Tracciare un profilo storico di personaggi biblici è sempre un’impresa molto ardua; le fonti disponibili, sia canoniche che apocrife, sono spesso la somma e la trascrittura di tradizioni molto diverse tra loro e orientate teologicamente e dottrinalmente a seconda dell’ambiente in cui vennero concepite e trascritte. Per quanto riguarda dunque il cristianesimo dell’origini, ogni opera deve essere contestualizzata storicamente e ascritta alla comunità di provenienza, della quale rifletterà istanze, idee e spesso anche contrapposizioni ideologiche e dogmatiche. La mancanza di un magistero cristiano unico che vigilasse sull’ortodossia delle opere ritenute sacre fu, specialmente nel periodo pre-niceno, il motivo per cui si diffusero molti “cristianesimi” contro cui i primi Padri della Chiesa dovettero scagliarsi e, attraverso libelli e confutazioni, dimostrarne la falsità e la natura eretica. Queste tradizioni eterodosse furono cancellate in qualche modo dalla storia; il compito dello storico è dunque quello di indagare circa questi “cristianesimi perduti” e ricostruirne gli aspetti principali non tanto per alimentare nuovamente dibattiti dottrinali oramai sopiti, quanto per ricostruire un quadro storico che includa anche correnti scomparse a causa di questioni dogmatiche. Fatta questa doverosa premessa, bisogna altresì ribadire che questa ricostruzione non si pone l’obiettivo di ottenere una veridicità storica inequivocabile, quanto piuttosto quello di arricchire di ulteriori elementi storici la biografia di alcuni personaggi biblici.
La figura di Tommaso apostolo è arcinota a tutti coloro che hanno frequentato il catechismo della Chiesa Cattolica e in cui spesso ci siamo riconosciuti quando, di fronte ai racconti su Gesù Risorto (Gv., 20, 24-29) egli rimase incredulo, affermando che avrebbe cambiato idea soltanto se avesse potuto toccare con le proprie mani le ferite ancora visibili sul corpo del Risorto dopo la crocifissione. Questo tratto del carattere dell’apostolo non era d’altronde una novità; anche nel racconto giovanneo della morte e risurrezione di Lazzaro, quando Gesù decise di andare a Betania in soccorso dell’amico malato, Tommaso ne ritenne talmente impossibile la guarigione da affermare che il viaggio dei discepoli era utile soltanto ad andare incontro alla morte con lui. Il personaggio che traspare dal racconto biblico sembra incarnare in qualche modo la fragilità della natura umana e la riluttanza dell’essere umano nel credere in ciò che non può toccare. A parte questo episodio, di Tommaso detto Gemello (in greco δίδυμος che significa anche “testicolo”) i Vangeli canonici ci forniscono scarne notizie biografiche se non che fu scelto tra i dodici apostoli (Mt. 10, 1.4; Mc. 3, 13-19; Lc. 6, 12-16). Il termine Didimo/Gemello indicherebbe, secondo alcune interpretazioni, il ruolo di gemello spirituale di Gesù, attribuito all’apostolo in quanto recettore di una rivelazione esoterica e riservata di Gesù di provenienza gnostica di cui parleremo nel prosieguo dell’articolo. Tornando alla nostra ricerca di elementi biografici, altre interessanti notizie emergono dalla letteratura apocrifa e gnostica, in cui sono attribuiti a Tommaso diversi testi. Come il Vangelo dell’Infanzia (o Vangelo dello Pseudo Tomaso), in cui si parla proprio di Gesù prima della sua predicazione, sarebbero convenzionalmente ascritti a Tommaso il Libro dell’Atleta, il Vangelo copto di Tommaso ritrovato in un codice a Nag Hammadi (NHC, II 7, 138) e gli Atti di Tommaso. Prima di addentrarci nelle fonti, è doveroso fornire al lettore qualche informazione sui testi che presentano come elemento distintivi tratti di evidente influenza gnostica. Il Vangelo dell’Infanzia, già conosciuto da Ireneo di Lione nel II secolo (Adv. Haeres, I, 13,1), rappresenta a prima vista una raccolta di aneddoti fantastici sugli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù. Pervenuto in almeno quattro versioni (greca A, greca B, latina e un frammento georgiano), il testo dipinge un ritratto familiare di Gesù, il cui sapere è talmente sconosciuto ai più già in tenera età da non poter avere un precettore. Lo stesso Giuseppe, padre adottivo, non riesce a comprendere il figlio che, deluso dalla capacità di comprensione del genitore, lo ritiene come colui che cerca e non trova (Vangelo dello Pseudo-Tomaso, testo greco “A”, V, 3). L’autore di questo testo, di chiara ispirazione gnostica, offre pochi spunti biografici sull’autore che solo all’inizio (Vangelo dello Pseudo-Tomaso, testo greco “A”, I,1) rivela il suo nome che è quello di Tomaso filosofo israelita. Questo suo titolo non combacia con la descrizione dei sinottici, dove egli non presenta alcun tratto che lo contraddistingua in tale maniera; probabilmente, in funzione gnostica, Tommaso è colui che anela alla sapienza nell’accezione data dagli gnostici. Un’altra opera attribuita al nostro apostolo è il Vangelo copto di Tommaso, ricordato dallo Pseudo Ippolito nei primi decenni del III secolo (Confutazione di tutte le eresie, V 7, 20) come appartenente alla tradizione letteraria degli gnostici o Naasseni (dal serpente, in ebraico Nahash). Questo vangelo, contro cui Ippolito si scagliò nel suo testo polemico, è oggetto di uno studio importantissimo della studiosa E. Pagels che ne studiò i tratti dottrinali e teologici in contrapposizione al Vangelo di Giovanni. Ritrovata, come già detto, a Nag Hammadi la versione copta, lo studio filologico del reperto ha permesso di teorizzarne il testo di riferimento ed integrare le lacune dell’opera pervenuta in frammenti nei cosiddetti papiri di Ossirinco. Composto da 114 detti (in greco λόγια), gli studi filologici hanno supposto che, per contenuti e temi trattati, l’autore dell’opera non doveva essere il medesimo del sopracitato Vangelo dell’Infanzia in quanto, come attestato nel capitolo V del Decretum Gelasianum, era ritenuto in uso presso altre sette considerate eretiche come quella dei Manichei. Questo testo, originario della Chiesa di Edessa attorno al 140, la storia editoriale di questo testo è molto controversa, con alcune ipotesi che ne identificano due versioni che circolarono nelle comunità protocristiane, una ortodossa e una eretica. La caratteristica peculiare di questo testo è che, secondo alcune ipotesi, esso attingerebbe solo in minima parte ai Vangeli canonici e dipenderebbe da una tradizione evangelica anteriore rispetto ad essi. Tornando però su un tema più utile ai fini della nostra trattazione, le notizie biografiche sull’autore sono nuovamente scarne; l’incipit del Vangelo riporta soltanto che “queste sono le parole nascoste dette da Gesù, il vivente, scritte da Didimo Giuda Tomaso”, facendo chiaramente allusione all’apostolo citato. Molto più interessanti invece sono gli Atti di Tommaso, che rientrano nel fecondo genere apocrifo degli Atti degli Apostoli, paralleli a quelli canonici. Sappiamo infatti da Efrem il Siro, vissuto nel IV secolo, come vi fosse presso le prime comunità cristiane una fioritura di Atti apocrifi e falsi, in particolare egli nomina come falsari i discepoli di Bardeèsane (nato a metà del II secolo, morto attorno al 222 del III secolo). Epifanio di Salamina (315-403), autore di un trattato contro le eresie conosciuto come Panarion, parlando degli Encratiti rivelò poi come gli Atti di Tommaso fossero ampiamente in uso presso questa comunità, assieme agli Atti di Andrea e Giovanni. Dedicandosi poi alla confutazione di questi apocrifi, Epifanio rivelò implicitamente di conoscerne il contenuto, attaccando in particolare il fatto che quel testo invitasse gli adepti di quella setta a non consumare carne e vino (Panarion, II, 47 1. 5-7) e a rimanere celibi condannando il matrimonio (Atti di Tommaso, 12-16). Anche il più famoso Agostino di Ippona (354-430), padre della Chiesa e fuoriuscito dalla setta manichea, attesta di conoscere che presso i manichei fossero conosciuti gli Atti di Tommaso assieme ad altri apocrifi (Contra Faustum, XXII, 79). Giunto in due recensioni, una greca e una siriaca, il testo questa volta rivela molti particolari interessanti su Tommaso e in particolare sul suo ruolo nella evangelizzazione dell’India. La notizia di una missione orientale di Tommaso venne confermata in precedenza anche da Eusebio di Cesarea (265-340) (Hist. Eccl., III, 1) e dunque probabilmente ricavata dagli stessi atti apocrifi. Tuttavia la presenza dell’apostolo in India è ricavabile sempre dagli scritti di Efrem il Siro che, in un inno che scrisse per la comunità Edessa, riportò come il corpo di Tommaso fosse stato traslato da un mercante nella città siriaca dopo averlo recuperato dall’India. Ugualmente Gregorio di Tours (538-594), nel suo Liber de gloria martyrum confermò la versione dell’episcopo siro, arricchendola di dettagli interessanti come, ad esempio, il fatto che presso la sepoltura indiana di Tommaso fosse stato eretto un monastero e una chiesa dove un lume risplendeva miracolosamente in continuazione. Il racconto gregoriano si basava sulla testimonianza di un certo Teodoro, che sarebbe stato testimone del miracolo del lume che non si estingueva. Tralasciando ora la questione della sepoltura, dagli Atti di Tommaso è possibile ricavare parecchie informazioni: Giuda Tommaso (questo il nome dell’apostolo) dopo aver rifiutato il compito di evangelizzare l’India, venne venduto come schiavo dallo stesso Gesù Risorto ad un mercante indiano di nome Habban, suddito del re indo-partico Gundaforo (At. Tom., 2). Al suo arrivo, egli compì numerosi miracoli che lo elevarono immediatamente dalla condizione di schiavo, attirando addirittura l’attenzione del re, che lo volle a corte per pregare per la sorte della figlia che si sarebbe sposata proprio quel giorno (At. Tom., 9-10). Durante la preghiera per la figlia, Gesù si manifestò nella stanza con le sembianze di Giuda Tommaso dichiarando che egli era il fratello di Tommaso e convincendo i novelli sposi a non consumare il matrimonio in quanto atto peccaminoso (At. Tom., 11-12). Secondo alcune interpretazione, il termine Didimo dunque sarebbe, in questo caso, indicativo del fatto che Tommaso sarebbe stato il gemello di Gesù con accezione di parentela, legame familiare. Nell’atto III infatti, ulteriore conferma di tale legame avviene grazie ad una rivelazione divina attraverso un puledro che, incontrando Tommaso, dichiarò ad alta voce che egli era il “Fratello gemello di Cristo, apostolo dell’Altissimo, partecipe della parola nascosta del datore di vita e recettore dei misteri segreti del Figlio di Dio” (At. Tom., 39). Molti altri furono i miracoli dell’apostolo che, nel suo girovagare per l’India attorniato da adepti e diaconi, sono tutti raccontati sempre all’interno di una metafora teologica, come la guarigione miracolosa di un ragazzo morso da un serpente nero parlante e personificazione del diavolo (At. Tom., 30-37) che gli si manifestò anche in forma di demone (At. Tom., 42-49). Nella sua peregrinazione, una peculiarità di Tommaso era certamente quella di somministrare il battesimo attraverso l’olio e non con l’acqua come d’uso nella tradizione giudaico-cristiana; battezzando infatti la moglie del nobile indiano Carisio, di nome Migdonia, Tommaso unse la fanciulla che, abbracciando il cristianesimo aveva deciso di astenersi dall’attività sessuale con il marito, attirando contro l’apostolo le ire sia del nobile che del suo re, Mazdai (At. Tom., 120-128). Proprio questo re divenne suo nemico e poco dopo, lo condusse al martirio. Secondo infatti il racconto degli Atti, Tommaso era inviso ad alcuni nobili e al re poiché praticava la stregoneria e minava la stabilità coniugale della corte a causa delle mogli di nobili indiane che, abbracciando il cristianesimo, ruppero i vincoli matrimoniali. Nonostante Vizan, figlio del re, avesse ricevuto il battesimo cristiano dall’apostolo, non poté impedire l’arresto di Tommaso (At. Tom., 166-167) che venne condotto fuori dalla città su un monte, per essere ucciso, lontano dalla folla che lo difendeva a spada tratta. Egli venne dunque circondato dalla truppa di soldati e ucciso (At. Tom., 168), venendo poi sepolto in bende di lino in una tomba degli antichi re indiani. Tuttavia, poco dopo la morte dell’apostolo, un figlio del re Mazdai fu impossessato dal demonio e il sovrano, forse pentito di quanto aveva fatto, volle andare ad aprire il sepolcro di Tommaso per ricavarne una reliquia (un osso in particolare) da far indossare al figlio per salvarlo dall’attacco del maligno. Il corpo però è già stato trafugato in Occidente (forse l’autore era consapevole del fatto che le spoglie presunte dell’apostolo fossero state traslate a Edessa) e il re non trovò nulla. Tuttavia Didimo apparve miracolosamente e, dopo aver convertito il re Mazdai, fece in modo di salvare anche il figlio (At. Tom. 170).
Quali dati storici possiamo estrapolare da questa narrazione? Difficile rispondere a questa domanda in quanto la validità storica delle fonti bibliche canoniche e apocrife rappresenta, come detto nel prologo, una questione molto dibattuta e controversa. Le fonti in questo caso attestano l’esistenza di una “tradizione” per l’evangelizzazione dell’apostolo Tommaso legata all’India. Sebbene chi scrive non possieda specifiche competenze per valutare fonti indiane, alcuni studiosi hanno trovato riscontro nelle leggende che hanno tramandato il passaggio di Tommaso in India, probabilmente legata alla diffusione stessa degli Atti presso queste popolazioni nel IV secolo. Ovviamente le posizioni degli studiosi sono varie, tra chi colloca l’arrivo di Tommaso attorno al 50 d.C. nella capitale Taxila, nell’odierno Punjab, contrapposti a coloro che parlano dell’arrivo di comunità cristiane in India soltanto attorno alla metà del IV secolo dalla Siria a causa delle persecuzioni del re dei Parti Sapore II. A prescindere dal dibattito cronologico, quello che è utile ricordare ai fini della nostra trattazione è che alcune fonti sembrano concordi ritenere che Tommaso sia partito da Gerusalemme e che, navigando dall’Arabia sia giunto nell’Isola di Malankara, nell’India meridionale. La città in cui, secondo gli Atti, Tommaso e Habban sbarcarono è controversa, secondo la versione siriaca si sarebbe chiamata Sandaruk, mentre in quella greca Andrapolis. Alcuni moderni studi hanno supposto che la città potrebbe essere l’odierna Kodungallur, che ha rappresentato strategicamente un approdo commerciale in diverse fasi della storia indiana. Le tradizioni indiane su Tommaso, principalmente di carattere orale, ci forniscono invece un quadro più specifico del suo soggiorno indiano. Sbarcato nel 52, visse alcuni anni sulla costa di Malabar salvo spingersi in alcune missioni sino a Kaniya Kumari (Capo di Comori, nel Kerala Meridionale) e, tornando dalla Cina, ritornò nella zona di Malabar (58 d.C.). All’Apostolo Tommaso è infatti attribuita da alcune tradizioni la prima evangelizzazione della Cina, di cui in queste fonti troviamo riscontro grazie al racconto del suo ritorno in India Da qui poi egli si stabilì nella città di Tiruvanchikkulam (Muziris in antichità, oggi nei pressi della già citata Cranganore) e fondò sette chiese (Malankara, Chayal, Kotamamgalam, Niranam, Paravur, Palayur e Quilon) in cui si adoperò per preparare una classe clericale che potesse proseguire la sua opera e diffondere il Vangelo. Da qui poi egli sarebbe partito (69 d.C.) per Mylapore dove, circa quattro anni, dopo sarebbe stato martirizzato il 3 luglio del 73 da parte dei Bramini, l’antica casta sacerdotale che già era presente nell’area. Secondo il martirologio romano, Tommaso sarebbe poi stato sepolto in India nella città di Calamina, traslato ad Edessa e successivamente, nel 1258, a Ortona in Abruzzo. Tornando alla versione indiana però, ricaviamo come queste tradizioni sono state trascritte da Thomas Rambam solamente nel 1601 nel canto rituale chiamata Thomma Parvam basata su racconti orali la cui origine si perde nella notte dei tempi e frutto di passaparola familiare. Storicamente attendibile o meno dunque, esiste ed è esistita per lungo tempo una tradizione che ritenne Tommaso il primo evangelizzatore dell’India che, sin dall’antichità, intratteneva rapporti commerciali con la Siria. Successivamente poi, i cristiani d’India (chiamati anche Nasrani) si scissero dopo l’arrivo del missionario nestoriano Tommaso il Cananeo nel secolo VIII, provocando la divisione dei cristiani tra settentrione e meridione del Kerala. La Chiesa d’India, tuttavia, restò sottoposta alla Chiesa d’Oriente almeno sino al XIV secolo, quando i rapporti cessarono in seguito alle invasioni che colpirono l’area orientale, separando l’India dal controllo del patriarca d’Oriente. In Occidente poi si perse contezza di questa realtà che solo nel 1498, all’arrivo dei Portoghesi nell’Oceano Indiano guidati da Vasco da Gama, ribadì l’esistenza di una solida comunità cristiana che si era saputa mantenere autonoma e ben distinta rispetto alle altre comunità religiose locali.