Il Fegato di Piacenza è un modellino in bronzo, riproduzione di un fegato ovino. Si presenta di modeste dimensioni e venne trovato in modo fortuito nel 1877, durante l’aratura di un podere presso Settima di Grossolengo, nell’interland piacentino.
E’ databile fra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C., quando Piacenza era già una colonia romana. Giudicato di scarso valore, il Fegato passò di mano in mano fino a che non ne prese possesso il conte Francesco Caracciolo. Egli ne riconobbe il valore e avviò una serie di scavi nella regione circostante al rinvenimento.
Purtroppo, le ricerche portarono alla luce solo una ruota e alcune monete romane: venne allora il dubbio che la collocazione del reperto fosse stata del tutto casuale e non depositatovi intenzionalmente.
Questo modellino era utilizzato dagli aruspici per trarre divinazioni. La faccia principale si presenta con tre protuberanze: il lobus caudatus, la vescica fellea e il processus papillaris. La superficie è divisa in 38 caselle disomogenee, riportanti i nomi di divinità in lingue etrusca.
Sul retro troviamo traccia di altri elementi anatomici: il ligamentum coronarium e l’incisura umbelicalis. Al lato della nervatura sono incisi i nomi del sole e della luna.
W. Deecke e I. Taylor furono i primi a studiarne l’interpretazione fu chiara da subito la correlazione alle pratiche religiose di divinazione. Fa parte della collezione archeologica del Palazzo Farnese di Piacenza.