Tra le espressioni artistiche più belle del Paleolitico sicuramente “quelle robuste e tonde statuine” denominate “Veneri” assumono un ruolo di primo piano. Ma cosa sono le Veneri? E cosa rappresentano?
Identikit dell’immagine femminile
Le Veneri sono delle figure antropomorfe femminili a tutto tondo, in cui sono accentuati i particolari dei fianchi, dei seni e dei glutei. L’accentuarsi, talvolta eccessivo, di queste parti corporee ha comportato l’adozione del termine steatopigie (dall’ unione delle parole greche stear (στέαρ) “grasso” e pughé (πυγή) “natica”). Generalmente presentano un’assenza dei tratti del volto e dei piedi, mentre, in alcuni casi, sono visibili sul capo elementi decorativi interpretati come cuffie o copricapi. Sono state realizzate con diversi tipi di materiali come l’osso, l’avorio, la pietra, l’argilla e su frammenti di steatite, e ritrovati in contesti europei ed extraeuropei. Il loro ritrovamento in un territorio così esteso e in tempi relativamente contemporanei, fa delle Veneri, il primo vero esempio di Koinè artistica.

Le più antiche testimonianze
Le più antiche testimonianze di queste particolari espressioni artistiche risalirebbero a oltre 500.000 anni fa con le Veneri di Tan Tan e di Berekhat Ram. La prima, ritrovata in Marocco nel 1999, è stata realizzata su un frammento di quarzite e sembra presentare dei segni di lavorazione in punti specifici della superficie suddividendola in tre parti: testa, busto e gambe. La seconda, scoperta in Siria nel 1981, è stata realizzata su un frammento di tufo e sembra presentare segni di lavorazione nell’area del collo e delle braccia. Attualmente le due statuine risultano le uniche ad avere datazioni così antiche, tanto da far dubitare gli studiosi della loro realizzazione antropica. L’analisi delle tracce condotte sulla Venere di Berekhat Ram conferma la natura antropica del manufatto, mentre la Venere di Tan Tan, sembra essere il risultato dell’erosione naturale del tufo e dell’azione umana. Le due Veneri, quindi, rappresentano l’incipit di una meravigliosa espressione artistica che raggiunge il suo apice durante il Paleolitico Superiore, nel periodo denominato “Gravettiano”.
Le Veneri alla conquista dell’Europa (e non solo!)
Nel corso del Paleolitico Superiore vennero realizzate un gran numero di statuine femminili in diverse parti del territorio europeo ed extraeuropeo. Le dimensioni, i materiali utilizzati e le forme risultano eterogenee ma tutte condividono le geometrie tipiche del corpo femminile. Tra gli esemplari più interessanti abbiamo: la Venere di Lespugne ritrovata in Francia e scolpita su un frammento di avorio in mammuth; la Venere di Holhle Fels ritrovata in Germania e ricavata da una zanna di mammuth; la Venere di Dolní Věstonice ritrovata in Repubblica Ceca e realizzata tramite la manipolazione della creta cotta; la Venere di Kostenki ritrovata in Russia e realizzata su un frammento di avorio. In Italia sono famose: le Veneri ritrovate in Liguria all’interno delle Grotte dei Balzi Rossi e realizzate in palco di cervo e steatite; la Venere di Savignano ritrovata in Emilia-Romagna e realizzata su pietra; le Veneri di Parabita, ritrovate in Puglia e realizzate su frammenti di osso.
Willendorf: la star
Sicuramente, sfogliando il libro di storia dell’arte, nelle pagine inerenti all’arte preistorica, ritroviamo l’immagine di una goffa statuina chiamata Venere di Willendorf. Si tratta di un frammento di pietra calcarea di 11 cm che attraverso le mani sapienti dell’uomo paleolitico è stato trasformato in un capolavoro dell’arte antica. La Venere è stata ritrovata nel 1908 dall’archeologo Josef Szombathy nei pressi del comune austriaco di Willendorf in der Wachau e risale a circa 25.000 anni fa. Presenta la testa leggermente inclinata verso destra di forma tondeggiante, contornata da un motivo a spirale associato ad una “cuffia”. Il busto risulta tozzo con le braccia che si posano su un seno voluminoso e cadente, tanto da coprire la zona del ventre leggermente rigonfia e segnata da un ombelico. I fianchi sporgono ponendosi come il punto di massima espansione del corpo, mentre i glutei risultano piatti. Le gambe, invece, sono molto marcate e tendono a divaricarsi nella parte inferiore terminando bruscamente con un’assenza dei piedi. La grottesca adiposità corporea e la proporzionalità artistica perfetta la pongono come l’immagine simbolo dell’espressione artistica femminile paleolitica.

Simbolo della fecondità o sex toys?
Il ruolo e il significato delle Veneri all’interno delle società paleolitiche è ancora oggi oggetto di un forte dibattito. In ambito etnografico, le statuine femminili, potevano assumere il ruolo di amuleti, vale a dire, di un feticcio in grado di proteggere l’individuo o al contrario di provocare malattie. Ma potevano anche essere l’incarnazione di personaggi mitologici o degli antenati. La venerazione degli antenati si congiunge bene all’ideale dell’unione tra il mondo dei viventi e quello dei defunti attraverso l’immagine metaforica della terra e dei suoi frutti. Se comunque il fattore etnografico può fornire spunti interessanti circa il ruolo che le statuine potevano assumere per i “primitivi” moderni, il loro significato rimane comunque oggetto di dibattito. Numerose sono, infatti, le ipotesi che fin dall’inizio del Novecento hanno arricchito lo studio delle Veneri.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che esse erano la rappresentazione degli ideali estetici del Paleolitico; l’obesità, seguendo tale teoria, era ritenuta la massima espressione di bellezza e quindi l’obiettivo da raggiungere data la scarsità del cibo che vi era all’epoca. Una seconda ipotesi è che le Veneri rappresenterebbero donne anziane, in cui l’adiposità era legata al raggiungimento dell’età della menopausa. Tra le teorie più intriganti vi è quella che le associa ad immagini erotiche, una sorta di sex toys preistorico in grado di stimolare sessualmente l’uomo. Attualmente l’ipotesi della fertilità risulta la teoria maggiormente condivisa in ambito accademico. Le Veneri del Paleolitico riprodurrebbero donne gravide ponendosi come immagine simbolo della fertilità. Oggettivamente sono visibili nelle statuine il riferimento alla sfera sessuale e alla maternità o comunque ad una voglia di descrivere simbolicamente il momento della nascita. Il mondo dell’arte preistorica, tuttavia, rimarrà sempre un universo intriso di simbologia di cui non possediamo la chiave di lettura.