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Conservazione e reinterpretazione: il gruppo del Laocoonte

Il famoso gruppo scultoreo rappresenta in un unico blocco marmoreo l’episodio del’Eneide sul sacerdote Laocoonte e dei suoi figli assaliti da serpenti marini.

L’opera è probabilmente stata scolpita tra il I e il II secolo a.C. ma gli storici sono abbastanza concordi nel dire che si tratti di una riproposizione marmorea di una precedente statua in bronzo del 150 a.C. circa. L’opera è stata riconosciuta come eccezionale fin dal momento del ritrovamento, avvenuto in una vigna nei pressi del Colosseo nel 1506, secondo le cronache dell’epoca, infatti, al ritrovamento assistè persino Michelangelo.

Sebbene il gruppo marmoreo fosse in ottimo stato di conservazione, al momento del rinvenimento mancavano alcune importanti parti, ossia le braccia destre di tutte e tre le figure, tutti arti protesi verso l’esterno del corpo alla ricerca di un movimento armonico e al contempo di pathos.

Per più di 200 anni il Gruppo rimase in Vaticano alternando fasi di abbandono (in cui venne momentaneamente persa anche la testa del serpente) a tre fasi di restauro in cui si riproposero secondo differenti visioni le braccia delle figure. In particolare, il braccio destro del Laocoonte fu quello che più diete campo di interpretazione agli artisti e scultori del passato. Sono state prodotte, infatti, più versioni con differenti effetti scenici. Sebbene dallo studio dell’anatomia circolasse l’idea che il braccio fosse, come lo vediamo oggi, ripiegato su sé stesso, furono prodotte versioni con l’arto più o meno teso. Quella che più convinse i contemporanei dal punto di vista estetico fu proprio quella con il braccio teso verso l’alto, la quale venne definita come più di impatto e drammatica. Stiamo parlando di un braccio probabilmente in terracotta prodotto dal Montorsoli, elogiato anche dal famoso storico e archeologo tedesco Winckelmann sebbene consapevole della posa erronea.

Durante il periodo napoleonico il gruppo scultoreo venne portato in Francia dai commissari napoleonici incaricati di trasferire in patria le opere di maggior valore storico-artistico secondo il Trattato di Tolentino del 1797, in quest’occasione gli vennero rimosse tutte le parti aggiunte. Per nostra fortuna comunque il Laocoonte ci rimase poco e, tornato in Italia, subisce un ulteriore restauro reintegrativo nel 1726 circa.

Infine, tra il 1957 e il 1959 vennero rimosse le ultime reintegrazioni, in linea con la moderna etica di restauro, e vi si applicò il cosiddetto braccio di Pollak; al quale dobbiamo il fortuito ritrovamente in una bottega di uno scalpellino romano del presunto braccio originale.

Bibliografia

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a cura di

Giulio Claudio Barbiera

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