Sul lungarno pisano, si stagliano gli Arsenali Medicei, un luogo ricco di storia che rappresenta l’antico legame fra la città e la navigazione. Dopo anni di abbandono, gli Arsenali ritornano nuovamente visitabili grazie ad una nuova dimensione, quella museale: varcando il cancello, il visitatore verrà accolto dal Museo delle Navi Antiche di Pisa.
Gli Arsenali, una location d’eccezione
Un luogo sicuramente adatto ad ospitare un museo archeologico tematico, che oltre alla storia del territorio ospita le grandi navi romane.
Gli Arsenali nacquero circa quattro secoli fa, per volere del Granduca Cosimo I de’ Medici, il quale desiderava consolidare la propria potenza navale e sfoggiando le antiche glorie della Repubblica marinara pisana. Il Granduca fondò in concomitanza l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, un ordine militare strettamente legato al mare, come risposta alla minaccia della pirateria saracena.
La fortuna di questa imponente struttura durò poco: gli Arsenali caddero presto in disuso, in favore di arsenali privati sorti nelle vicine Portoferraio e Livorno. La loro destinazione d’uso fu cambiata, divennero magazzini della Cittadella, la fortezza difensiva che si affacciava verso il mare. Ma gli Arsenali cambiarono nuovamente funzione nei secoli successivi, perdendo ogni legame con il mare: nel Settecento, e per i successivi duecento anni, divennero una caserma di cavalleria. Nelle stalle trovavano posto gli elementi del reggimento della cavalleria Lorenese. Con l’unità d’Italia, gli Arsenali divennero il centro di riproduzione ippica dello stato sabaudo, passando poi sotto l’Esercito Italiano sino al 1965.
Quando si è deciso che gli Arsenali avrebbero ospitato il complesso museale, è stato chiaro l’intento di voler conservare il più possibile la struttura originaria: nei box dei cavalli, ove è possibile trovare ancora alcuni abbeveratoi ed i cancelli, troviamo oggi le vetrine che raccolgono i reperti archeologici che raccontano tutte le fasi della storia di Pisa e del suo territorio, mentre nei grandi ambienti delle campate, progettati per accogliere i grandi navigli granducali, hanno trovato posto le imbarcazioni restaurate.

La scoperta e la musealizzazione
Ma quando è iniziata la storia del Museo delle Navi Antiche di Pisa? Era il 1998, poco più di vent’anni fa, quando le Ferrovie iniziarono i lavori per la realizzazione di un centro di controllo per la linea Roma-Genova, nei pressi della stazione di Pisa San Rossore. Da subito, proprio nei primi giorni di scavo, dalla terra emersero oggetti di legno di cui gli archeologi compresero l’eccezionale importanza. A soli sei metri di profondità furono ritrovati alcuni relitti navali in eccezionale stato di conservazione, completi dei loro carichi commerciali e ricchi di testimonianze della vita a bordo.
Nacque così il cantiere delle navi romane di Pisa, concluso solo nel 2016: circa trenta imbarcazioni di epoca romana e miglia di frammenti di vario materiale oltreché reperti organici. Grazie alla sinergia tra archeologi e restauratori che oggi possiamo vivere questa esperienza museale: i reperti, racchiusi in strati di argilla e sabbie, hanno necessitato di strumentazioni all’avanguardia un gran lavoro di squadra, il tutto reso possibile anche grazie alla collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca, italiane e straniere. Dopo lunghi anni di lavori, l’esposizione ha aperto le porte nel 2019, rendendo finalmente visibili al pubblico la storia dell’area di San Rossore.

Il percorso di visita
Sala 1: La città tra i due fiumi
La prima sala del Museo è dedicata alla storia della città di Pisa, scandita per fasi, dalla Preistoria sino al termine del Regno Longobardo. Questa sala prende il nome da una citazione estratta dal De Reditu, poema tardoromano di Rutilio Namaziano, il quale descrive la città così:
“Ammiro l’antica città nata dal lontano Alfèo,
che Arno e Auser cingono con loro acque gemelle.
I fiumi confluendo, formano come la punta di una piramide:
nella fronte, ove si aprono, penetra una lingua di terra.”
Per quanto riguarda la fase Preistorica, le prime attestazioni della presenza dell’uomo nel territorio, quando ancora Pisa non era una città vera e propria, vanno collocate a cavallo fra il XIV e il XVIII secolo a.C., tra l’Età del Rame e la prima Età del Bronzo. La zona resta popolata durante tutta l’Età del Ferro sino al X secolo a.C., momento in cui inizia la fase etrusca. Le testimonianze archeologiche sono per lo più materiali ceramici.

Sulla origine della città sono raccontate varie leggende. La più accreditata narra che la sua fondazione avvenne per mano ligure e il suo nome significherebbe “luogo paludoso”. C’è però anche una versione della storia che vedrebbe Pisa fondata dai profughi greci, giunti nella penisola italica al termine della Guerra id Troia. Di fatto, nessuna di queste ipotesi è confermabile. Tangibili sono invece le testimonianze che attestano, attorno al IX a.C., la presenza della cultura villanoviana, grazie alle indagini archeologiche della necropoli rinvenuta nei pressi di Via Marche.

La fase etrusca è caratterizzata da piccoli insediamenti, sparsi su tutto il territorio pisano. A questo periodo risalgono le strutture in legno e pietra, riconosciute come capanne, rinvenute lungo il fiume. Strutture abitative, aree sacre e necropoli ci lasciano testimonianze archeologiche riferibili a tutta la fase etrusca. In particolare, i rinvenimenti provenienti dalle necropoli ci parlano di usi e costumi di questa civiltà. Degno di nota il tumulo principesco rinvenuto in Via San Jacopo, che oltre alla sepoltura principale presentava una serie di sepolture connesse, riferibili forse a gruppi familiari.

Pisa diventa colonia romana nel 180 a.C. e con Augusto ottenne l’appellativo di Colonia Julia obsequens. Le informazioni su Pisa romana sono deducibili dai Decreta Pisana: la struttura cittadina prevedeva la presenza dell’Augusteum, del foro, dei bagni pubblici, di un anfiteatro e di alcune botteghe. Nonostante i numerosi reperti di natura epigrafica ed architettonica, le informazioni sono piuttosto frammentarie per poter arrivare ad una ricostruzione puntuale. Di certo c’è la centuriazione del territorio, le cui divisioni agrarie sono ancora visibili nelle caratteristiche di alcuni tracciati stradali.

La Sala 1 si conclude con un piccolo allestimento dedicato alla presenza longobarda a Pisa: i reperti esposti sono stati rinvenuti nell’ambito degli scavi della necropoli sita sotto l’odierna Piazza dei Miracoli. Pisa divenne longobarda prima del 643, anno in cui Rotari conquista la Liguria. Anche di questa fase poco si sa, quel che è certo è che la città abbia avuto un ruolo attivo nella caduta del regno longobardo, poiché Adelchi fuggì verso Bisanzio partendo proprio da Pisa.
Sala 2: Terra e acque
La seconda sala del Museo delle Navi Antiche di Pisa è dedicata al legame imprescindibile che si è creato fra territorio e vie d’acqua sin dalla notte dei tempi.
Molto suggestivo l’allestimento dedicato al paleoambiente dell’area pisana. In questo spazio il visitatore ha tutti gli strumenti necessari per immaginarsi il paesaggio boschivo, grazie alle numerose teche che conservano frutti, noccioli, sementi, foglie e resti animali, potendo immaginare anche quello che era l’ecosistema faunistico.

Il sistema portuale pisano è stato indagato ampiamente indagato grazie agli scavi di San Rossore: il Portus Pisanus, identificabile con l’odierna periferia settentrionale di Livorno, si presentava molto ampio, con un fondale basso e ricco di alghe. Non secondaria, rispetto alle altre attività commerciali, era la pesca, che concorreva anche al sostentamento dei marinai. Molti i reperti esposti: ami in bronzo e ferro ci testimoniano l’uso della pesca con la lenza, mentre gli aghi di osso erano utilizzati per riparare le reti.
Essendo il suburbio pisano caratterizzato da zone paludose e canali fluviali, vi era una grande disponibilità di vegetali adatti all’intreccio, come ad esempio il salice. Questa particolarità favorì lo sviluppo della produzione di ceste, utilizzate sia per la conservazione e il trasporto dei prodotti ittici, sia per contenere materiali di costruzione e di manutenzione delle navi.

Vicina alle cave marmoree di San Giuliano e ai monti apuani, Pisa si afferma fra il VI e il V secolo a.C. come centro di produzione artigiana di diversi tipi di semata (segnacoli) in marmo. Non solo: sono stati rinvenuti numerosi esemplari di terra sigillata italica, una ceramica fine da mensa che si presenta verniciata con un particolare tono di rosso. Alcuni di questi pezzi presentano i cosiddetti bolli, o “sigilli” appunto, riportanti il nome del fabbricante.
Negli strati di alluvione e cantiere delle Navi Antiche di Pisa si sono trovate anche tracce di una fabbrica di ceramica invetriata romana. L’invetriatura era ottenuta grazie ad una sorta di rivestimento a base di quarzo, che combinato con alcuni pigmenti faceva risultare colorazioni diverse. Questa vivacità artistica e la vicinanza dello scalo marittimo, portarono a Pisa maestranze straniere, addirittura greche, oltre ad una fiorente attività di scambi commerciali.

La pesca e l’artigianato non erano però le uniche attività commerciali: durante gli scavi sono stati rinvenuti numerosi resti ossei animali, che attestano la presenza di numerosi allevamenti. Per la maggioranza si tratta di suini, bovini e caprovini, ma non mancano cavalli e asini. Inoltre, è stato identificato un allevamento di cani, che contava oltre 50 esemplari, utilizzati sia per la guardia che per compagnia.

Non mancano reperti legati all’attività agricola, difatti il ritrovamento di alcuni attrezzi agricoli oltre a resti vegetali in vari contenitori, ci parlano del quadro rurale pisano. L’archeologia conferma quanto sostenuto da Strabone, che la pianura pisana fosse un luogo molto fertile. Numerose le ville rustiche che testimoniano l’intensa produzione vinaria, olearia e cerealicola. Lo scavo di San Rossore ha restituito chicchi di grani, acini di uva e noccioli di oliva, testimonianza cruciale per l’archeologia del cibo.

La sala 2 si conclude con una bella panoramica di quelle che sono state le tappe dapprima della scoperta, poi del cantiere e dello scavo delle Navi Antiche di Pisa, valorizzando il poderoso lavoro degli archeologi: su reperti di particolare fragilità sono stati approntati interventi ad hoc, al fine di poterli dapprima recuperare e musealizzare poi.
Sala 3: La furia delle acque
Viene qui trattato il tema delle alluvioni, che nella storia hanno coinvolto l’area pisana, unitamente alle relative distruzioni e ai depositi di reperti da esse generate. La visita si fa ancora più suggestiva grazie ad alcune installazioni multimediali che ricreano alcuni scenari: vengono proposte le ricostruzioni del fondale fluviale visto da un nuotatore del II secolo d.C. e il naufragio dell’Alkedo, uno dei principali relitti rinvenuti ed esposti in una sala successiva.
Di particolare impatto è lo spazio dedicato ad un marinaio ed il suo cane, morti durante un naufragio. L’allestimento scelto non mette barriere fra il visitatore e i reperti, posti in una buca di sabbia e ricontestualizzati da un contorno di materiali riconducibili al carico della nave. Grazie alle analisi paleopatologiche effettuate sullo scheletro dell’uomo, i ricercatori sono riusciti a determinarne informazioni preziosissime quali età, lavoro e alimentazione.

La suggestione prosegue grazie all’esposizione delle circa 600 casse di materiali integri e ricomponibili che vuole mostrare al visitatore l’incredibile quantità dei materiali rinvenuti, nonché la varietà dei reperti stessi. Alcune vetrine accolgono invece i reperti provenienti da scavi e recuperi subacquei mentre alcuni filmati illustrano i vari aspetti della metodologia della ricerca archeologica.

Sala 4: Navalia
In questa sala il visitatore ha modo di comprendere quali fossero le tecnologie che gli antichi utilizzavano per la costruzione delle imbarcazioni: questi partivano dalla chiglia per poi aggiungere tutti gli elementi portanti della nave, montandoli ad incastro o fissandoli per mezzo di cavicchi di legno o chiodi in bronzo. Per quanto riguarda l’assemblaggio delle assi vi erano più tecniche, illustrate in modo semplice ed efficace da alcuni pannelli espositivi posti di fianco ad una vetrina contenente vari strumenti da lavoro appartenenti al cantiere navale.

Troviamo poi un approfondimento dedicato all’Archeologia Navale, disciplina che si occupa della tecnologia riguardante qualsiasi tipo di imbarcazione, gli aspetti tecnici e culturali ad essa connessi e il relativo equipaggiamento. Lo studio avviene sia grazie alle ricerche sul campo di Archeologia Subacquea e di Archeologia di Superficie, sia grazie all’analisi delle fonti letterarie e iconografiche.
Questa sala ospita anche la ricostruzione di una parte del cantiere di scavo della Nave A, una nave da carico di grandi dimensioni datata al II secolo d.C., carica di anfore a fondo piatto di varie provenienze contenenti conserve di frutta.

Sala 5: Navi
L’allestimento delle navi e dei relativi carichi recuperati occupa ben due campate degli arsenali, lasciando il visitatore senza fiato.
Prima fra tutti spicca l’Alkedo, l’ammiraglia della flotta pisana, una nave da diporto a dodici rematori. Ancora una volta stupisce la scelta espositiva, che vede di fianco al relitto una sua ricostruzione a grandezza naturale. Alkedo, ovvero Gabbiano, è il nome inciso su una tavoletta di legno rinvenuta insieme ai resti della nave. Dalle analisi effettuate sulla struttura dell’Alkedo emerge che al momento dell’affondamento l’imbarcazione era usurata, che presentava riparazioni e sostituzioni. Molte le tipologie di legname utilizzate per la sua costruzione, dovuto molto probabilmente dalla necessità di utilizzare materiali a basso costo reperibili in zona. I materiali restituiti dallo scavo della nave sono di diverso tipo: altre a poche anfore (che non costituivano un carico ma erano le derrate a consumo per i marinai) sono stati rinvenuti strumenti di uso quotidiano a bordo, fibre vegetali intrecciate e alcuni frammenti di cuoio, riferibili ad alcuni capi di vestiario e borse.

La Nave I era invece un traghetto fluviale e si presenta come un barcone a fondo piatto, costruito in legno di quercia. Il barcone veniva manovrato tra le due rive attraverso un sistema di funi per mezzo di un argano, di cui è esposto l’asse centrale.
Per quanto riguarda le imbarcazioni minori che popolavano le acque interne, fluviali e palustri, è stata rinvenuta la Barca F, un’imbarcazione di modeste dimensioni e dalla forma affusolata come una piroga. Dall’analisi della fiancata si suppone che probabilmente la nave venisse manovrata per mezzo di una stanga a spinta. La Barca F non è l’unico esemplare rinvenuto, riferibile alle lintres romane: seppur frammentari, sono stati ritrovati anche i resti della prua della Barca Q.
La Nave D colpisce per l’eccezionale stato di conservazione, nonostante fosse stata rinvenuta rovesciata, rendendo molto più delicato il lavoro dei restauratori. Si tratta di un barcone fluviale adibito al trasporto della rena lungo l’Arno, grazie alla presenza di un ampio boccaporto. La nave era mossa da una vela che sventolava sull’albero originale ancora conservato.

Nella sala sono presenti anche imbarcazioni di cui si è ritrovato solo parte della struttura o che sono state solo in parte recuperate. Fra queste, sono ascrivibili alla categoria dei barchini fluviali le Imbarcazioni H, G e P mentre la Nave E è inquadrabile come una nave da carico di dimensioni medio-grandi.
Anche la Nave B era una nave da carico: questa è stata rinvenuta ma per motivi di sicurezza legati alla stabilità del cantiere non è stata recuperata. La proposta museale è stata quella di ricostruirla parzialmente per esporvi il carico di anfore eterogenee reimpiegate per contenere materiali disparati.
Colpisce il vascone che accoglie la ricostruzione del naufragio della nave da carico che faceva spola lungo le coste fra la Campania e la Spagna. Del relitto, andato completamente distrutto, ne viene riproposta una sezione per illustrare come veniva disposto il carico nella stiva.

Sala 6: Commerci
La sala successiva tratta la funzione principale dei viaggi in mare, ovvero gli scambi commerciali. Questo tema è affrontato illustrando soprattutto i contenitori utilizzati per il trasporto delle diverse merci ma anche le loro chiusure. Di grande impatto l’esposizione a parete che illustra l’evoluzione nei secoli circa la forma delle anfore attestate archeologicamente nel territorio pisano.

Le vetrine della sala si propongono di proporre al visitatore anche la varietà di merci scambiate, fra cui sono annoverati numerosi reperti in vetro che presentano lavorazioni pregiate, quindi considerati come beni di lusso. Anche la produzione di ceramica fine da mensa, conosciuta anche come terra sigillata, era presente nel territorio e la distribuzione avveniva sfruttando il sistema portuale pisano. Più difficoltoso risultava essere il commercio dei marmi, che comportava problematiche collegate al trasporto: le navis lapidariae erano imbarcazioni costruite ad hoc e capaci di trasportare un carico variabile tra le 100 e le 300 tonnellate.

Sala 7: La navigazione
In questa sala vengono affrontati i temi riguardanti la conoscenza e la tecnologia che gli antichi avevano circa la navigazione. Il cantiere delle Navi Antiche ne ha fortunatamente restituito numerosi parti di vele, di cime e di telaio, recuperi che hanno permesso di ricostruirne in modo piuttosto puntuale la struttura. Anche i remi trovano posto in questa sala: generalmente costruiti in abete, poiché più leggero come legno, avevano una lunghezza variabile proporzionata alla dimensione della nave.
Dallo scavo sono emerse alcune ancore, ritenute l’elemento essenziale dell’armamento navale. I reperti rinvenuti a Pisa sono di materiale diverso come pietra, legno e ferro. L’esposizione illustra l’evoluzione di questo strumento, a partire dalla grande ancora lignea appartenuta alla Nave A, caratterizzata da un rilievo di un pesce angelo che doveva portare fortuna durante la navigazione.

Un breve filmato, proiettato dentro un piccolo planetario, illustra le tecniche utilizzate per orientarsi in mare aperto durante la navigazione, facendo riferimento ad alcuni punti fissi delle coste, alla posizione del sole e alle costellazioni maggiori.
Un focus viene dedicato anche alla durata dei viaggi: la navigazione in antichità era influenzata dalle stagioni, soprattutto da venti e correnti che potevano arrestare il viaggio, dunque la durata non era prevedibile. I relitti ci permettono di conoscere le rotte commerciali antiche e le relative tappe intermedie, grazie al carico di merci di varia provenienza. Si fa quindi riferimento anche a quelli che erano i pericoli legati alla navigazione, che spesso potevano portare al naufragio.
Chiudono la sala gli approfondimenti dedicati al timone e alla sottocoperta: in esposizione si possono ammirare pietre di zavorra, uncini per le manovre, scandagli e il grande timone della Nave A.

Sala 8: Vita di bordo
Questa ultima sezione del percorso espositivo è dedicata alle persone che popolavano la nave, fossero essi i passeggeri o i marinai, grazie alla numerosità dei reperti rinvenuti durante le attività di scavo.
Per quanto riguarda il personale di bordo, sono stati rinvenuti indumenti da lavoro e oggetti di uso personale. In particolare, è esposto un giaccone in pelle databile agli inizi del I secolo d.C., ritrovato all’interno del relitto dell’Alkedo. Oltre ai vestiti, si possono trovare numerosi oggetti legati alla vita quotidiana, come utensili per l’accensione dei fuochi, stili scrittori, unguenti e pomate. Nei pressi del relitto della Nave A è stata ritrovata una cassetta di legno contenente alcuni oggetti personali di un marinaio, oltre ad un sacchetto in fibre vegetali contenente oltre 170 monete, forse riferibili alla sua paga mensile.
Dato che in antichità non esistevano trasporti pubblici dedicati esclusivamente al trasporto dei passeggieri, le navi adibite al trasporto delle merci avevano uno spazio dedicato alle persone che dovevano intraprendere un viaggio. In questa sezione sono dunque presenti anche alcuni reperti riferibili ai bagagli dei passeggeri.

Alcune vetrine sono poi dedicate all’illuminazione a bordo ed espongono una serie di lucerne rinvenute all’interno dei relitti. Lo scavo ha permesso di rinvenire anche una serie di oggetti legati alla pulizia della nave, come spazzole e scopette, utilizzati durante le normali attività giornaliere dei marinai. Non solo doveri ma anche un po’ di svago: dagli scavi sono emersi anche alcuni giochi e passatempi, come dadi e pedine.

Non poteva mancare un approfondimento dedicato all’alimentazione a bordo. Lo scavo delle navi romane di Pisa ha permesso di ricostruire con precisione la varietà dei cibi consumati a bordo. Oltre agli alimenti legati alla lavorazione delle farine si possono annoverare pesci sotto sale, frutta secca, olive e più raramente carne. Durante le soste nelle tappe intermedie venivano reperiti frutta e verdura freschi. Nelle vetrine sono esposti vari reperti legati all’archeologia del cibo: alcune ossa di pollo, dei frammenti di guscio d’uovo, un’olletta contenente del garum e i resti di scapole di maiale provenienti dalla Spagna, prosciutti di spalla simili all’odierno jamon serrano.
Un’installazione ripropone la ricostruzione di una cucina di bordo, al cui interno sono esposti alcuni oggetti da dispensa rinvenuti durante lo scavo di San Rossore. La cucina di bordo non differiva molto dalla cucina di terra, le pietanze venivano cotte su piastre di terracotta e gli utensili più comunemente usati erano pentole e mestoli.

ArcheoIntervista al direttore
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il Dott. Andrea Camilli, direttore del Museo delle Navi Antiche di Pisa, che in questo breve video ci illustra la storia del Museo e delle sue collezioni!