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Il rito dell’apertura della bocca

Il rito dell’apertura della bocca rientra nei riti religiosi praticati al fine di garantire al defunto la vita eterna. Occhi e bocca venivano aperti al fine di restituire i sensi al defunto perché egli potesse vivere pienamente nell’oltretomba (Duat). Il rituale si concludeva con le operazioni di fumigazione e lustrazione.

Nel periodo arcaico la procedura del risveglio dei morti era eseguita direttamente sulla salma del defunto, come testimoniano le illustrazioni geroglifiche dei Libri dei Morti.Non è chiaro se questa operazione avesse luogo direttamente dentro la tomba prima della sepoltura della mummia, o subito prima a fine dell’imbalsamazione nelle camere preposte alla mummificazione del corpo.

Lo strumento utilizzato per il rituale è arrivato sino a noi in vari esemplarti e si presenta come una sbarra piatta con una lama biforcuta, detta a coda di rondine. Il sacerdote, durante il rito doveva pronunciare formule specifiche. Di seguito ne riportiamo uno stralcio molto significativo:

Apro la tua bocca, di modo che tu possa parlare per mezzo di essa; apro i tuoi occhi, affinché tu veda Ra, apro le tue orecchie, così che tu possa udire la trasfigurazione, di modo che tu usi le tue gambe per camminare, il tuo cuore e le tue braccia per difenderti dai nemici.” 

Le prime testimonianze sono attestate durante l’Antico Regno, ma acquisì una forma canonizzata e istituzionalizzata solamente nel Nuovo Regno. L’elemento rimasto sempre costante nell’evoluzione di questa ritualità è la posizione del defunto: poggiato su di un cumulo di sabbia, simbolo del luogo della creazione primigenia.

Nelle decorazioni della tomba di Seti I, individuabile come tomba KV17 della Valle dei Re, troviamo 75 riquadri che illustrano la cerimonia lungo tutti i corridoi.

Bibliografia

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a cura di

Martina Tapinassi

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