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Il ritocco pittorico

Il ritocco pittorico è la fase finale dell’intervento di restauro ed ha valore principalmente estetico più che conservativo. Nonostante ciò il ritocco è, insieme alla pulitura, una delle operazioni che cambiano maggiormente l’aspetto di un’opera e che ne modificano radicalmente la percezione da parte dell’osservatore.

Sebbene il ritocco sia fondamentale e spesso obbligatorio al fine di rendere un’opera d’arte godibile da parte dell’osservatore, non bisogna nemmeno eccedere nel suo utilizzo, in quanto si rischia di caricare l’opera d’arte originale di troppi elementi ricostruiti e creare quindi una sorta di falso, sia dal punto di vista estetico che da quello tecnico-artistico.

Per evitare queste situazioni si tende a usare diversi metodi, condensabili in tre approcci:

  • Ritocco ad abbassamento tonale: dipingere cioè le lacune di un colore leggermente sottotono rispetto all’intorno, in modo da ricostruire le figure e nascondere le perdite di pellicola pittorica, ma sempre mantenendo una differenza cromatica tra l’originale ed il ritocco. Un esempio di questa metodologia lo possiamo trovare nel Cenacolo vinciano, dove, nell’ultimo restauro si è deciso di cancellare ogni pellicola pittorica non originale e sostituirle con un ritocco ad abbassamento di tono che facesse leggere facilmente e al tempo stesso mostrare chiaramente quali fossero le parti ritoccate e quali le originali.
  • Ritoccare con colori pieni: che ricostruiscano cioè il colore originale e chiudano completamente le lacune. In questo caso per evitare di confondere il proprio intervento con le parti originali si usano varie tecniche, che consistono nel porre il colore sulla superficie tramite tratteggi, linee o puntini piuttosto che con pennellate. In questo modo il restauro si autodenuncia ad una osservazione ravvicinata ma si confonde perfettamente se si guarda l’opera nel suo insieme.

Oltre all’utilizzo di puntini o tratteggi si usano anche altri espedienti quali l’accostamento di colori puri. Questi vengono scelti in modo che l’occhio dell’osservatore, sempre posto ad una certa distanza, li fonda inconsciamente andando a ricreare il colore che avrebbe dovuto avere la pellicola pittorica originale (semplificando: volendo ritoccare di verde una lacuna si faranno dei tratteggi gialli e blu).

  • Ritocco mimetico: in questo caso la scelta dei colori e la loro modalità di stesura non ricerca l’autodenuncia bensì la mimesi. Sebbene sia teoricamente un approccio sbagliato è largamente usato per la velocità e facilità della procedura, va comunque detto che si tende a sfruttarlo solo in zone non di particolare pregio (campiture piatte, semplici decorazioni, etc).

Nei singoli casi gli approcci qui sintetizzati convivono e si fondono tra loro, ma di base c’è comunque il concetto per cui il restauratore è chiamato a reintegrare solo motivi ripetitivi o, nelle figure, linee chiaramente deducibili.

Se vi dovessero essere lacune in zone non esattamente ricostruibili, poniamo il caso di un volto, dove qualsiasi riproduzione sarebbe comunque la realizzazione di un falso, il ritocco non potrà essere eseguito seguendo le linee guida sopra citate, bensì con un ritocco a neutro, ossia la stesura di un colore piatto, sottotono e diverso da ciò che gli sta intorno. Una vera e propria lacuna ma di un colore poco disturbante.

Nella fotografia in copertina vi è l’esempio di uno dei volti leonini che decorano uno camminatoio nel Palazzo Ducale di Mantova. Le cadute di pellicola pittorica ne avevano chiaramente compromesso la lettura ma, grazie all’utilizzo della tecnica del rigatino, è stato possibile ricostruirne le forme e, al contempo, esplicitare quali zone fossero originali e quali un restauro.

Bibliografia

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a cura di

Giulio Claudio Barbiera

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