Questo articolo vuole essere un esempio di come gli Antichi Romani, privi delle conoscenze e tecnologie moderne, interpretassero gli avvenimenti naturali che li circondavano. Si parlerà quindi del ciclo della calce, per come lo conosciamo noi oggi e, successivamente, per come lo interpretava Vitruvio nel suo De Architectura.
Come anticipato, data la natura molto tecnica del tema è prima dovuta una sua spiegazione.
Viene definito ‘ciclo della calce’ la serie di processi e reazioni chimiche che trasformano una pietra carbonatica, come il marmo, in calce lavorabile e, una volta asciutta, componente legante delle malte utilizzate per la costruzione delle infrastrutture romane antiche tornando allo stadio chimico iniziale. Il fatto che il carbonato di calcio possa fare questo ciclo con relativa semplicità è stato senza dubbio fondamentale per lo sviluppo tecnologico romano e più in generale, dell’uomo.
Il ciclo inizia con l’estrazione di rocce carbonatiche composte quasi totalmente di carbonato di calcio [CaCO3], e, in minor parte, da piccole percentuali di impurità che per semplicità ignoreremo. Le rocce vengono successivamente frantumate e cotte a temperature relativamente basse, circa 850-900°C. Temperature raggiungibile anche in epoche antiche e oggi considerate assolutamente basse considerato che per calcinare le pietre per la produzione dei cementi si possono raggiungere anche i 1600°C. Durante la calcinazione avviene la separazione della CO2 dal carbonato di calcio producendo un nuovo materiale poroso e leggero, l’ossido di calcio [CaO], la cosiddetta ‘calce viva’. In questa fase è necessario che la CO2 riesca facilmente ad abbandonare la roccia, se questa condizione non dovesse essere propriamente rispettata, la CO2 potrebbe essere riassorbita o non riuscire totalmente nella separazione dalla roccia prima della fine della calcinazione, inficiando così la qualità del risultato. Per facilitare la separazione si usano, perciò, calcari già porosi, come il travertino, frantumandoli il più possibile.
La calce viva viene poi fatta reagire con l’acqua, producendo l’idrossido di calcio [Ca(OH)2], questa fase viene chiamata spegnimento o estinzione. A questo punto la calce è quindi pronta per essere mischiata agli inerti che comporranno la malta da costruzione.
Il seguente, ed ultimo passaggio è definito carbonatazione, esso avviene una volta che la malta è stata stesa in opera. Il processo di carbonatazione consiste nella reazione chimica tra il Ca(OH)2 e la CO2 presente nell’aria, i due reagiranno legandosi e rilasciando H2O riformando così carbonato di calcio (CaCO3), chimicamente non dissimile dal componente della roccia di partenza.
Passando ora all’interpretazione vitruviana del processo, è necessario premettere che la scienza romana riteneva che tutto ciò che è tangibile fosse composto sostanzialmente da soli quattro elementi (aria, acqua, fuoco e terra) e che la proporzione con cui questi si miscelavano caratterizzasse le proprietà fisiche del corpo ospitante. In breve: dove vi era una maggiore percentuale di aria si aveva un corpo soffice, di acqua impermeabile, di terra duro, di fuoco fragile.
Vitruvio, nel de Architettura, libro II, capitolo V scrive:
Il perché poi faccia forte masso la calcina impregnata d’acqua, e di [sabbia], nasce dall’essere le pietre, come tutti gli altri corpi, composte pur esse d’elementi […]. Da ciò nasce, che le stesse pietre, se prima di cuocersi li stritolano, e mescolate [con la sabbia] si adoprano nella fabbrica, non solo non la fortificano, ma non possono neppure reggerla: quando che queste stesse poi gettate nella fornace, se avranno per la veemenza del fuoco perduto il vigore dell’antica sodezza, restano bruciate, e spossate le forze con larghi e voti buchi; ed essendo estratti ed esausti e l’umido, e l’aria che stavano nel corpo della pietra [calcinazione: perdita di H2O], conservandovisi solo rinchiuso il calore, tuffata che è la pietra nell’acqua, e prima che n’esca il fuoco, concepisce vigore, e bolle per l’umido che penetra ne’ pori voti [spegnimento: acquisto di acqua e rilascio di CO2], raffreddandosi poi, scaccia dal corpo della calcina il calore. Ond’è che pur le pietre cacciate dalla fornace non conservano più il peso, che avevano prima d’esservi gettate; ma pesandosi si troverà, che quantunque conservino la stessa mole, pure saranno scemate per la terza parte del peso a cagion dell’umido consumato. Essendovi dunque questi buchi, e questi pori aperti, ivi s’intromette [la sabbia] e vi fa lega, e seccandosi fa lega anche colle pietre, rendendo con ciò forte la fabbrica [carbonatazione: rilascio di acqua e ritorno allo stato chimico alla roccia di partenza con conseguente indurimento fisico].