La pratica aruspicina era un’arte divinatoria di origine etrusca. Essa si compieva con l’esame delle viscere, in particolare di fegato ed intestini, di animali sacrificati agli dei. Tale dottrina divinatoria era stata rivelata da Tagete, i cui precetti raccolti da Tarconte in libri sacri. Questi testi indicavano precise istruzioni su come esaminare tre specifici fenomeni: exta, le viscere delle vittime; monstra, prodigi di vario genere; fulgura, folgori.
L’arte della divinazione etrusca
Gli aruspici, ovvero i sacerdoti che praticavano l’aruspicina, vestivano un mantello decorato da frange e un cappello di forma conica. Un altro accessorio tipico della professione aruspicina eri il lituo, un bastone che terminava a spirale. La loro attività riguardava l’interrogazione del templum, ovvero lo spazio sacro del cielo. La volta celeste era immaginata come tagliata da due rette perpendicolari fra loro: il cardo, che univa teoricamente nord e sud, e il decumano, che univa l’est con l’ovest. Da questa intersezione ne derivava una divisione in quattro quadranti, a loro volta suddivisi in altre quattro sezioni. Questi sedici spazi stavano ad indicare la collocazione delle varie divinità. Una zona era individuata come pars familiaris, animata dagli dei benevoli, mentre l’altra, la pars hostilis, era invece dimora delle divinità dell’oltretomba. Una ulteriore suddivisione riguardava la pars antica e la pars postica.
Pur non essendo considerati un sacerdozio ufficiale per la società romana, gli aruspici furono consultati sino al termine del periodo imperiale. La prima traduzione latina di testi di aruspicina è attribuita a Tarquizio Prisco, di cui però restano soltanto frammenti.
I modellini bronzei
Gli aruspici confrontavano le interiora con una riproduzione bronzea: ove rinvenivano anomalie o cicatrici erano in grado di capire quale divinità volesse comunicare un messaggio, che poi veniva da loro interpretato. Uno dei più famosi reperti è il Fegato di Piacenza, modellino in bronzo rinvenuto presso Settima di Grossolengo, nell’interland piacentino.