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Il mercato del lavoro a Pompei

Quando si parla di mestieri nell’Antichità occorre fare una prima distinzione degli individui, in base alla categoria sociale e alla condizione giuridica. Difatti, cittadini e forestieri, liberi e schiavi, non avevano accesso alle medesime occupazioni. In questo articolo, tenteremo di restituire un’analisi puntuale di quello che era il mercato del lavoro a Pompei.

Esistevano, già a quel tempo, i cosiddetti precari e stagionali : persone che vivevano di espedienti, ai margini della legge, senza un’occupazione fissa cambiavano lavoro a seconda delle opportunità che gli si paravano davanti. A testimonianza di ciò, nel vicolo del Lupanare, è possibile leggere su un muro di una casa il seguente graffito:

“Questo non è un posto per i fannulloni e tu, perditempo, vattene altrove.”

Collegandosi proprio alla presenza di numerosi graffiti, sui muri di tutta la città, iniziamo col parlare di un mestiere molto particolare, che godeva di buona considerazione: lo scriptor. Traducibile in letterista, egli era l’artigiano incaricato a scrivere sui muri, con tinte rosse o nero e con bella calligrafia, ogni genere di manifesto pubblico: spettacoli, feste, locazioni e slogan di propaganda elettorale. Solitamente gli scriptores erano coadiuvati da un team di collaboratori, ognuno con una mansione specifica:

  • Il dealbator, o imbianchino, era incaricato di stendere il velo di calce sulla parete da scrivere, per renderne uniforme lo sfondo;
  • Lo scalarius era colui che portava e sorreggeva la scala allo scriptor;
  • Il lanternarius, che illuminava il muro con una lanterna posta su di una lunga pertica.

Era uso che più scriptores si associassero, sotto una officina scriptoria. Ma c’era anche qualche eccezione: Emilio Celere, il più noto e attivo degli scriptores pompeiani, era solito lavorare da solo.

Accanto ai fannulloni, c’erano anche uomini di buona volontà che addirittura svolgevano un doppio lavoro. È il caso dei portieri delle case aristocratiche. Di questo troviamo numerosi riscontri archeologici: nella casa di Armandio furono rinvenuti nove pettini da cardatore, o ancora, a casa di Cesio Blando un graffito indicante la presenza di un calzolaio.

Esistevano già allora alcuni stabilimenti manifatturieri e laboratori di servizi, in cui veniva impiegata manodopera specializzata a seconda delle mansioni.

Nel pistrinum, o panificio, c’erano addetti separati per ciascuna delle seguenti attività:

  • La macinazione del grano e la gestione degli asini che muovevano le macine;
  • La lavorazione dell’impasto e la preparazione dei pani;
  • Gli addetti ai forni, che controllavano la cottura e alimentavano il fuoco;
  • Coloro che raccoglievano i pani pronti e li distribuivano ai vari banchi di vendita.

Non era diversa l’organizzazione del lavoro nella fullonica, lavanderia/tintoria:

  • Gli addetti al lavaggio pestavano i panni in vasche piene d’acqua mista a soda;
  • Alcuni trattavano i panni lavati con sostanze specifiche;
  • Altri sciacquavano e strizzavano i panni, per poi stenderli ad asciugare;
  • Si provvedeva poi a stirarli sotto la pressa e a zolfarli per renderne i colori brillanti.

Anche nella textrina, o laboratorio tessile, le mansioni erano divise in fasi:

  • La lana veniva filata e poi cardata;
  • La lana lavorata passava poi per il telaio, mansione prettamente femminile;
  • I tessuti ricavati venivano poi tinti e ripuliti.

Oltre a queste realtà complesse, esistevano anche gli artigiani individuali, che lavoravano in solitaria o al massimo con l’aiuto di un servo o di un giovane apprendista. Alcuni esempi sono il faber (fabbro), il sutor (ciabattino), il tonsor (barbiere) e il lignarius (falegname).

C’erano infine mestieri che necessitavano di essere svolti in gruppo, spesso organizzati in vere e proprie corporazioni: si tratta dei saccarii (facchini), dei vindemiatores (vignaioli), dei muliones (guidatori di asini) e dei cisiarii (carrettieri).

Il mestiere però più praticato era quello del commerciante, sia che esso avesse un proprio negozio sia che fosse ambulante. Fra questi, ricordiamo il pomarius (fruttivendolo), il veterarius (rigattiere) e il clibanarius (assimilabile all’odierno pizzaiolo). Fra i commercianti, non possiamo non prendere in considerazione il caupo, l’oste. Occupazione non sempre degna di considerazione perché spesso a contatto con la prostituzione, che si svolgeva nei postriboli o lupanares.

Bibliografia

📖 Pio Ciprotti, Conoscere Pompei, L'Erma Di Bretschneide, 1959
📖 Amedeo Maiuri, Pompei ed Ercolano: fra case e abitanti, Giunti, 1959
📖 La vita quotidiana a Pompei, Robert Etienne, Mondadori, 1992
📖 Pompei: vita pubblica di un'antica città, Romolo A. Staccioli, Newton Compton, 1979
📖 Pompei: la vita quotidiana, Romolo A. Staccioli, Dossier n.6, Istituto Geografico De Agostini, 1985

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a cura di

Martina Tapinassi

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