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L’istituzionalizzazione del cerimoniale liturgico

Nel 313 d.C. assistiamo ad una svolta decisiva nella politica imperiale con la promulgazione dell’Editto di Milano (noto anche come Editto di Costantino o Editto di Tolleranza), accordo sottoscritto dai due Augusti, Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente, che legittimava il Cristianesimo al pari delle altre religioni professate nell’Impero Romano.

Libertà di culto per la Chiesa cristiana dunque, a cui venivano restituiti tutti i beni e gli edifici di culto sottratti durante Diocleziano (fine III inizio IV secolo). Dopo circa trecento anni di discriminazioni e sanguinose persecuzioni iniziava un periodo di “tolleranza” verso il Cristianesimo, che raggiunse il suo apice fra il 380 e il 392, quando l’imperatore Teodosio I dichiarerà il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero (e unica vera fede).

A partire dal IV secolo furono dunque poste le basi per l’affermazione ufficiale della Chiesa cristiana all’interno della vita politica e sociale dell’impero, tutto ciò accompagnato da un processo di istituzionalizzazione del cerimoniale liturgico, fino allora gestito dalla singole comunità in modo autonomo e creativo.

La musica, fin dalle origini, era parte integrante del rito: come il sacerdote si rivestiva dei paramenti sacri per poter svolgere la sua funzione di tramite tra l’uomo e il divino, così la musica innalzava il semplice linguaggio umano a Parola di Dio, avvolgendo la proclamazione del testo liturgico con il canto. Caso particolare erano i Salmi, il cui testo veniva intonato su un’unica nota.

La prassi più antica prevedeva l’esecuzione di tutto il salmo, senza ripetizioni, da parte di un solista (salmodia diretta). L’antifona, breve versetto che introduce e conclude il canto di un salmo, in origine veniva spesso intercalata dall’assemblea dei fedeli tra un verso e l’altro del salmo cantato dal solista (salmodia responsoriale).

Se invece l’intera assemblea dei fedeli veniva divisa in due cori più piccoli che cantavano alternativamente i versetti del salmo, questa pratica prendeva il nome di salmodia antifonica (dal greco anti-fonè, “avvicendarsi nel cantare”).

Una tipologia di repertorio indipendente da uno stretto rapporto con il testo era quello degli Inni, composizioni poetiche di lode a Dio cantante fin dagli albori del Cristianesimo. L’innodia in latino, dalla forma strofica con versi regolarmente ritmati e testo facilmente comprensibile, conobbe una grandissima diffusione anche per volontà del vescovo di Milano Ambrogio (fine IV secolo). Poiché la musica della prima strofa andava ripetuta identica per tutte le altre, è facile capire come non potesse sussistere uno stretto legame tra parole e musica.

Dal IV secolo in poi l’immenso repertorio di tradizioni canore liturgiche delle varie province romane venne lentamente raccolto e riunito all’interno delle due Istituzioni ecclesiastiche ufficiali, senza abbandonare però i riti liturgici particolari delle varie regioni.

La Chiesa d’Occidente, di lingua latina, prevedeva:

  • rito vetero-romano, a Roma e in Italia centrale;
  • rito ambrosiano, a Milano e parte della Lombardia;
  • rito aquileiese, caratteristico di Aquileia;
  • rito gallicano, in Francia;
  • rito celtico, in Inghilterra, Irlanda e Bretagna;
  • rito ispanico, chiamato anche visigoto-mozarabico.

Le Chiese d’Oriente erano invece frammentate in una vasta pluralità di lingue e riti differenti (greco, armeno, siriaco, arabo, paleoslavo, georgiano).

Bibliografia

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a cura di

Niccolò Renzi

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