Le rune rappresentano il primo sistema di scrittura delle popolazioni germaniche, prima dell’adozione dell’alfabeto latino e della cristianizzazione. E’ un tipo di scrittura che normalmente veniva utilizzata per le epigrafi cioè iscrizioni brevi, di carattere stereotipato, su supporti mobili di diversa natura, come gioielli, armi, pietre e altro, o supporti fissi come lastre tombali.
Sul significato della parola runa abbiamo diverse possibilità, oggi significa segno di scrittura ma nelle popolazioni germaniche aveva un altro significato: il termine era connesso con il significato di mistero, segreto, appartenente alla sfera della magia.
Facciamo un esempio: la u lunga e la i lunga si evolvono nel tempo in dittonghi, la u diventa au e la i diventa ai, la parola hus (casa) uguale in inglese antico e in tedesco antico oggi diventa house, esempio di dittongazione di u lunga che diventa au nella fase moderna.
Le lingue antiche presentano la parola runa con u lunga, però questa parola ad un certo punto cade in disuso, si perde, quindi ritrovandola nelle lingue moderne non si è dittongata, c’è stato un periodo di vuoto. Poi intorno al XVII° secolo, in area scandinava, in un periodo di recupero delle antichità e origini germaniche, viene riesumata questa parola germanica nella sua forma antica, con la u lunga, se non avesse subito questa battuta di arresto sarebbe diventata rauna ma a queste condizioni rimane runa.
Da una stessa radice derivano diverse parole, il campo semantico è formato da tutte quelle parole che sono corradicali, che appartengono a categorie morfologiche diverse, verbi, nomi, aggettivi, che hanno la stessa radice.
Run, deriva un sostantivo runa e un verbo runen, che in Alamanno significava parlare sommessamente. Il sostantivo sparendo non si dittonga, mentre il verbo in alcune lingue continua e diventa raunen, subendo il processo di dittongazione che riguarda la u.
Interessante anche la terminologia relativa alla scrittura perché la scrittura runica veniva incisa sui supporti, una cosa piuttosto difficoltosa, di certo più difficile che scrivere. Difatti, la forma germanica writana significava incidere. In inglese la parola write si è mantenuta, ma ha acquisito un significato nuovo, quello di scrivere.
Le rune si comportavano come un alfabeto: erano dei segni a ciascuno dei quali corrispondeva un suono. Si parla di serie runica e non di alfabeto, perché la parola alfabeto è impropria, derivando dalle lettere iniziali.
La successione delle prime sei lettere della serie runica forma la parola FuÞark (che si pronuncia Futhark): questa comprendeva 24 segni, tutti stilizzati senza rotondità, per via della difficoltà di incidere segni curvi su supporti rigidi come la pietra o il metallo.
Negli anni ’80 è stata formulata una ipotesi da due studiosi, un finlandese ed un norvegese, secondo la quale l’alfabeto runico avrebbe avuto come modello gli alfabeti usati dalle popolazioni italiche prima dell’avvento dei latini, dalla zona della zona venetico renetica, quindi ad esempio gli Oscoumbri.
Uno studioso olandese, invece, ripropone l’ipotesi di modello da parte dell’alfabeto latino. Le tavole Eugubine, che sono incise con quegli alfabeti preitalici, potrebbero aver fatto da modello per la serie runica.
Il FuÞark originario, come viene ricostruito dallo studioso danese Wimmer.
A partire dal 160 D.C. fino al II° o IV° secolo, nelle varie lingue germaniche subisce delle modifiche: i segni talvolta vengono modificati, ne vengono aggiunti di nuovi, o addirittura in certi casi sono spariti e quindi un unico segno finisce per esprimere più suoni, perché diminuendo il numero delle rune, finivano per esprimere più fonemi.
Si osserva in modo particolare come nel FuÞark di area scandinava si ha questa diminuzione di segni che passano a 16 da 24. Questo riguarda il FuÞark norreno, che presenta due varianti, quella della pietra di Ruk e quella della pietra di Gulev, ma sempre con 16 segni, in un periodo che va dal IX° al X° secolo.
In area anglosassone, le rune che provengono sia dall’Inghilterra che dalla Frisia, sono redatte nel FuÞark del mare del nord, Inghevone, dove accade il fenomeno opposto: rispetto ai 24 segni tradizionali, si passa a 28 e nell’ambito dei manoscritti, a 33 segni. Inoltre si assiste ad uno spostamento del carattere a, il quale passa più avanti nella serie, viene sostituito dalla o, che ne prende il posto: in quell’area si parla quindi di FuÞork.