I Tre Giudici dei Morti sono un mito sul giudizio delle anime dei defunti presente nel Gorgia di Platone. Nell’epilogo dell’opera, Socrate, uno dei principali protagonisti di questo Dialogo, a conclusione della discussione con Callicle racconta questo mito:
“Come racconta Omero, Zeus, Posidone e Ade si spartirono il potere, dopo che l’ebbero ereditato dal padre. All’epoca di Crono, dunque, vigeva, e vige tuttora fra gli dèi, questa legge circa gli uomini: che chi fra gli uomini abbia vissuto in modo giusto e santo, una volta morto, vada ad abitare nelle Isole dei Beati, in completa felicità e al di fuori dei mali, e che chi, invece, abbia vissuto in modo ingiusto e senza dio, vada nel carcere dell’espiazione e del castigo, che chiamano Tartaro. Giudici di costoro, all’epoca di Crono e anche all’inizio del regno di Zeus, erano uomini vivi, giudici di uomini a loro volta vivi, poiché li giudicavano nel giorno stesso in cui dovevano morire. I giudizi, dunque, erano dati male. Allora Plutone e i guardiani delle Isole dei Beati andarono da Zeus a dire che arrivavano da loro, nell’uno e nell’altro luogo, uomini che non meritavano di esser mandati lì . Zeus, dunque, disse: «Farò in modo che questo non accada più. Ora i giudizi sono dati male, perché coloro che vengono giudicati, sono giudicati vestiti: vengono infatti giudicati da vivi. Molti, dunque, pur avendo anime malvagie, indossano bei corpi, nobiltà e ricchezze, e, quando si tiene il giudizio, vengono molti testimoni a deporre, in loro favore, che essi hanno vissuto nel rispetto della giustizia. I giudici, allora, si lasciano impressionare da queste cose, e giudicano a loro volta vestiti, avendo l’anima coperta dagli occhi, dalle orecchie e dal resto del corpo. […] E io, avendo saputo queste cose prima di voi, ho nominato giudici i miei figli, due dall’Asia, Minosse e Radamante, e uno dall’Europa, Eaco. E costoro, appena gli uomini saranno morti, li giudicheranno sul prato, nel trivio da cui partono le due strade, l’una che porta alle Isole dei Beati, l’altra che porta al Tartaro. Radamante giudicherà gli uomini dell’Asia ed Eaco quelli dell’Europa; a Minosse, invece, assegnerò il privilegio di giudicare come arbitro aggiunto, quando un caso sia insolubile per gli altri due, perché sia più giusta possibile la sentenza sulla destinazione degli uomini.”
(Platone – Gorgia, Socrate contro Callicle – 523a, 527e)

Il significato del mito
Il corpo con i suoi vestiti rappresenta ciò che ci identifica socialmente e storicamente, sia quando giudichiamo sia quando siamo giudicati, inducendoci a dare per scontati i valori della nostra cultura e le maschere che ci mettono addosso. In questo senso è fattore di pregiudizio: noi non giudichiamo mai “senza guardare in faccia nessuno” perché siamo affetti dal duplice ostacolo della nostra stessa faccia e di quella altrui, così come appaiono socialmente, culturalmente, storicamente.
Per ottenere valutazioni che non siano prone al fascino del successo e del potere, occorre eliminare, letteralmente, la faccia. Questa fu la soluzione di Zeus: si stabilì che gli esseri umani fossero giudicati da morti, spogliati di tutto, da parte di giudici anch’essi nudi e morti, anima di fronte ad anima, senza più nessun velame storico-sociale.
Platone utilizza il mythos (favola) dei Tre Giudici dei Morti per “vestire” le proprio idee così da farle rimanere in mente al lettore, a cui spetta il compito di ricostruire il ragionamento, ovvero di riconvertire il mythos in logos.
Occorre ricordare che nell’antichità la mitologia, oltre ad essere stato il mezzo di comunicazione e d’istruzione più elementare, faceva parte di uno straordinario patrimonio collettivo, a disposizione di chiunque, ispirando così una ricchissima varietà di interpretazioni e rielaborazioni, che andavano dalle favole, fino a composizioni di altissimo valore letterario e filosofico.