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Afghanistan, 32 anni dopo il 1989

Con la ritirata dell’esercito USA, l’Afghanistan sta tornando nuovamente sotto il dominio dei Talebani. Il paese è nel caos e la popolazione sta già pagando le violenze inferte dagli estremisti islamici. Uno scenario che si ripete a distanza di 32 anni, ovvero quando le forze sovietiche si ritirarono dal Paese nel 1989.

Un salto indietro nel tempo

Tutto ebbe inizio il 27 aprile 1978 con la Rivoluzione di Saur, un colpo di Stato con il quale il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan rovesciò il governo presieduto dal primo ministro Mohammed Daud Khan. Il PDPA, di stampo marxista-leninista, riuscì a raggiungere il potere grazie all’appoggio delle alte sfere militari del paese, di cui una buona parte aveva ricevuto addestramento in URSS. Una volta al potere fu messa in atto una politica di drastico cambiamento economico e sociale. Si attuarono la confisca delle proprietà terriere, la nazionalizzazione delle banche, l’abolizione della libera determinazione dei prezzi di merci e servizi,  l’abolizione della combina dei matrimoni, l’abolizione del burqa, l’incoraggiamento dell’emancipazione femminile.

Sebbene queste politiche fossero considerate moderne e progressiste da parte dei governanti, occorre contestualizzare l’ambiente sociale all’interno del quale furono introdotte. L’Afghanistan era una Repubblica con poco più di cinque anni di vita. Infatti si veniva da una monarchia estintasi solo nel 1973, preceduta dalla dominazione dell’area da parte della corona inglese. Dal punto di vista sociale era forte l’impronta islamica, istituzione religiosa che per molti aveva una valenza superiore a quella governativa.

Sopratutto nelle zone rurali si diffuse una certa insofferenza verso queste novità, alimentata dall’intransigenza del PDPA nella cieca attuazione del programma politico. In questa polveriera, che vedeva contrapposti il dogma marxista-leninista al dogma islamico, la miccia fu inaspettatamente accesa dall’esercito, quando la 17° Divisione Fanteria si ammutinò contro il governo ed occupò la città di Herat, nell’Ovest del paese. La reazione governativa fu pesante e sanguinaria e soltanto l’impiego di aerei bombardieri riuscì a ripristinare l’ordine, dopo alcune settimane e oltre 3000 vittime.

La spaccatura interna si ampliò: un golpe militare fu sventato all’ultimo ed il governo chiese ed ottenne l’arrivo di ingenti forze militari dalla Russia, il cui picco arrivò con l’Operazione Štorm 333. Nel frattempo l’esercito Afgano perse l’82% dei suoi effettivi a causa della diserzione di circa 90.000 su 110.000 soldati a disposizione. Si creò quindi la situazione per la quale il Governo veniva sostenuto dalle truppe e dalle armi russe mentre il popolo accresceva il suo appoggio ai Mujaheddin (gruppi di combattenti che lottavano per la jihad), visti ormai come l’esercito di liberazione nazionale.

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Ritirata sovietica dall’Afghanistan – RIA Novosti Archive – Ph. A. Solomonov ©

Un conflitto inevitabile

Ormai la guerra era inevitabile e le due fazioni si misuravano in combattimenti sempre più frequenti. Nel frattempo cresceva l’appoggio degli stati esteri verso il fronte islamico. Il presidente USA Jimmy Carter aveva già mosso i primi passi in favore delle forze contrarie ai sovietici ma è con il presidente Ronald Reagan (inizio 1981) che la CIA comincia a intensificare la sua attività nella zona.

La Central Intelligence Agency fu probabilmente determinante per l’esito dell’intero conflitto grazie all’organizzazione logistica di strutture di addestramento e l’apporto di fondi ed armi moderne. L’agenzia collaborò strettamente con i servizi Pakistani, che organizzarono campi di addestramento per Mujaheddin in cui furono curate le tattiche di guerriglia e mimetismo.

Una volta consolidata la presenza militare nel paese, l’esercito russo iniziò un’attività di ricerca e distruzione delle sacche di resistenza. Operazioni rese difficili e dispendiose anche a causa dell’indisposizione da parte della popolazione a collaborare con efficacia. La distanza con la popolazione fu inasprita ulteriormente dai rastrellamenti e dalle esecuzioni sommarie ispirate troppo spesso dall’esasperazione dovuta all’incapacità di controllare i territori. Presa coscienza dell’insanabile frattura, dal 1983 i sovietici iniziarono a costringere migliaia di abitanti delle zone rurali ad abbandonare le loro case nel tentativo di interrompere gli aiuti civili ai guerriglieri. Ma, come prevedibile, la manovra non portò particolari vantaggi a fronte di uno sforzo di risorse non indifferente.

Nel frattempo a inizio primavera ’85, in Russia salì al comando Michail Gorbačëv. La situazione economica e sociale dell’URSS era ormai fuori controllo e ogni tentativo politico di restaurare la situazione finiva in un fallimento. La fine del sogno sovietico era vicina, era solo questione di capire quanti anni ancora potesse andare avanti. E’ in questo contesto che  Gorbačëv decise di iniziare la preparazione al ritiro dell’armata rossa dall’afghanistan, fase del conflitto che iniziò a gennaio 1986, dopo che l’anno precedente si era contraddistinto come il più pesante dell’intera guerra.

Il ritiro si concluse il 15 febbraio 1989, dopo tre anni di evacuazioni programmate e spostamento di responsabilità militari verso le truppe governative afgane. Il Generale Boris Gromov fu simbolicamente l’ultimo soldato sovietico a lasciare il terreno afgano, dopo dieci anni di guerra e circa 14.500 militari caduti. Tra gli Afgani le vittime furono oltre 2 milioni. I Mujaheddin reagirono al ritiro russo organizzando sempre più controffensive e attacchi frontali, abbandonando la tattica della guerriglia e spostando il conflitto sempre più a ridosso delle zone abitate. L’esercito governativo, forte delle risorse militari non evacuate dai sovietici, si trovò quindi a combattere una guerra civile che sarebbe durata altri tre anni, fino alla caduta della Repubblica. Evento che portò soltanto ad un’altra fase della guerra: il confronto armato fra gruppi di Mujaheddin per la presa del potere.

L’arrivo dei Talebani

In questi anni la violenza dilagò forse più che negli anni precedenti a causa dei tanti gruppi armati in contrasto fra di sè. Era una nuova stagione di morte per un popolo che non conosceva altro da almeno quindici anni.

Fra questi gruppi, emerse quello dei Talebani, un gruppo di guerriglieri di nuova fondazione che si basava sull’estremismo religioso. In poco tempo ricevettero forti appoggi da parte del Pakistan e del gruppo etnico pashtun, il principale del paese.

La forte instabilità politica portò inoltre osservatori esterni a intendere l’ascesa dei Talebani come una svolta potenzialmente positiva. Questa fazione attaccò duramente sia gli altri signori della guerra che il fragile governo che si era creato. Nel frattempo ci fu una considerevole espansione della popolarità dei talebani fra la popolazione, che sempre più frequentemente si rivolgeva a loro chiedendo protezione ed offrendo asilo e le poche risorse a disposizione.

La situazione era al collasso ed il 26 settembre 1996 i talebani presero il controllo di Kabul, fondarono l’Emirato Islamico dell’Afghanistan e nominarono nuovo emiro il loro stesso fondatore, il mullah Mohammed Omar.

Il giorno seguente entrarono indisturbati nel palazzo dell’ONU, prelevarono l’ultimo presidente della Repubblica Democratica, Mohammad Najibullah e suo fratello, lo torturarono, lo mutilarono e lo giustiziarono. Fu un atto di forza che tolse definitivamente ogni dubbio sul destino dell’intero paese. Nei mesi a seguire furono sconfitti tutti gli ultimi gruppi di guerriglieri ed il 26 maggio 1997 il Pakistan riconobbe ufficialmente i talebani come gruppo di governo.

Dopo quasi venti anni l’Afghanistan aveva di nuovo una leadership totalitaria capace di sottomettere militarmente tutti gli altri gruppi presenti sul territorio.

Una storia che evidentemente sembra destinata a doversi ripetere.

Bibliografia

📖 MARK GALEOTTI, Afghanistan the soviet union's last war, Frank Cass, 2001
📖 GIANLUCA BONCI, La guerra russo-afgana (1979-1989), LEG, 2017
📖 NICCOLO' RINALDI, Islam, guerra e dintorni: Viaggio in Afghanistan, L'Harmattan Italia, 1997
📷 Cartina politica dell'Afghanistan nel 1989 dopo la ritirata sovietica - Benutzer Sommerkom ©

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a cura di

Marco Tapinassi

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