È fortunatamente ripreso da qualche giorno il restauro di un’opera di Michelangelo, la Pietà Bandini, da non confondere con la più famosa Pietà di San Pietro. Con essa però ha in comune, oltre che lo scultore, il materiale, il marmo di Carrara, e il tema, ossia la pietà.
Il tema della pietà consiste in una scena non descritta dai vangeli perciò di invenzione artistica successiva, ossia il compianto della Madonna sul corpo ormai esanime del Cristo, solitamente steso orizzontalmente sul grembo della madre, costruendo così una scena pregna di dolcezza e dolore. La carica emotiva viene sottolineata anche dalla contrapposizione fisica delle due figure: l’una posta verticalmente e l’altra distesa.
Sebbene questo tema sia fortemente stato influenzato dall’iconografia nordica, in particolare dal vesperbild germanico, il punto di partenza lo si può rintracciare nei compianti e nelle deposizioni dell’arte italiana. Il primo è un iconografia che vede vari personaggi, vicini in vita al Cristo, piangerlo attorno al suo cadavere e il secondo il momento in cui il corpo viene deposto dalla croce.
In questo caso però l’iconografia subisce una parziale reinterpretazione da parte dell’artista, nella scena infatti sono presenti anche altri due personaggi e il corpo di Cristo è anch’esso posto verticalmente.
L’opera è famosa anche per essere stata danneggiata, lo avrete letto, non da un antico restauro, non per via di sommosse popolari o guerre e non da un matto esibizionista, bensì dallo stesso Michelangelo in uno scatto d’ira.
Per capire meglio le ragioni di tale atto andremo qui a citare le parole di una delle più usate e famose fonti storiche, Giorgio Vasari, che a tal proposito ci dice che Michelangelo ebbe il famoso scatto d’ira:
“…perché quel sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scarpello; o fusse pure che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande che non si contentava mai di cosa che e’ facessi.
[…] se s’avessi avuto a contentare di quel che faceva, n’arebbe mandate poche, anzi, nessuna fuora; vedendosi ch’egli era ito tanto con l’arte e col giudizio innanzi, che com’egli aveva scoperto una figura e conosciutovi un minimo che d’errore, la lasciava stare e correva a manimettere un altro marmo, pensando non avere a venire a quel medesimo; et egli spesso diceva essere questa la cagione che egli diceva d’aver fatto sì poche statue e pitture.
[…] et essendo un giorno in casa di Michelagnolo [Francesco Bandini e Messer Donato Giannotti] dove era rotta questa Pietà, dopo lungo ragionamento li dimandò per che cagione l’avessi rotta e guasto tante maravigliose fatiche: rispose esserne cagione la importunità di Urbino suo servidore, che ogni dì lo sollecitava a finirla, e che fra l’altre cose gli venne levato un pezzo d’un gomito della Madonna, e che prima ancora se l’era recata in odio e ci aveva avuto molte disgrazie attorno di un pelo che v’era; dove scappatogli la pazienzia la roppe, e la voleva rompere affatto, se Antonio suo servidore non se gli fusse raccomandato che così com’era gliene donassi.”
Apprendiamo quindi che le ragioni del famoso scatto d’ira sono state la durezza e la qualità del marmo scelto, il perfezionismo di Michelangelo che lo spingeva a ripartire da capo ad ogni imperfezione durante le lavorazioni, e il suo servitore, detto Urbino che ogni giorno sollecitava l’artista a finire la sua opera. A ciò bisogna anche aggiungere che in questo periodo Michelangelo è ormai ottantunenne e vicino, anche nei suoi pensieri, alla morte.
Per quanto riguarda il restauro, si tratta di un lavoro, almeno basandosi sulle informazioni per ora pubblicate, piuttosto semplice ma come spesso accade, molto teatralizzato.
Bisogna infatti considerare tre punti:
- Sebbene ogni caso sia a sé, i grandi autori hanno anche una grande mano, perciò le opere hanno solitamente una qualità produttiva che le rende più durevoli e quindi semplici da restaurare rispetto alle opere di artisti minori, più impacciati nella tecnica;
- Si tratta poi di un’opera in marmo non policromo e ben conservata, senza quindi pellicole pittoriche o parti pericolanti che renderebbero il restauro più complesso e delicato:
- In ultimo sembra che le lavorazioni saranno sostanzialmente di pulitura, rimozione di polvere più o meno incoerente e rimozione delle colature di cera provenienti dal vicino altare.
Detto ciò bisogna però puntualizzare che il restauro non è solo una serie di operazioni atte alla valorizzazione al mantenimento materico di un’opera, bensì anche un’occasione di studio. Lavorare così da vicino e per lungo tempo su oggetto fa sì che lo si conosca meglio ogni giorno e che se ne scoprano sempre più particolari. I quali sono sempre indizi sulla storia e sulle caratteristiche materiche dell’opera.
Insieme alle opere di restauro sono quasi sempre condotte anche delle analisi chimico-fisiche, anche queste col fine ultimo di indagare le caratteristiche materiche dell’oggetto, alla ricerca di particolari che ne svelino la storia e le peculiarità.
Infine, questo caso è anche un momento per i visitatori di poter vedere un restauro in atto in quanto si è deciso di rendere le operazioni visibili a tutti, in un cantiere aperto al pubblico.