In epoca monarchica e repubblicana le donne romane erano sottoposte a costumi più severi rispetto all’età imperiale, come se si volesse dimostrare la pudicizia e la serietà che le doveva caratterizzare. I capelli venivano divisi semplicemente al centro della testa con una scriminatura e poi venivano legati dietro la nuca oppure intrecciati raccogliendoli in un cercine sulla fronte.
Le giovani romane dovevano tenere i capelli raccolti in massa con una coda di cavallo, legata semplicemente con un nastro, senza scriminatura né centrale né laterale. Questa era l’acconciatura delle donne nubili: solo dopo aver contratto matrimonio potevano difatti agghindare i capelli in modo più complesso. Nel giorno delle nozze le fanciulle dividevano i capelli in sei parti, li legavano con dei nastri e li raccoglievano in una crocchia a simbolo della loro verginità.
Le donne sposate erano obbligate a coprire la testa con un velo o con un copricapo (rica) quando uscivano in strada. Le matrone, pur coprendo i capelli, non indossavano veri e propri cappelli, ma ponevano semplicemente sul capo un lembo del mantello. Lo storico Valerio Massimo testimonia come Caio Sulpicio Gallo avesse ripudiato sua moglie perché si era trattenuta fuori casa a capo scoperto; egli giustificò la terribile severità del suo comportamento, dicendo che “la legge stabiliva che solo i suoi occhi dovevano sapere quale fosse la bellezza della moglie e costei doveva ornarsi e farsi bella unicamente per mostrarsi ad essi; ogni altro sguardo attirato su di lei da mal riposta civetteria la rendeva necessariamente sospetta e colpevole”.
Solo nella fase imperiale si arrivò al progressivo abbandono di tali usanze e le donne poterono iniziare ad acconciare i capelli in modo più estroso. Si diffuse poi l’uso di raccoglierli in lunghe trecce disposte come torri sulla sommità, alte fino a 2-3 volte la testa.
La monumentalità di questa nuova acconciatura attirò l’attenzione di molti letterati dell’epoca tanto che Giovenale, poeta latino che fece della satira antifemminista un vero e proprio genere letterari, vi dedicò perfino dei versi in cui evidenzia il contrasto tra la bassa statura della donna e l’acconciatura più alta di lei che ostenta sulla testa. Si riferisce ad Andromaca, moglie di Ettore, nota per la sua altezza.
All’epoca dei Flavi, le donne acconciavano i capelli con riccioli fittissimi tramite un ferro riscaldato, detto calamistrum.
Durante gli Antonini si fece largo uso di capelli finti, usando posticci intrecciati raccolti sulla fronte come fossero diademi.
Dall’età Severiana si torna alla semplicità: una scriminatura centrale, con i capelli ondulati, raccolti morbidamente in uno chignon basso a coprire la nuca.