Nella religione romana la conoscenza dell’umore e della volontà delle divinità era un prerequisito indispensabile alla vita dei cittadini, specialmente se essi agivano per conto dello stato, dato che le conseguenze delle scelte individuali si sarebbero riflesse su tutta la repubblica.
A tal fine vi era una scienza, la divinazione, che aveva il compito di osservare, registrare e interpretare i messaggi inviati dagli dei ai fedeli.
Gli auspicia, nello specifico, erano messaggi visivi che permettevano ai Romani di conoscere gli esiti delle proprie intenzioni in un futuro prossimo.
Non tutti gli auspicia erano richiesti direttamente, come gli auspicia impetrativa : alcuni infatti erano inviati dagli dei anche in modo apparentemente casuale, come gli auspicia oblativa.
In generale essi potevano essere di tre generi:
- Auspicia ex caelo: erano i messaggi celesti, ottenuti tramite l’osservazione dei fenomeni meteorologici o eventi eccezionali, come le eclissi.
- Auspicia ex avibus : erano i messaggi che si basavano o sull’interpretazione del volo degli alites (ovvero alcuni uccelli di cui si doveva osservare le modalità di volo e la direzione. Facevano parte di questa categoria i grandi volatili, come le aquile) o sul canto degli oscines (gufi, civette, galli)
- Auspicia ex quadrupedibus : comprendevano l’interpretazione del comportamento degli animali a quattro zampe, come i buoi o i cavalli.
Durante la guerra tuttavia vi era l’assoluta necessità di sondare il favore divino tramite l’utilizzo di auspici particolari, dato che l’osservazione del cielo e del volo libero degli uccelli non era sempre possibile. Questi particolari auspicia ex tripudiis prevedevano l’osservazione del comportamento di volatili domestici invece che selvatici.
La procedura era la seguente: si delimitava una porzione di spazio e si ponevano dei polli a cui poi si versava il mangime. Se gli animali mangiavano con una voracità tale da far finire alcune briciole di cibo oltre i limiti di spazio prefissati l’azione militare intrapresa era destinata al successo e, in caso contrario, al fallimento.
Le fonti romane (in primis Livio, Cicerone, Polibio e Svetonio) indicano vari casi in cui comandanti di origine plebea osarono opporsi al volere degli dei negando la veridicità dell’interpretazione degli augures, i quali erano sempre appartenenti alla classe patrizia.
Celebre fu il caso di Publio Claudio Pulcro che, esasperato dai continui auspici negativi, prese i polli sacri e li gettò con le gabbie in mare dalla sua nave, urlando “se non vogliono mangiare allora che bevano!” ordinando ai soldati di far avanzare la flotta contro le forze cartaginesi. La conseguente distruzione della flotta romana e la visione del mare gonfio di cadaveri furono per i Romani la punizione degli dei per l’affronto subito e per gli ammonimenti violati.