L’archeologia ci ha restituito numerosi reperti attinenti alla cosmesi: specchi, pettini e accessori per il make-up erano spesso radunati in piccoli beauty case.
Nei testi relativi al mito del matrimonio sacro, troviamo le fasi dei rituali di bellezza descritte con dovizia di particolari. Di seguito riportiamo un passaggio della dea Inanna, la quale si prepara alla visita del dio pastore Dumuzi:
“Ho fatto un bagno e mi sono lavata, […] mi sono strofinata con unguento […] ho truccato gli occhi con il kohl; ho reso lucenti sulla nuca i miei capelli scarmigliati”.
Il trucco (mēqītu, mēqû) è poco presente nelle fonti letterarie mentre trova numerosi riscontri nelle testimonianze archeologiche.
Alcune Arcidae e Cardiidae contenenti pigmenti cosmetici, sono state rinvenute nelle tombe reali di Ur: in quella della regina Pu-abi si trovarono conchiglie di grandi dimensioni, oltre a numerosi cofanetti per il trucco. La polvere cosmetica veniva frantumata per mezzo di pestelli e poi amalgamata con alcuni unguenti su delle tavolette.
Alcune analisi fisico-chimiche di alcuni campioni di pigmenti risalenti al III millennio hanno appurato che queste colorazioni erano di origine minerale, in particolare rame, ferro e manganese.
I colori più diffusi erano il verde e il nero, ma sono state trovate anche tracce di bianco, di blu, di giallo ocra e di rosso, anche nei toni del porpora.
Il trucco degli occhi riveste un’importanza particolare poiché doveva aumentare l’intensità dello sguardo: anche alle statue delle divinità era uso applicare del trucco. Il cosmetico per gli occhi per eccellenza era il guḫlu.
Va sottolineato il fatto che il trucco non fosse appannaggio esclusivo delle donne: nella città di Kish sono stati rinvenuti cosmetici anche nei corredi funebri di uomini.