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Il mito di Marsia fra fonti e iconografia

Il mito narra che Atena, per riprodurre il lamento delle Gorgoni alla vista della testa decapitata da Perseo della sorella Medusa, abbia inventato l’Aulos, cioè il flauto a doppia ancia. Venne in seguito suonato anche per altre occasioni, special modo durante i banchetti presieduti da Zeus. La musica era molto piacevole ma una cosa turbò la dea: le risate che qualcosa scatenò in Era e ad Afrodite. Irritata la dea scappò e si rimise a suonare vicino ad una polla d’acqua per capire il problema, finché si accorse che ad avare problemi non era lo strumento, ma la sua faccia. Infatti, suonandolo la sua faccia diventava gonfia e paonazza, causando l’ilarità degli invitati. Adirata, Atena gettò via lo strumento musicale maledicendo chiunque l’avesse raccolto. Lo trovò lo sfortunato Marsia, un satiro di origine frigia che lo iniziò a suonare talmente tanto che ne divenne abilissimo.

Talmente sicuro della sua bravura, accompagnato da una gran fama, il satiro decise di sfidare in una gara il dio della musica Apollo. Il dio accettò e chiamò le Muse a giudicare la contesa. La giuria rimase stupefatta dalla bravura di Marsia, Apollo, invece, preoccupato di una sua imminente sconfitta, iniziò a suonare la lira e a cantare contemporaneamente, invitando il satiro a fare lo stesso. A questo punto la gara era impari: come poteva Marsia suonare un flauto e cantare contemporaneamente? Come punizione per aver osato sfidare un dio e aver perso, Apollo iniziò a torturare il satiro legandolo ad un albero e a scorticarlo vivo. Gli amici, le ninfe e i fauni accorsero per piangere un’ultima volta il compagno, e dalle loro lacrime nacque un fiume che prese il nome del malcapitato.

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Supplizio di Marsia – Tiziano Vecellio – Museo Arcivescovile (Kroměříž) ©

Il mito nelle fonti

Il mito nacque in Grecia, forse composto da diversi miti di origine orientale come spesso accade, e ne troviamo testimonianza già in Erodoto (440-429 a.C., Le Storie, VII, 26, 3), oppure citato quando si parla della Frigia, odierna regione dell’entroterra turco. Lo si trova anche nella Repubblica di Platone (399 d-e) del 390 a.C. circa. Si ha una naturale versione ideologizzata molto interessata in Aristotele:

“Da queste considerazioni resta chiaro anche quali strumenti si devono usare. Non bisogna introdurre nell’educazione gli auli nè altro strumento professionale, come la cetra o un altro di tal sorta, bensì quelli che ne faranno ascoltatori intelligenti o nel campo dell’istruzione musicale o in altro. Inoltre l’aulo non serve a esprimere le qualità morali dell’uomo ma è piuttosto orgiastico sicchè bisogna usarlo in quelle determinate occasioni in cui lo spettacolo mira più alla catarsi che all’istruzione. Aggiungiamo pure che all’uso dell’aulo come elemento di educazione si oppone il fatto che il suonarlo impedisce di servirsi della parola. Perciò a ragione gli antichi ne proibirono l’uso ai giovani e ai liberi, anche se prima l’avevano usato. Diventati, infatti, a causa dell’agiatezza, più proclivi all’ozio e di sentimenti più elevati di fronte alla vera superiorità, ed essendo inoltre orgogliosi per le loro gesta, <sia> prima, sia dopo le guerre persiane, affrontarono ogni campo del sapere senza discernimento ma seguendo solo le loro ricerche. Per questo introdussero anche l’auletica nei loro studi: (…). Ma più tardi fu respinta quando se ne ebbe esperienza e si fu in grado di giudicare meglio quel che promuove la virtù e quel non la promuove. Lo stesso capitò a molti degli antichi strumenti, per esempio alle pettidi (…) e gli altri tutti che richiedono abilità di mano”.

“Ed è ragionevole la favola che gli antichi composero sull’aulo: dicono che Atena, inventato l’aulo, lo gettò via. Certo non sta male dire che la dea lo fece adirata per la deformazione delle guance: nondimeno è più naturale che ciò avvenne perchè lo studio dell’auletica non ha nessun effetto sull’intelligenza e ad Atena attribuiamo la scienza e l’arte. Noi respingiamo, dunque un’educazione professionale e per quanto riguarda gli strumenti e per quanto riguarda l’esecuzione (…).”
(Aristotele, Opere, IX, Politica – a cura di Laurenti R., Laterza, Bari 2004, pp. 275-277)

Dalla Grecia passò al mondo romano grazie a Livio e ad Ovidio, che nelle sue famose Metamorfosi racconta solo l’atto finale del dramma, cioè lo scorticamento:

“Quando quel tale ebbe terminato di raccontare la fine di quei Lici, un altro si sovvenne del Satiro che suonando il flauto (il flauto inventato dalla dea del Tritone) fu vinto in una gara dal figlio di Latona e punito. “Perché mi sfili dalla mia persona? – gridava il Satiro – Ahi, mi pento! Ahi, il flauto non valeva tanto!” Urlava e la pelle gli veniva strappata da tutto il corpo, e non era che un’unica piaga: il sangue stilla dappertutto, i muscoli restano allo scoperto, le vene pulsanti brillano senza più un filo d’epidermide; gli potresti contare i visceri che palpitano e le fibre translucide sul petto. I Fauni campagnoli, divinità dei boschi, e i Satiri suoi fratelli, e Olimpo, a lui caro anche in quel momento, lo piansero, assieme a chiunque su quei monti faceva pascolare greggi lanute e mandrie cornute. Il suolo fertile s’inzuppò delle lacrime che cadevano, e inzuppatosi le raccolse e le assorbì fin nel profondo delle proprie vene; poi le convertì in un corso d’acqua, e riversò quest’acqua all’aria aperta. Così quel fiume che da lì corre tra rive in declivio verso il mare ondoso, si chiama Marsia, il più limpido fiume della Frigia”.
( P. Ovidio Nasone, Metamorfosi – a cura di Bernardini Marzolla P., Einaudi, Torino 1994, pp. 228-229)
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Apollo e Marsia – Maturino da Firenze – Villa Farnesina (Roma) ©

L’iconografia del mito

A seconda delle versioni i personaggi delle raffigurazioni sono naturalmente Marsia, Apollo, Atena, Minerva, Giunone e gli amici di Marsia, o satiri o fauni e ninfee. Altre volte possono esserci lo scita che aiuta a scuoiare il malcapitato affilando la lama all’arrotino. Tutti sono facilmente riconoscibili dai classici attributi, oltre al coltello, il cappellino frigio dello scita può aiutare l’identificazione. A volte ci può essere il re Mida, chiamato per l’occasione come giudice e decidere il vincitore della gara. L’aver decretato vincitore il satiro, viene punito da Apollo con delle lunghe orecchie d’asino sulla testa.

Esemplari come il cratere a campana posseduto dal Museo Archeologico Nazionale di Atene è un suntuoso esempio di un mito trasportato su ceramica. Si riconosce Atena dall’Egida e dall’elmo che ascolta rapita Marsia, che appoggiato all’albero suona il flauto mentre una piccola Nike in volo lo sta per incoronare vincitore. Apollo, da dietro, osserva la scena vicino ad Artemide dotata di corona e torcia.

La messa in scena di quest’ultima non risulta derivante da un modello ufficiale, quanto più dall’ ottemperare qualche richiesta del committente in base alla funzione del vaso o ai propri gusti. È altresì vero trovare a volte Marsia mentre suona la lira; la critica ha cercato di giustificare questa particolare versione senza però giungere a una soluzione univoca e definitiva. Alcuni ipotizzano che ci fosse in circolazione un adattamento a noi non pervenuto, in cui Marsia la suona per dimostrare ulteriormente la sua abilità musicale. Un altro pensiero è di chi sostiene che questa iconografia faccia riferimento a una completa versione rivisitata e ingentilita del mito di Marsia, in cui il sileno non viene punito con lo scorticamento, ma, sconfitto da Apollo, preferisce suonare la lira al flauto.

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Esempio di cratere a campana decorato a figure rosse – British Museum (Londra) ©

Il supplizio di Marsia

Sono pervenute a noi quasi settanta copie del celeberrimo Marsia appeso all’albero in attesa del supplizio. Nell’esemplare posseduto ai Musei Capitolini è evidente la derivazione da un modello probabilmente ellenistico. La critica per prima cosa notò che giravano copie realizzate con marmi diversi, e conseguentemente con dettagli diversi: quelle in marmo rossiccio era più realistico e più dettagliato, al contrario quello bianco più semplice e longilineo. Con il passare del tempo gli studiosi e le studiose smisero di dividere le tipologia per colore, ma optarono per figura simmetrica e asimmetrica. Inoltre, si è ipotizzato che la statua facesse parte di un complesso composta da: l’arrotino che affilava la lama, Apollo che aspettava il momento di iniziare a scuoiare il satiro.

Tutto questo è ipotizzabile perché nei sarcofagi, piuttosto che nell’arte scultorea di piccole dimensioni che traevano spunto dal gruppo più grande di Pergamo. Al momento della scoperta questo esemplare creò grande scalpore: era di marmo rosso – pochi esemplari ne erano stati trovati – ed era stato realizzato con grande cura. Marsia è appeso all’albero e con un movimento asimmetrico sulla destra cerca di divincolarsi. Una smorfia di dolore rende il tutto ancor più realistico ed espressionistico.

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Dettaglio del Marsia capitolino – Musei Capitolini (Roma) ©

Bibliografia

📖 E, Wind., Lo scorticamento di Marsia, in Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, Milano 1971, pp. 209-215
📖 A. Weis., The hanging Marsyas: the origin and history, University Microfilm International, Ann Arbor 1981

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a cura di

Simone Bonaccorsi

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