Nel nostro viaggio attraverso il territorio marchigiano per conoscere e approfondire la storia e l’arte del popolo piceno, non possiamo evitare di fermarci in un piccolo borgo dell’entroterra in provincia di Fermo, Belmonte Piceno.
Il paese è di origine medievale e deve il suo nome alla particolare posizione geografica; è situato infatti in posizione di rilievo tra le valli del fiume Tenna e dell’Ete Vivo. L’aggettivo “piceno” gli sarà attribuito solo nel 1863 per distinguere il comune da altre realtà italiane con il medesimo nome. Pochi decenni dopo però, questo appellativo avrebbe acquistato un significato molto particolare perché le scoperte archeologiche avvenute agli inizi del 1900 nelle campagne belmontesi, lo avrebbero sancito come uno dei siti più importanti per la cultura picena, soprattutto per il periodo dal VII al V secolo a. C.
Alla fine del 1800 un giovane studioso belmontese Silvestro Baglioni (1876-1957) cominciò ad interessarsi ai numerosi reperti archeologici che venivano trovati fortuitamente nelle campagne attorno al borgo. Egli, consapevole soprattutto della forte presenza dei mercati antiquari, decise di occuparsi personalmente di queste scoperte, pubblicandole in moltissime riviste sia italiane che estere così che studiosi nazionali e anche internazionali potessero interessarsi alla storia di Belmonte.
La diffusione di questi dati così importanti coinvolse l’allora Soprintendente alle Antichità delle Marche e dell’Abruzzo, Innocenzo Dall’Osso (1855- 1928) il quale decise di effettuare una vera e propria campagna di scavo. Il luogo da indagare fu stabilito a seguito di un importantissimo rinvenimento fortuito, la cosiddetta “tomba del Duce”, il cui nome deriva dagli oggetti che costituivano il corredo: un ricco armamento in bronzo, le famose anse di hydria con il “Signore dei Cavalli” (in foto) e ben sei carri a due ruote. Le indagini durarono due anni dal 1909 al 1911 e portarono alla scoperta di più di 200 sepolture alcune delle quali molto ricche, che confermano l’importante ruolo che questa comunità deve aver ricoperto nel territorio tra il VII e il V secolo a.C. Furono rinvenute tombe femminili con numerosi ornamenti in bronzo e in ambra, tombe maschili di guerrieri con lance, elmi e schinieri e infine anche tombe femminili ricche di ornamenti con armi al loro interno, particolarità che ha portato Dall’Osso a definirle come “tombe delle Amazzoni”.
Ad Innocenzo Dall’Osso va il merito di aver documentato in maniera molto dettagliata le scoperte effettuate sulle colline di Belmonte. Già sullo scavo aveva fatto fotografare le singole tombe al momento della scoperta e poi, una volta portati i materiali al Museo di Ancona (nell’ ex convento degli Scalzi) provvide ad esporli tutti nelle nuove sale. I risultati delle sue attività furono poi pubblicati nella Guida del Museo del 1915, nella quale Dall’Osso, alla luce delle nuove scoperte, scrive una premessa sulle origini di questo popolo.
Ma le vicende dei corredi belmontesi subirono un brusco arresto nel 1944, quando una bomba cadde sul Museo archeologico che nel 1927 era stato spostato da Giuseppe Moretti al Convento di San Francesco alle Scale. Le sale dove si trovavano i corredi di Belmonte furono purtroppo le più colpite e di conseguenza, i danni irreparabili. Si cercò fin da subito di recuperare più materiale possibile cercando di ricontestualizzarlo, riscontrando però numerose difficoltà a causa delle condizioni dei reperti.
Bisognerà aspettare qualche decennio, quando il ricercatore tedesco Joachim Weidig, dell’Università di Friburgo, comincerà ad interessarsi alle vicende belmontesi, mettendo in piedi un progetto incentrato sullo studio e sulla riscoperta di questi vecchi scavi. Lo studioso, attraverso l’analisi diretta dei corredi recuperati e attraverso la lettura accurata della documentazione presente in archivio, ha come obiettivo quello di ricontestualizzare i reperti e di indagare al meglio la comunità picena belmontese.
Inoltre, il suo interessamento ha incontrato la passione del sindaco di Belmonte, Ivano Bascioni, per l’archeologia e la storia del suo paese. Questa collaborazione ha portato, grazie anche al supporto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio delle Marche, all’apertura nel 2015 di un piccolo museo civico comunale dove sono esposti alcuni dei corredi rinvenuti durante gli scavi del 1909-1911, ritornati quindi a Belmonte.
E d’altronde si è avverato quanto scrisse già nel 1910 Silvestro Baglioni: “Secondo la mia convinzione, uscirà dalle tombe tale e tanta quantità di oggetti da poterne riempire non solo il Museo anconetano, ma anche quello di Fermo e di Ascoli e magari rimanerne ancora un ricco saggio per il Comune di Belmonte”.