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Cicerone, il “principe” del Foro

Marco Tullio Cicerone nacque ad Arpino (Lazio), nel 106 a.C., da un’agiata famiglia dell’ordine equestre. Fu autore di numerose opere retoriche e filosofiche, orazioni e dialoghi politici. Svolti gli studi a Roma, e fatto un viaggio in Grecia, ottenne il primo successo come avvocato con la Pro Sextio Roscio Amerino dell’80 a.C., un’orazione in cui difese il suo assistito dall’accusa di parricidio, ottenendone l’assoluzione.

Nel 75 a.C. divenne questore di Sicilia e si fece apprezzare per la sua onestà, qualità invece sconosciuta al successore Verre, che infatti i cittadini siciliani citarono in giudizio. Per l’occasione, Cicerone scrisse sette orazioni, le Verrine, raccogliendo numerose prove, denunciando i comportamenti ignobili di Verre ai danni di cose e persone, ed ottenendo un altro grande successo.

Nel delinearsi del primo triumvirato, si mostrò più vicino a Pompeo, che a Cesare, appoggiando la proposta di assegnare pieni poteri a Pompeo nella guerra contro Mitridate, re del Ponto (De imperio Cnei Pompei, 66 a.C.).  Nel 63 a.C. affrontò, con le quattro Catilinarie, il tentato colpo di stato di Catilina, il quale, vistosi alle strette, fuggì da Roma e rimase ucciso a Pistoia insieme ai suoi fedelissimi nel 62 a.C. Poiché però Cicerone aveva mandato a morte alcuni congiurati senza regolare processo e appello al popolo, su ordine del tribuno Clodio, venne esiliato a Durazzo, da cui scrisse lettere affettuose alla moglie Terenzia e ad altri parenti e amici.

Gli ultimi anni della sua vita furono segnati da eventi spiacevoli e luttuosi: nel 47 a.C. divorziò da Terenzia e nel 45 a.C. morì di parto l’amata figlia Tullia, ma significativo fu il suo cattivo rapporto con Marco Antonio, amico di Cesare. Con le Filippiche del 44-43 a.C. Cicerone firmò infatti la sua condanna a morte: Marco Antonio non perdonò le sue parole offensive, lo inserì nelle liste di proscrizione e inviò dei sicari ad ucciderlo: era il 43 a.C..

DE ORATORE
Opera retorica in tre libri, scritta da Cicerone tra il 55 e il 54 a.C. e con protagonisti principali due grandi oratori del passato: Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio. Il De oratore fa parte di una trilogia, insieme al Brutus e all’Orator, con cui Cicerone desidera creare una vera e propria manualistica retorica in lingua latina. Basandosi sui modelli greci antecedenti, come Platone e Aristotele, Cicerone sceglie la forma fittizia del dialogo e come ambientazione il locus amoenus della villa di campagna di Licinio Crasso a Tuscolo. La parte più importante dell’opera è la dissertazione sugli aspetti fondamentali dell’arte oratoria: inventio (ricerca degli argomenti utili per la stesura dell’orazione); dispositio (la disposizione degli argomenti stessi); elocutio (lo stile in cui gli argomenti verranno trattati); memoria (la capacità di ricordare, essenziale per un oratore); actio (la gestualità da utilizzare). Secondo Licinio Crasso, nelle cui parole possiamo intravedere la posizione di Cicerone, un buon oratore deve avere una formazione culturale universale, che includa anche la filosofia, mentre per Marco Antonio l’aspetto fondamentale è l’improvvisazione, unita ad una buona capacità persuasiva, che si ottiene solo con un’assidua attività pratica nel Foro.

PRO ARCHIA
La Pro Archia venne pronunciata da Cicerone qualche mese dopo le Catilinarie, nel 62 a.C., in difesa del poeta Aulo Licinio Archia, nato in Antiochia ed accusato di aver assunto in modo illecito la cittadinanza romana. Cicerone sentiva molto vicina a sé la causa, anche perché Archia era stato suo maestro di retorica. Probabilmente dietro tale accusa c’erano motivi politici e/o di diffidenza e forte ostilità contro gli stranieri, in particolare dopo la Lex Papia del 65, che aveva portato a molte espulsioni dal territorio romano. L’orazione è divenuta una delle più famose di Cicerone, perché l’occasione reale del processo diventa motivo di esaltazione della poesia e dell’arte in generale, sottolineandone il ruolo all’interno della società. L’avvocato spende parole cariche di affetto e riconoscimento per chi, come Archia, è ricco di doti e qualità, promuove la formazione culturale dell’uomo e con le sue opere dà lustro all’intero popolo romano. Tutta l’impalcatura dell’accusa è smontata punto dopo punto con precisione ed ironia: il poeta aveva legittimamente ottenuto la cittadinanza, grazie ai molti meriti personali, per intercessione del suo protettore Lucio Lucullo, durante un viaggio di ritorno dalla Sicilia. Perché non ne era rimasta traccia nei registri pubblici? Perché essi erano andati distrutti in un tragico incendio, accaduto durante la guerra sociale del 91 a.C. Inutile dire che Archia fu assolto e Cicerone poté aggiungere un altro successo processuale ai molti già ottenuti.

FILIPPICHE
Le Filippiche (o Antoniane) furono le orazioni pronunciate da Cicerone in Senato contro Marco Antonio, tra il 44 e il 43 a.C. La seconda, la più sprezzante, fu l’unica a non essere presentata in pubblico, ma ad essere strutturata secondo la forma del discorso fittizio. Le orazioni a noi giunte sono 14, ma in tutto dovevano raggiungere il numero di 18. Il titolo Filippiche omaggiava il grande oratore greco Demostene, che vissuto nel IV secolo a.C., si era a lungo scagliato contro Filippo di Macedonia, vedendo in lui il tiranno che metteva in pericolo la libertà della Grecia. Cicerone riprende Demostene anche nello stile, liberandosi degli ornamenti retorici a cui era abituato e scegliendo una scrittura più diretta e mordace, fatta di frasi brevi e minore ampollosità. L’opera rappresenta un vivido ritratto sia degli ultimi mesi di vita della Repubblica romana, che degli ultimi mesi di vita dell’autore. In Marco Antonio Cicerone vede riassunti gli aspetti peggiori di tutti i suoi nemici passati (Verre, Catilina, Clodio), ne descrive con termini forti sia la corrotta e dissipata giovinezza, che la spudorata carriera politica, sempre alla ricerca di sostenitori. Cerca di scuotere l’animo dei senatori, troppo indulgenti, e quello di Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, affinché si ribelli. Quasi però prevedendo il suo destino futuro, l’avvocato romano afferma di preferire una morte gloriosa ad una schiavitù, che si celi dietro un odioso tentativo di conciliazione. Le Filippiche rappresenteranno infatti la sua condanna a morte: dopo averle pronunciate, Antonio inserirà il nome di Cicerone nelle liste di proscrizione e invierà dei sicari, affinché gli riportino la testa e le mani di colui che aveva osato insultarlo.

OPERE PERDUTE DI CICERONE

  • Traduzione dei Fenomeni di Arato – rimane solo poco più di metà della libera traduzione ciceroniana in esametri dell’opera astronomica di Arato, autore vissuto nel III a.C. e originario di Soli, in Cilicia;
  • Altre opere poetiche perdute sono l’Alcyones e il Glaucus, due poemi a carattere mitologico;
  • il Marius, poema epico-storico in cui l’autore narrava le imprese del console Gaio Mario;
  • De suo consulatu e De temporibus suis: due opere in 3 libri ciascuna, in cui Cicerone celebrava le sue glorie personali ottenute durante il consolato contro i nemici politici. Nel De divinatione abbiamo solo un frammento di 78 versi del secondo libro  del De suo consulatu;
  • Uxorius: opera di cui conosciamo quasi esclusivamente il titolo; si ritiene avesse carattere scherzoso e ironico come gli Epigrammata, componimenti satirici scritti intorno ai vent’anni;
  • Nilus: opera pressoché sconosciuta, che doveva esaltare le qualità del fiume Nilo in Egitto.

Bibliografia

📖 E. Narducci, Cicerone. La parola e la politica, Laterza, 2009
📖 E. Narducci, Introduzione a Cicerone, Laterza, 2005
📖 P. Grimal, Cicerone, Garzanti, 2011
📖 M. Citroni, F.E. Consolino, M. Labate, E. Narducci, Letteratura di Roma antica, Laterza, 2007

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a cura di

Caterina Tilli

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