donna e regina “temibile”, la principale guida all’interno del regno di Ade.

Il rapimento di Persefone
“[…] si aprì la terra dalle ampie strade nella pianura di Nisa, e ne sorse il dio che molti uomini accoglie, il figlio di Crono, che ha molti nomi, con i cavalli immortali. E afferrata la dea, sul suo carro d’oro, riluttante, in lacrime, la trascinava via; ed ella gettava alte grida invocando il padre Cronide, eccelso e possente. Ma nessuno degli immortali o degli uomini mortali udì la sua voce e nemmeno gli olivi dagli splendidi frutti. Solo la figlia di Perse, che ha candida mente, Ecate dal diadema luminoso, nel suo antro, e il divino Elio, splendido figlio di Iperione, udivano la fanciulla che invocava il padre Cronide; ma questi, in disparte lontano dagli dei sedeva nel tempio dalle molte preghiere, ricevendo belle offerte dagli uomini mortali.”
(Omero – Inno a Demetra)
Nell’Inno a Demetra attribuito a Omero si racconta come la giovane Core, mentre raccoglieva i fiori insieme alle figli di Oceano, fu colpita da uno “spettacolo prodigioso”: dalle radici di un bellissimo Narciso erano sbocciati ben cento fiori. Ma come narrato nell’inno questo fiore fu “insidia per la fanciulla dal roseo volto”: il fiore infatti, fu generato dalla Terra per volere di Zeus, che a sua volta voleva compiacere il dio “che molti uomini accoglie”: Ade.
Secondo la versione più diffusa del mito, Ade si innamorò perdutamente della bellissima Core, così si recò da Zeus per chiedergli il permesso di sposarla. Zeus temeva di offendere il fratello con un rifiuto, ma sapeva d’altro canto che anche Demetra non avrebbe acconsentito. Decise quindi di rispondere diplomaticamente, senza negare né acconsentire; Ade dunque si sentì autorizzato a rapire la fanciulla.

Il luogo del rapimento
“Ade si sentì allora autorizzato a rapire la fanciulla mentre essa raccoglieva fiori in un prato presso Enna in Sicilia o a Colono in Attica o a Ermione o in qualche punto dell’isola di Creta o presso Pisa o presso Lerna o presso Feneo in Arcadia o presso Nisa in Beozia, insomma in una delle molte regioni che Demetra percorse nella sua affannosa ricerca.”
(Robert Graves – I Miti Greci, Dèi ed Eroi in Omero – Vol.I, pag 78)
Non c’è unanimità nelle fonti sul luogo in cui avvenne il rapimento di Core. Nell’Inno a Demetra viene indicata la Pianura di Nisa (Nysion pedìon), leggendario luogo geografico nominato da diversi autori antichi e che il mitologo Robert Graves colloca in Beozia, per il suo legame con Dioniso. Tra le regioni menzionate troviamo più volte la Sicilia. Diodoro Siculo nella Biblioteca Storica nomina le praterie presso il Lago di Pergusa, vicino la città di Enna, “ l’umbilico della Sicilia”, perché si supponeva che fosse situato nel mezzo dell’isola:
“Il qual ratto dicesi seguito ne’ prati vicini ad Enna, luogo non lontano dalla città, ridente per le viole, ed altre specie di fiori bellissimi, e degno ad ogni modo d’essere ammirato […] È quel prato sopra un alto dosso, piano, ed irrigato; ed all’intorno è circondato di profondissimi precipizi: e si suppone situato nel mezzo di tutta l’isola; e perciò da alcuni è detto l’umbilico della Sicilia. ”
(Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, Libro V, 2-3)
Claudiano, l’ultimo grande poeta del paganesimo morente, dedicò al Ratto di Proserpina un intero poema in esametri, in tre libri, che rimase tuttavia interrotto, forse per la morte dell’autore. Anch’esso nomina la “bellissima pianura posta a mezza costa dal monte Enna” e “Pegusa, dal lago ceruleo” (Claudio Claudiano, De raptu Proserpinae, Libro I)
Nell’opera Le Verrine, Cicerone ci offre, parlando a proposito del furto sacrilego della statua di Cerere Ennense, un’interessante testimonianza sulla grande devozione dei Siciliani per la dea, e la straordinaria venerazione di cui erano oggetto i suoi templi:
“È tradizione antica, signori giudici, che si fonda su antichissime testimonianze dei Greci, che l’isola di Sicilia sia tutta quanta sacra a Cerere e Libera. […] Essi ritengono che le due dee siano nate in questi luoghi, che i cereali siano stati trovati per la prima volta nella loro terra e che Libera, che essi chiamano anche Proserpina, sia stata rapita dal bosco di Enna: il quale luogo, per il fatto che si trova nel centro dell’isola, è chiamato “ombelico della Sicilia.”
(Marco Tullio Cicerone – Verrinae)
La somiglianza dell’excursus ciceroniano con il racconto di Diodoro è evidente. Questo significa che i due scrittori hanno attinto ad una fonte comune, da individuare, con ogni probabilità, nello storico siceliota Timeo. Va detto che la Sicilia, considerata una delle tante località possibili del rapimento, aveva già fatto proprio questo mito nel corso dei secoli, ed era opinione diffusa che fosse proprio essa la terra del ratto. Il culto di Demetra e della figlia Core si diffuse molto presto in Sicilia, probabilmente sin dall’arrivo dei primi coloni greci, i quali, trovandosi di fronte alla fertilità e alla grandezza dell’isola, si convinsero di essere giunti veramente in una terra prediletta dagli dei, anche in considerazione della dolcezza del clima e della bellezza del paesaggio.

Strettamente legata a Demetra e Persefone è la città attica di Eleusi. Pausania scrive nell’opera Periegesi della Grecia che Aidoneo (Ade) rapì Core nei pressi di Eleusi (Vol.I, 38, 5), città nominata anche nell’Inno a Demetra di Omero:
“E cruccio più mordace, più fiero struggeva la Dea; e irata contro il figlio di Crono signore dei nembi, lungi vagò dal consesso dei Numi e dai picchi d’Olimpo, per le città degli umani, pei fertili campi, l’aspetto suo nascondendo a lungo; né alcuno conoscerla seppe che la vedesse allora, né uomo, né donna elegante, sinché giunta alla casa non fu dell’accorto Celèo, ch’era in quel tempo sovrano d’Elèusi fragrante d’incensi.”
(Omero, Inno a Demetra, 74 -112)
L’Inno a Demetra, di fatto la fonte più antica sul mito, è sicuramente di particolare importanza per la spiegazione e la comprensione dei Misteri Eleusini, riti religiosi misterici che si tenevano presso il Santuario di Demetra ad Eleusi. Si racconta che Demetra, durante la disperata ricerca dell’amata figliola, giunse in incognito ad Eleusi, dove Re Celeo e sua moglie Metanira la accolsero ospitalmente.
Il figlio del re Trittolemo, che custodiva le bestie del padre, riconobbe Demetra, e gli fornì le notizie sulla figlia che tanto sperava: dieci giorni prima i suoi fratelli Eumolpo ed Eubuleo stavano pascolando le loro bestie quando all’improvviso la terra si squarciò, inghiottendo i maiali di Eubuleo. All’improvviso apparve un carro trainato da cavalli neri che sparì nello squarcio. Il volto del guidatore del carro era invisibile, ma egli stringeva saldamente una fanciulla che lanciava grida disperate. Come ringraziamento prima di lasciare Eleusi, Demetra iniziò ai misteri Trittolemo, Eumolpo, Celeo e Diocle, re di Fere, che tanto l’aveva aiutata nelle ricerche:
“Ed ai sovrani datori di leggi, pria ch’ella partisse, a Díocle, di cavalli maestro, a Trittòlemo, a Eumòlpo, al condottiere di genti gagliardo Celèo, fu maestra dei venerandi riti, a tutti insegnò celebrare le pure orge: concesso non è trasgredirle o spiarle, né farne ciancia: la voce rattenga l’ossequio a le Dive.”
(Omero – Inno a Demetra)
