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L’Ercole Farnese e un restauro lungo due secoli

L’Ercole Farnese è una statua di marmo bianco alta 317cm e databile tra la il II e il III secolo d.C., l’opera rappresenta l’eroe greco a riposo dopo il superamento delle famose prove poste dagli dèi. Oltre alla possenza fisica della figura è facile notare infatti, alcuni particolari ricollegabili alle prove che Ercole dovette superare e che hanno sempre caratterizzato la sua iconografia: la clava, la pelle del Leone di Nemea e i tre pomi rubati alle Asperidi.

Ciò che è più difficile scorgere a prima vista è invece la composizione materica della scultura e la travagliata storia che sta dietro ad una specifica parte della scultura: i polpacci.

Sebbene ora appaiano perfettamente coerenti con il resto della scultura, al momento del rinvenimento i polpacci non solo non erano attaccati al corpo ma non erano nemmeno presenti nell’area di scavo. Nello specifico la scultura è stata ritrovata nell’area delle Terme di Caracalla intorno al 1546, ma la parte inferiore delle gambe è stata rinvenuta in un pozzo a 5km di distanza, 15 anni dopo circa.

Nel ‘500 era pratica comune ricostruire ad imitazione statue e architetture antiche, l’Ercole Farnese non fece eccezione; prima del ritrovamento delle gambe, infatti, ne fu commissionata la ricostruzione, lo scultore su cui ricadde tale onore ed onere fu ovviamente Michelangelo. Si dice però che una volta collocate le nuove gambe l’artista non le ritenne degne della scultura perciò le abbattè e lasciò il compito ad un’altro importante scultore dell’epoca, il suo allievo Guglielmo della Porta.

Le gambe ricostruite convinsero i contemporanei tanto da preferirle a quelle antiche, fu la stessa famiglia Farnese, proprietaria della scultura, a sostenere che le gambe di Guglielmo Porta provassero come le opere moderne fossero al pari delle antiche.

Bisognerà aspettare il 1787 per il reinserimento delle gambe originali. In questa data la scultura venne trasferita da Roma a Napoli e, in questa occasione, ne venne affidato il restauro allo scultore Carlo Albacini che ridò così veridicità storico-materica all’opera.

Bibliografia

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a cura di

Giulio Claudio Barbiera

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